Alla scoperta di Knit’s Island. Nell’ormai lontano TGM #306 datato marzo 2014 (sapete che siamo la seconda rivista di videogiochi più longeva al mondo?!), il nostro boss Mario raccontava sotto forma di diario alcune sue avventure “in presa diretta” all’interno di DayZ. In quelle settimane non era raro imbattersi in reportage entusiasti e allo stesso tempo terrificanti provenienti dalle lande digitali create da Dean Hall; ricordo che frequentavo all’epoca un piccolo forum di amici e i racconti del nostro apripista sull’apocalisse di DayZ attiravano una quantità di commenti insolita per un gioco in accesso anticipato e per di più tecnicamente discutibile. Era la conseguenza diretta di quel gameplay emergente di cui a breve si sarebbe iniziato a parlare con insistenza e fascinazione.
Lo scorso 20 ottobre 2023, infatti, mi sono seduto nel cinema Godart della milanesissima Fondazione Prada per assistere alla proiezione di Knit’s Island, seconda opera cinematografica del trio Ekiem Barbier, Guilhem Causse e Quentin L’helgoualc’h. Le immagini che passavano sullo schermo e davanti agli occhi di una sala sorprendentemente eterogenea nella composizione e divertitamene entusiasta nell’approccio erano, tuttavia, meravigliosamente simili a quelle scorribande meravigliate di cui avevo letto i reportage internettiani redatti da diversi testimoni oculari di quello che potremmo definire un enorme e continuativo esperimento sociale.
“Il motivo per cui sono ancora qui è che avrò avuto 12.000 prime conversazioni in questo gioco e non riesco a ricordarne due uguali tra loro”
Tra le tante cose che Knit’s Island è e prova a essere, è una sorta di introduzione a DayZ che possa essere comprensibile al pubblico dei festival, potenzialmente ignaro selle sue dinamiche di sopravvivenza. Ecco dunque che l’incipit della pellicola è un’ottima occasione per far respirare allo spettatore le atmosfere di Chernarus, fittizia regione dell’URSS che ospita le gesta dei sopravviventi: respiri affannosi, corse nell’oscurità, rumori lontani e incontri indecifrabili. In questo primo terzo del film l’approccio del trio di registi (giornalista, tecnico e cameraman all’interno del gioco) prova a non uscire mai dal muro invisibile della finzione.
Ecco dunque che l’incipit della pellicola è un’ottima occasione per far respirare allo spettatore le atmosfere di Chernarus
ALLA SCOPERTA DI KNIT’S ISLAND
Poi, pur senza perdere ambizione cinematografica, il documentario inizia a esplorare i confini col reale. Il trio di cineasti si aggrega nelle ultime ore di gioco al gruppo che orbita attorno al Reverendo Stone e le atmosfere diventano più rilassate, le chiacchiere più intimiste, i ruoli cadono ed emergono le persone sedute davanti a un monitor. Quando qualche maschera salta si apre una finestra sul reale, sul mondo fuori che assomiglia molto al mondo immobile di DayZ, durante i mesi di lockdown e pandemia in cui gruppi di sconosciuti dalla parte opposta del pianeta trova sollievo nel simulare l’estinzione e curiosare impunemente i limiti estremi della propria moralità.
Nel mezzo c’è spazio per l’esplorazione oltre i confini del reale, una scampagnata digitale verso la parte più esterna dello scenario, un’infinita landa piatta e anonima che confonde ancora di più la percezione di cosa sia dentro e cosa sia fuori. La costante dell’esplorazione giornalistica (uno dei personaggi dei registri indossa la pettorina PRESS) di una zona di guerra anomala è la possibilità di essere chi si vuole, cosa che accade in ogni prodotto di intrattenimento in fondo, ma che DayZ declina attraverso la lente della risonanza sociale: il Reverendo Stone non serve a nulla nell’economia del gioco e probabilmente sta proprio qui il suo fascino.
La contrapposizione tra la rinuncia volontaria alle nostre libertà individuali e l’esplosione incontrollata di libertà senza vincoli morali o conseguenze detona fortissima nel finale, ma al di là della convergenza storica senza dubbio significativa, l’esperimento sociale (volontario o meno) di DayZ si muove da un decennio in questo solco. Mentre il confine tra reale analogico e finzione digitale è sempre più sfuggente e pervasivo, Knit’s Island coglie in controluce quasi inconsapevolmente l’anomalia di DayZ, la sua natura utopica in cui l’assenza di uno scopo superiore alla sopravvivenza abbatte le gabbie dell’etica e della morale, ma non può in ogni caso costituire un limite all’emersione della società seppur in forme diverse da quelle a cui siamo abituati.
Knit’s Island coglie in controluce quasi inconsapevolmente l’anomalia di DayZ
PS. Se volete recuperare lo speciale di Mario citato all’inizio – scandito in diari che raccontano scene effettivamente vissute all’interno di Day, ma con taglio quasi letterario – eccolo qui come link PDF e come galleria di immagini. Reportage DayZ TGM 306