La storia di uno studio che tramite personaggi alieni e buffi, vuole raccontare l’ovvietà del male del nostro mondo. Quella di Oddworld è una saga che porta un forte messaggio ambientalista, purtroppo costellata da una storia di produzione molto travagliata.
Siamo nel 1994 quando un giovane ambizioso di nome Lorne Lanning inizia a immaginare un nuovo universo narrativo. Prima studente di pittura e poi operatore di animazione digitale con esperienza in piccoli corti e pubblicità, arriva il momento di ogni aspirante artista di voler creare la propria opera. Le idee non mancano, ma dopo aver realizzato che tutte le realtà creative allora disponibili sarebbero state strette al giovane Lorne, diventa ovvia la necessità di creare un proprio studio creativo. Uno studio orientato al gaming. Durante le ricerche su come dare luce a suddetto studio incontra colei che diventerà costante partner negli anni, Sherry McKenna, anche lei proveniente dal mondo delle arti visive digitali. Viene fondato Oddworld Inhabitants e il duo mette assieme un team di sviluppo andando a ricontattare persone conosciute nella loro carriera, tra artisti, esperti d’animazione e figure in qualche modo connesse al mondo creativo.
L’ambizione era di combinare un gameplay innovativo con le più moderne tecnologie d’animazione di qualità hollywoodiana. Anche il setting narrativo era diverso dal solito: Abe è infatti tra i protagonisti più anticonvenzionali del suo tempo. Di buon cuore, ingenuo, occasionalmente geniale, sensibile, eppure segnato mentalmente e fisicamente dalla vita in fabbrica. Buffo, con la gobba, eppure così facile da connettere al giocatore: perché Abe è un operaio/schiavo. Un operaio anche relativamente felice, all’oscuro di qualsiasi cosa succeda allo scalino gerarchico più alto. Vive la sua vita in fabbrica, partecipa alla creazione di deliziosi snack, sgobba tutto il giorno, conosce solo quello e la vita va bene così. La peggior brutta notizia che può capitare è l’annuncio che lo snack preferito è uscito dal catalogo in quanto i meech, gli animali necessari alla sua produzione, sono estinti. Una routine noiosa e priva di eventi.
I PROTAGONISTI DELLA SERIE SONO MITI OPERAI DI UNA FABBRICA DI SNACK… DI CUI DIVERRANNO BEN PRESTO INGREDIENTE PRINCIPALE!
La satira politica anticapitalista, anticonsumista e ambientalista è sbadilata in faccia in modo molto diretto, ma Oddworld ha la sagacia di fare black humour su praticamente tutti, da oppressi a oppressori. Le ultime ruote del carro, i vertici della piramide, gli animali selvatici e persino le guardie degli industriali sono resi in modo buffo, satirico. Basti pensare che quando un malvagio Glukkon ride, il suo leccapiedi/guardia personale riderà a sua volta, senza personale motivo e questa situazione è replicabile anche ingame nel sequel. Tornando alla storia del percorso di sviluppo, vengono preparate l’introduzione con le voci fornite dagli sviluppatori stessi, e un primo vertical slice di gameplay da presentare a porte chiuse all’Electronic Entertainment Expo del 1996. Dopo una prima accoglienza tiepida, nel corso dello show diversi publisher manifestarono interesse, ma l’accordo finale di distribuzione fu preso con GT Interactive, che avrebbe tra l’altro permesso a Oddworld Inhabitants di mantenere la proprietà intellettuale del franchise, fattore che era tra le priorità del team.
L’ODISSEA
Nel 1997 il gioco è finalmente pronto e si presenta come primo capitolo di una cosiddetta “Quintology“. Nell’idea originale ogni gioco della Quintology avrebbe presentato un nuovo personaggio con l’obiettivo non di riunirli in una sorta di bizzarra squadra di vendicatori, quanto piuttosto di mostrare diverse regioni del mondo di Oddworld, con le loro differenze, ma anche con le loro similitudini: una natura che chiama rispetto e i problemi a cascata che l’industrializzazione sfrenata impone.
IL GIOCO RICEVE IMPRESSIONI MISTE, A CAUSA ANCHE DI UN APPROCCIO TRIAL-AND-ERROR
A DISPETTO DEI SUOI LIMITI, ODDWORLD LASCIÒ IL SEGNO
I Mudokon, infatti, hanno una connessione naturale con le energie sottili del mondo di Oddworld, si sono soltanto scordati le loro origini e il loro potenziale. Abe a sua volta non conosce nulla al di fuori della fabbrica, ma in qualche modo i suoi poteri sono già ben accesi in lui. Sin da piccino infatti mostrava una sensibilità sopra la media, tanto da convincere la madre a cucirgli le labbra per impedirgli di piangere fragorosamente e venire conseguentemente abbattuto dai malvagi padroni. Da adulto, cantando dei mantra può aprire portali per teletrasportare in salvo i suoi colleghi e lui stesso, oppure prendere il controllo di menti semplici quali possono essere gli Slig, le guardie prezzolate che tengono gli schiavi a bada. Fare buon uso di questa capacità sarà indispensabile per risolvere i numerosi puzzle, in quanto gli Slig possono confondersi tra i simili, attivare atrezzature o se necessario risolvere situazioni a smitragliate. In Oddworld: Abe’s Oddysee erano quindi implementate dinamiche aggressive, similmente a molti altri platform cinematici. Diversamente da quelli però, sono dinamiche più trasversali. Bisogna lavorare più di pianificazione che di riflessi, agendo di soppiatto, calcolando i tempi di ronde e trappole a seconda se siamo da soli o seguiti da un collega.
L’ESODO
Il gioco ebbe un più che discreto successo, tanto da convincere GT Interactive a proseguire la collaborazione con Oddworld Inhabitants. E da chiedergli un seguito in fretta. Molto in fretta. In effetti, la deadline era letteralmente impossibile: solo 9 mesi, in tempo per uscire entro Natale 1998. Nelle intenzioni del team il sequel non avrebbe fatto parte della Quintology, in quanto non tratta un nuovo personaggio. L’intenzione era invece mostrare di più sui simpatici Mudokon, mostrare da dove provengono, che ne è stato della loro cultura e dove sono diretti nel futuro. Purtroppo però i tempi molto stretti permisero di creare un prodotto cotto solo a metà. Vennero aggiustati alcuni problemi del precedente capitolo, con la possibilità di usare quicksave illimitati, di salutare e raggruppare più mudokon per volta, l’introduzione di puzzle ambientali più leggibili e quantomeno un indizio visivo che nell’area ci potrebbe essere un segreto.
IL SUCCESSO DEL GIOCO CONVINSE GT INTERACTIVE A CHIEDERE UN SEGUITO ANCHE TROPPO IN FRETTA: LA DEADLINE FU POSTA APPENA NOVE MESI DOPO
Purtroppo però, erano i tempi in cui un sequel doveva tradizionalmente proporsi come più grande, migliore, raddoppiato rispetto all’originale e questo faceva a pugni con i tempi stretti. Oddworld: Abe’s Exoddus spalmava la storia su due cd, dei quali il primo sembra però un bis del precedente capitolo: esploriamo una miniera invece che una fabbrica, ma poi ci dirigiamo in terre sacre, affrontiamo le sfide degli Scrab e dei Paramiti per riottenere il favore della divinità denominata Shrykull, che in teoria avevamo già nel primo. Una fortissima sensazione di deja vu. Nel secondo cd il gameplay sboccia con tutte le nuove opportunità, compresa quella di utilizzare la flatulenza di Abe per creare, letteralmente, peti esplosivi. Le ambientazioni iniziano inoltre a esplorare nuovi temi, adattando l’impronta industrialpunk vista nelle Rupture Farms del primo verso stazioni ferroviarie, le baracche dove vivono i buffi Slig, fino ad arrivare allo stabilimento Tempesta d’Anime, dove viene prodotto il liquore così efficace nel creare dipendenza.
L’universo narrativo veniva effettivamente espanso, ma come scopriremo solo in tempi recenti con Soulstorm, non includeva neanche un quarto del potenziale originariamente pensato. Ci ritroviamo di nuovo nella situazione di gioco ambizioso uscire con le ali tarpate a causa di irragionevoli richieste temporali del publisher. Ci ricorda qualcosa? La storia produttiva di Oddworld Inhabitants, particolarmente infelice, non è certo finita qua. Al prossimo appuntamento parleremo delle loro prime escursioni nel gameplay in 3D.
Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.