Il peggiore tra gli anni migliori per i videogiochi – L'Opinione

Settemila e ottocento. È questo il totale stimato dei posti di lavoro tagliati dal 1° gennaio 2023 a oggi nell’industria dei videogiochi, e l’anno non è ancora finito quindi questa cifra può ancora crescere.
Annus horribilis videogiochi Baldur's gate 3 dark urgeLo so che ve lo state chiedendo e no, questo non vuole essere un articolo fotocopia di quello scritto da Marco Bortoluzzi e pubblicato su queste pagine virtuali lo scorso settembre. Vuole più che altro provare a offrire un altro punto di vista a tutte quelle persone che giustamente affermano che il 2023 è stato uno degli anni migliori per i videogiochi. D’altronde solo quest’anno abbiamo avuto modo di giocare a una quantità tale di opere di qualità da far spavento.

Bisogna andare indietro di molti anni per trovare una concentrazione simile di videogiochi di qualità

Baldur’s Gate 3, Alan Wake 2, The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, Super Mario Bros. Wonder per restare sempre in casa Nintendo, ma anche produzioni minori come Cocoon, Slay the Princess, Sea of Stars, Dave the Diver, oppure i cosiddetti doppia A del calibro di The Talos Principle 2, Hi-Fi Rush, Armored Core 6. Ne ho citati poco meno di una dozzina, ma credo di aver reso l’idea. Bisogna andare indietro di molti anni per trovare una concentrazione simile di videogiochi di qualità.

Eppure tutto questo ha un costo.

Ci piace parlare delle storie di successo. Ci piace parlare dei videogiochi che ci appassionano. Ci piace parlare degli studi che ce la fanno. Probabilmente il caso più emblematico in questo senso è quello di Larian Studios e di Baldur’s Gate 3. È una storia perfetta che ho già avuto modo di raccontare in un approfondimento pubblicato proprio a ridosso del lancio di quello che – di fatto – è già per molti il gioco dell’anno. Eppure per ogni Larian Studios che ce la fa, ci sono decine, se non centinaia di società che gettano la spugna (o vengono costrette a farlo). È così in tutti i campi della vita, ma quest’anno abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione che quello dei videogiochi non un mondo idilliaco, semmai avessimo avuto bisogno di una conferma.

L’ANNUS HORRIBILIS DELL’INDUSTRIA DEI VIDEOGIOCHI

Settemila e ottocento, appunto. Settemila e ottocento persone che hanno perso il lavoro quest’anno secondo VideogameLayoffs. Sì, la situazione è talmente drammatica che qualcuno ha deciso di tenere il conto di tutti i licenziamenti avvenuti negli ultimi dieci mesi e mezzo. Ci sono aziende che sono state chiuse o hanno cessato l’attività, come Volition e Mimimi, ma ci sono anche colossi come Unity ed Epic Games che affettano centinaia di posti di lavoro con la stessa nonchalance con cui mia madre taglia la cipolla per il sugo della domenica. Senza lacrime, però, tanto sai quanto gliene frega ai capoccia che comunque intascano i premi di produzione?

Licenziamenti videogiochi

Le principali società interessate dai licenziamenti. (Fonte: VideogameLayoffs)

Eppure i segnali di questa crisi erano chiari già da tempo. Molti anni fa uno Shawn Layden appena fuoriuscito dall’organico di Sony disse che i costi di sviluppo dei cosiddetti tripla A sarebbero cresciuti così tanto da rendere tali progetti insostenibili. Avanti veloce e ci troviamo proprio nella situazione ipotizzata da Layden: produrre e sviluppare un videogioco costa così tanto che basta un passo falso per compromettere la stabilità di un’azienda. È successo nel caso di The Callisto Protocol, per esempio, con il publisher Krafton che ha tagliato il personale di Striking Distance Studios dopo il flop dell’action a tinte horror. È successo con Volition, chiusa da Embracer (anche) a causa di quel disastro che risponde al nome di Saints Row. Ma è successo qualcosa di simile anche a Mimimi, che nonostante molti giochi di successo (compreso l’ultimo Shadow Gambit) ha deciso di abbassare la saracinesca per via del troppo stress legato alla ricerca di finanziamenti e dei costi sempre più alti.

La bolla dei live service si sta sgonfiando

Nel frattempo le grandi aziende hanno iniziato a puntare sui live service, peccato che anche quella bolla si stia sgonfiando sempre più velocemente. E infatti Epic Games si trova in difficoltà ora che Fortnite non riesce più a coprire i costi sostenuti dal resto della società, compreso lo store proprietario che è ancora in perdita. Sony ha dovuto rivalutare i piani per i suoi videogiochi multiplayer, mentre Bungie – ora nella famiglia PlayStation – ha licenziato un centinaio di persone.

Embracer non esclude ulteriori licenziamenti dopo aver mandato a casa ben 900 persone.

All’interno di questo scenario, come se nulla fosse, l’industria dei videogiochi si prepara a celebrare sé stessa durante i consueti The Game Awards. Sarà interessante vedere come Geoff Keighley affronterà la questione, semmai dovesse farlo, prima di sopraffare gli spettatori con decine di trailer e pubblicità varie, tra un’inutile premiazione e l’altra. Magari una statuetta andrà proprio a Bungie, in lizza con Destiny 2 nella categoria “Best Community Support” a poche settimane dal licenziamento dei community manager dello sparatutto online. Perché oltre al danno non potevamo farci mancare la beffa.

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