Recensioni tecnologia | THE GAMES MACHINE https://www.thegamesmachine.it/category/recensioni-tecnologia/ Il riferimento per i giochi PC, Playstation, Switch, Xbox e le migliori piattaforme con anteprime, notizie e recensioni Thu, 04 Jan 2024 15:25:04 +0000 it-IT hourly 1 https://www.thegamesmachine.it/wp-content/uploads/2016/01/cropped-TGM_logo_tapa512512-32x32.png Recensioni tecnologia | THE GAMES MACHINE https://www.thegamesmachine.it/category/recensioni-tecnologia/ 32 32 Controller Access PS5 – Recensione https://www.thegamesmachine.it/highlight2/268361/controller-access-ps5-recensione/ Thu, 04 Jan 2024 15:25:04 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=268361 Se osserviamo attentamente i videogiochi odierni e gli esempi più virtuosi, noteremo che l’accessibilità ha fatto passi in avanti da gigante. Lato hardware forse siamo ancora un po’ indietro, ed è per questo che fa ancora più piacere ritrovarsi qui a parlare del Controller Access, una periferica per PlayStation 5 realizzata appositamente pensando ai gamer affetti da disabilità.

Grazie al gentile omaggio di Sony, durante le vacanze natalizie abbiamo potuto testare due controller Access PS5. La prova ha richiesto del tempo perché, dopo averci messo mano per capirne le principali caratteristiche, ci è sembrato doveroso lasciare che a sperimentare il controller fosse anche Arianna Alosi, mia sorella nonché una persona capace di fornirmi spunti, punti di vista e feedback unici.




Convivendo con una subdola patologia autoimmune come l’artrite reumatoide fin dall’età di sei mesi, Arianna non può essere definita una gamer perché, purtroppo, si è sempre vista preclusa la possibilità di tenere in mano un pad abbastanza a lungo da riuscire a godersi una partita intera. Le sollecitazioni alle articolazioni, il peso del dispositivo e il carico sulle braccia dovuto anche alla postura a lei poco congeniale sono solo tre dei tanti fattori che, nel corso degli anni, le hanno impedito di avvicinarsi davvero ai videogiochi, nonostante la spontanea curiosità verso quella strana passione di un fratello avido di esperienze virtuali come il sottoscritto.

CONTROLLER ACCESS, I CONTRO

Ecco perché, quando si è presentata l’opportunità di recensire l’ultimo ritrovato Sony in fatto di accessibilità, non ho esitato a chiederle: “Ary, ti va di provare un controller studiato apposta per aiutare chi ha problematiche fisiche?”. Da lì a scoprire insieme pregi e difetti del nuovo Controller Access il passo è stato breve, ed eccoci qui a condividere l’esperienza con voi. Innanzitutto bisogna sottolineare che il controller disponibile dal 6 dicembre 2023 è utilizzabile esclusivamente con la PlayStation 5 e che il suo costo è di 89.99 €, un dettaglio rilevante principalmente per un motivo: data la sua peculiare forma, se si vogliono avere a disposizione tutti i tasti e le funzioni previste dal DualSense, come il secondo stick per la gestione della telecamera, occorre abbinare al primo controller Access un secondo controller o, in alternativa, un DualSense/DualSense Edge.

senza DualSense non è possibile accedere al feedback aptico, al touchpad e ai grilletti adattivi

Volendo si possono collegare tasti, levette e interruttori esterni tramite quattro jack da 3,5mm posti sulla parte inferiore del controller, tuttavia il risultato resta lo stesso: senza DualSense non è possibile accedere al feedback aptico, al touchpad e ai grilletti adattivi.

Access Controller PS5

Non si tratta di un dispositivo All-in-One, contando il numero di tasti presenti su un solo controller Access e pensando alle capacità del DualSense è proprio questo il difetto che emerge più chiaramente. In sua difesa c’è da dire che, in quanto esclusiva PS5, chi lo acquista, a meno che non sia stato vittima di una truffa, è difficile non abbia in casa un altro DualSense da affiancargli, ergo per alcuni potrebbe trattarsi di un non problema. Chi ha difficoltà a maneggiare un pad standard invece dovrà necessariamente acquistare due Controller Access, ed è un peccato che, nonostante l’esborso doppio, alcune caratteristiche uniche della PS5 siano comunque destinate a restare un miraggio. Un’altra limitazione della periferica è legata all’orientamento del supporto dell’unico stick, il quale può essere allungato/accorciato e posizionato a seconda delle esigenze personali ma soltanto in una delle quattro direzioni previste dai 90°. Ciò può rappresentare un vincolo fin troppo rigido in determinati casi, ma credo anche che la soluzione alla potenziale problematica possa nascondersi in un aggiornamento del software/firmware.

I PREGI DEL PARGOLO SONY

Il Controller Access si presenta in una confezione di facile apertura, un dettaglio che la dice lunga sull’attenzione riposta da Sony nella sua creazione. Anche la sua prima configurazione è intuitiva, sebbene i meno smanettoni potrebbero avere bisogno di supporto in questa fase tra menu, impostazioni e profili vari. Basta guardare di sfuggita il contenuto della scatola per capire subito qual è il punto di forza del nuovo controller: la personalizzazione. Dalla morbida manopola ai singoli tasti, ciascun elemento è intercambiabile e liberamente mescolabile a quelli di ricambio presenti nella scatola in un trionfo di forme, cappucci e superfici differenti, tutte adattabili alle specifiche esigenze dell’utente.

Basta guardare il contenuto della scatola per capire subito qual è il punto di forza del nuovo controller: la personalizzazione

Ognuno può configurare la disposizione e, grazie a un sistema di magneti, i tasti da premere come preferisce. Nulla impedisce di dare libero sfogo alla propria creatività seguendo le indicazioni fornite dal proprio corpo senza doversi adattare alla periferica, è esattamente il contrario con il Controller Access: è lui che si impegna, entro i limiti delle sue possibilità, per adattarsi all’utente, non viceversa. Sotto questo punto di vista Sony ha centrato il bersaglio, il dispositivo possiede la versatilità sufficiente per aiutare tanti giocatori ad abbattere una buon numero di barriere e ostacoli.

Qua e là si intravedono dei margini di miglioramento sicché non mi stupirei se qualcuno lo ritenesse ottimo e qualcun altro invece lo reputasse poco maneggevole. Durante i test probabilmente si è cercato di ideare un dispositivo che rispondesse al maggior numero di esigenze, ma parliamoci chiaro: realizzare un controller in grado di sostituire completamente l’avveniristico DualSense e, al contempo, adattarsi senza compromessi a tutte le patologie attualmente conosciute è un’impresa da titani. Quello di Sony è senza dubbio un lodevole passo nella direzione giusta, diamo a Cesare quel che è di Cesare: il comodo e funzionale tasto centrale, quelli laterali altamente modificabili, la possibilità di riconfigurazione ogni singolo elemento tattile e di salvare i propri setup in tre profili attivabili con buona rapidità, oppure ancora l’opzione con cui affidare la simultanea pressione di due tasti a uno solo di essi sono soltanto alcune delle numerose personalizzazioni che il Controller Access mette – più o meno – comodamente a disposizione dell’utente.

IL PARERE DELL’ESPERTA

Personalmente, nonostante l’attitudine per il gaming, sulle prime ho faticato ad abituarmi alla forma circolare che ingannava la mia memoria muscolare, ma è normale che sia così. Chi si approccia per la prima volta al dispositivo deve mettere in conto che difficilmente sarà amore a prima vista, un periodo di rodaggio è pressoché imprescindibile e la sua durata varia da persona a persona. Dal canto suo Arianna ha incontrato non poche difficoltà a gestire la telecamera con l’altra mano, mentre si è trovata decisamente più a suo agio quando ha potuto focalizzare la sua attenzione e la sua coordinazione su un solo controller, naturalmente precedentemente impostato seguendo le sue indicazioni e i riscontri delle sue mani (ad esempio mettendo il tasto più utilizzato al centro, vedi Fall Guys e il salto).

In generale Arianna ha particolarmente apprezzato la corsa dolce dei tasti e la loro sensibilità accentuata, ma anche la leggerezza e la solidità del controller, la rassicurante forma rotonda e, avendo tanti tasti a portata di mano, il poter giocare comodamente appoggiata a un piano senza essere obbligata a tenere le dita o le braccia in posizioni scomode. Per chi soffre di una patologia simile, evitare di sovraccaricare le articolazioni e i tendini per un periodo di tempo prolungato è vitale per non rovinare quello che dovrebbe essere un momento di svago, proprio come lo è evitare di sforzarsi troppo nella digitopressione (NB: per quanto premere dei tasti possa apparire un’azione naturale, indolore e semplice, non dobbiamo mai dare per scontato che lo sia per tutti).

Per chi soffre di una patologia simile, evitare di sovraccaricare le articolazioni e i tendini per un periodo prolungato è vitale

Bene così dunque, sottolineando per un’ultima volta i pro della bella idea di Sony e in barba agli aspetti un po’ meno convincenti di un Controller Access che offre un contributo prezioso a una causa d’inestimabile valore: rimpolpare la schiera di dispositivi nati al nobile scopo di rendere il mondo videoludico un posto migliore per tutti, nessuno escluso.

Voto: 7.6

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Sony Inzone H5 – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-videogiochi-pc-ps4-xbox-wii-u-app/268198/sony-inzone-h5-recensione/ Fri, 22 Dec 2023 13:39:59 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=268198 Stavate cercando un buon paio di cuffie gaming, magari da abbinare esteticamente a una PlayStation 5? Beh, sia che siate utenti PC o console, Sony ha una proposta interessante…

Cuffie. Ne ho provate talmente tante negli ultimi anni, che ormai è praticamente impossibile impressionarmi. Wireless, cablate, aperte, chiuse, stereofoniche, surround, perfino con audio posizionale giroscopico. E quando arriva un paio di cuffie nuovo, le provo sempre con quel misto agrodolce di abitudine e curiosità; solo quando una peculiarità colpisce la mia attenzione, gli occhi tornano a brillare. Stavolta è successo appena le ho indossate, perché a prima vista le Inzone H5 sembrano dei plasticoni in linea con l’estetica – lasciatemelo ribadire, abbastanza questionabile – della PlayStation 5. Ma una volta estratte dalla scatola, così leggera da sembrare vuota, basta afferrarle per rendersi conto di avere in mano un prodotto molto valido.

Pesano solo 260 grammi, hanno un arco piuttosto flessibile e sono quasi interamente ricoperte da cuscinetti in gomma piuma e tessuto. I due padiglioni si afferrano molto bene e, con una rapidissima manovra, possiamo metterli in posizione di ascolto: l’aderenza con le orecchie è perfetta; la possibilità che le Inzone H5 scivolino via è nulla, ma sul capo non si sente alcuna pressione fastidiosa. Se l’ergonomia fosse l’unica voce in capitolo in questa recensione, potremmo chiuderla qui con un bel dieci. Anche il design, non appena fatto l’occhio, appare moderno, gradevole e a suo modo elegante.

 ANATOMIA DELLE INZONE H5

 Le nuove cuffie di Sony possono funzionare in due modalità, wireless e cablate. Nel primo caso, dobbiamo affidarci a un ricetrasmettitore proprietario USB, grazie al quale è possibile spostarsi entro una decina di metri dalla sorgente senza perdere il segnale. Altrimenti, l’altra opzione consiste nel classico cavo stereofonico a jack, con cui è possibile allacciare qualsiasi sorgente musicale dagli anni ‘80 in poi. Purtroppo manca la modalità Bluetooth e il cavo USB serve soltanto per la ricarica – una scelta abbastanza curiosa, questa – per cui sfruttare le Inzone H5 con i telefoni privi di jack potrebbe diventare un po’ problematico.

C’è chi ha risolto con un adattatore da USB di tipo C a USB di tipo A, collegando al telefono il dongle in dotazione, ma non ci sembra una soluzione molto pratica e a favore della portabilità. Altra nota di demerito, già che siamo in tema, è l’impossibilità di staccare il microfono: possiamo soltanto rivolgerlo verso l’alto, obbligandolo al silenzio, ma dobbiamo comunque portarcelo dietro. Una scelta che potrebbe ridurre il desiderio di usare queste cuffie per ascoltare musica in pubblico. In compenso, osservando i comandi sui padiglioni, non c’è assolutamente niente fuori posto. La porta USB C e l’ingresso jack sono immediatamente sotto il microfono, nel padiglione sinistro; la rotella del volume si trova a breve distanza ed è incredibilmente facile raggiungerla col pollice; simmetricamente, sul padiglione destro, troviamo il pulsante d’accensione e un comando che permette di cambiare il bilanciamento tra l’audio del gioco e quello della chat, due canali di comunicazione indipendenti tra loro che vengono visti, da Windows, come due diversi dispositivi di output a cui indirizzare l’audio delle applicazioni. Anche se a prima vista sembra indifferente usare l’uno o l’altro, le impostazioni avanzate come l’equalizzazione e l’enfasi dei bassi hanno effetto solo sul canale Game.

IL SOFTWARE

 

Sebbene sia possibile usare le cuffie un secondo dopo che siano state riconosciute dal sistema operativo, Sony ci permette di sfruttare le loro caratteristiche più avanzate per mezzo di un programma proprietario chiamato Inzone Hub, liberamente scaricabile dal sito web dell’azienda. Ci permette di cambiare l’equalizzazione del suono, l’incidenza del microfono, il bilanciamento tra i canali game e chat e, soprattutto, di attivare la modalità Audio Spaziale 360, con cui è possibile emulare efficacemente un sistema di casse surround a 7.1 canali. La separazione percepita dalle orecchie è buona, con una resa altrettanto efficiente dell’audio posizionale.

I livelli dell’equalizzatore possono essere salvati sotto forma di profili e associati direttamente alle applicazioni. Per esempio, se ci piace ascoltare un media player con le frequenze medie a tavoletta ma, per quel gioco lì, vogliamo i bassi a palla, basta salvare i profili e associare ciascuno di essi alle due applicazioni: passando dall’una all’altra, ci penserà Inzone Hub direttamente a cambiare equalizzazione. Purtroppo, la scelta delle app avviene per mezzo di un file requester di sistema, con cui dovremo individuare l’eseguibile che ci interessa: una procedura che molti utenti faticheranno un po’ a comprendere, ma che può essere facilmente migliorata. Il software permette anche di visualizzare la versione del firmware montata sulle cuffie e sul ricetrasmettitore ma, curiosamente, non ha alcun pulsante per il loro aggiornamento. Ci aspettiamo quindi che eventuali miglioramenti vengano distribuiti direttamente con le nuove versioni del programma.

AUDIO SPAZIALE… MOLTO PERSONALE

 Le cuffie Inzone H5 supportano una tecnologia di equalizzazione biometrica dell’audio surround chiamata 360 Spatial Sound molto simile, per principio di funzionamento, a quanto ha fatto Creative con il suo Super X-Fi. Per avvalercene, dobbiamo scattare una foto a ciascun orecchio tramite un’app per smartphone e creare un account sui server di Sony. Chi ne ha già uno per altri motivi, per esempio perché ha una PlayStation in casa, può associarlo anche al profilo Spatial Sound senza doverne creare per forza un altro. Le foto delle orecchie servono a determinare un livello di equalizzazione ‘ideale’ su misura, con il quale ottenere il massimo in modalità surround.

A meno che non siate terribilmente gelosi della conformazione del vostro apparato uditivo, vi consigliamo caldamente di aderire e di usare questa possibilità, perché è davvero intrigante. La procedura di scansione delle orecchie è rapida e piuttosto semplice, basta inquadrare il volto e ruotarlo come e quando ci viene chiesto; una voce ci guiderà per tutto il processo con semplici istruzioni in Italiano. Purtroppo l’Inzone Hub non prevede la possibilità di usare la webcam integrata nel PC per fare la stessa cosa e questo ci costringe ad avere anche uno smartphone per usarla, ma chissà: magari con un emulatore Android è comunque possibile superare l’ostacolo.

COME SUONANO LE H5

 Di fabbrica, le Inzone H5 producono un suono estremamente equilibrato, senza eccessiva profondità per i bassi e senza spigolature per le frequenze alte, ma anche molto preciso: mi è capitato, ascoltando alcune canzoni con queste cuffie, di notare particolari negli arrangiamenti che in precedenza mi erano sfuggiti, dettagli non particolarmente enfatizzati che, con altri sistemi di riproduzione, probabilmente venivano celati dalla voce o da altri strumenti. Devo dire che non me lo aspettavo, considerando che le H5 – pur costando circa 150 euro – non sono certo il top della gamma e rappresentano la soluzione mainstream “da gamer”, in teoria nulla di più lontano dalle aspirazioni degli audiofili. L’equalizzatore software, in ogni caso, funziona e permette di aggiustare il suono in base ai propri gusti o alle proprie necessità e la differenza, neanche fosse il caso di aggiungerlo, si sente.

Alzando i bassi (perdonatemi questo vecchio gioco di parole), rumori ed esplosioni acquisiscono profondità e, a mano a mano che si sale con le frequenze, i colpi secchi diventano sempre più cristallini, le chitarre e le voci fanno furore… insomma, possiamo goderci l’intera gamma del suono in tutte le sue sfaccettature, senza evidenti distorsioni a volumi piuttosto sostenuti. L’autonomia garantita dalla batteria interna è notevole: circa 27 ore testate sul campo, dopodiché servono tre ore e mezza di collegamento a una sorgente USB per effettuare una ricarica completa. Volendo, bastano dieci minuti di ricarica per avere un’autonomia di tre ore.

SEMBRA PER PS5, MA…

Sebbene l’estetica e qualche sporadica menzione sulla scatola possano apparire fuorvianti, è bene precisare che il prodotto è pensato principalmente per essere abbinato a un PC con Windows 10 o successivo. Le indicazioni di Sony tendono addirittura alla paranoia, quando specificano che le configurazioni dual boot e quelle di “sistemi assemblati dall’utente” non sono supportate, ma è solo per chiarire il target di riferimento (nella fattispecie: il PC su cui ho provato le Inzone H5 è stato orgogliosamente assemblato da me stesso medesimo, e naturalmente le cuffie funzionano benissimo).

Forse si riferivano all’uso con altri sistemi operativi, ma ho potuto verificare personalmente che non ci sono problemi di compatibilità con Linux: le H5 funzionano correttamente in modalità wireless con una vecchia macchina Ubuntu Linux 20, quindi una configurazione di diversi anni fa, anche se prive delle funzioni avanzate permesse dal software. Anche con la PlayStation 5 ci dobbiamo in qualche modo accontentare: funzionano il volume e il bilanciamento tra chat e gioco, ma niente audio spaziale e niente sidetone per il microfono. Insomma, con le console e tutto ciò che esula dal mondo Windows, siamo limitati alle funzioni di base. In compenso, su PC possiamo goderci audio spaziale, equalizzazione, personalizzazione del microfono ed eliminazione intelligente dell’eco, oltre che dei rumori di fondo “tramite AI” (qualunque cosa voglia effettivamente dire, ma l’importante è che funzioni – e sì, funziona).

CONCLUSIONI

A questo punto non resta che promuovere le Inzone H5 di Sony come meritano, con un voto numerico che possa sintetizzare pregi e difetti. Riassumendo, posso dire che il prodotto vince per leggerezza, comodità, autonomia e qualità complessiva dell’esperienza d’uso, in particolare per l’audio spaziale e per la cancellazione del rumore; perde colpi, però, se mettiamo sull’altro piatto della bilancia il supporto solo basilare alla PlayStation 5, l’impossibilità di staccare fisicamente il microfono, l’assenza – davvero inspiegabile, quasi tutte le altre cuffie wireless ce l’hanno – del Bluetooth e, perché no, la possibilità di usare il cavo USB anche per i dati, oltre che per la ricarica, fattore che ci obbliga a occupare due porte del PC contemporaneamente durante l’operazione. 149 euro sono un prezzo interessante e ancora in linea con le caratteristiche del prodotto, ma i campi in cui eccellono veramente sono il peso e la qualità del suono.

Voto: 8.2

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Atari 2600+ – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-videogiochi-pc-ps4-xbox-wii-u-app/266811/atari-2600-recensione/ Fri, 17 Nov 2023 18:02:20 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=266811 Che sorpresona! È tornato l’Atari VCS 2600, anche se in chiave moderna. Scopriamo pregi e difetti di un diverso approccio alle mini-console.

I ragazzi degli anni Settanta e Ottanta, probabilmente, non hanno potuto godere del progresso tecnologico di quelli attuali. I telefoni avevano ancora una rotella di plastica per comporre il numero e le chiamate interurbane, se duravano più di un minuto, costavano una fucilata. Questo senza contare che solo i più fortunati avevano un televisore a colori, perché la maggior parte di noi – pischelli quando alla Casa Bianca c’era Ronald Reagan – doveva accontentarsi dello schermo in bianco e nero e ritenersi fortunata, se quello schermo stava nella cameretta e non era l’unico in casa. Ma gli stessi ragazzi ebbero sicuramente un’opportunità unica, quella di assistere alla nascita di un nuovo modo di divertirsi, i videogiochi.




La storia che vi raccontiamo oggi inizia infatti nel 1975, quando l’Atari di Nolan Bushnell e Allan Alcorn mise in commercio l’adattamento casalingo di Pong, vendendone decine di migliaia di esemplari in poche settimane. Entrambi sapevano che il mondo dei giochi “da attaccare alla TV” (sostanzialmente, delle variazioni di Pong) di lì a poco sarebbe esploso, e così – a costo di vendere la società alla Warner per ottenere i fondi necessari – si misero d’impegno per realizzare un sistema basato su cartucce intercambiabili, sullo stile di quelli che Fairchild Semiconductor ed RCA erano già riusciti a portare sul mercato. Il loro obiettivo, però, era più ambizioso: volevano una console a colori sgargianti, capace di offrire giochi di una certa complessità (almeno per l’epoca) con cui far divertire tutta la famiglia.

Con l’aiuto di Jay Miner che progettò il chip video, e l’impiego di una variante più economica della CPU 6502, nel 1977 nacque l’Atari VCS, Video Computer System, ribattezzato negli anni successivi 2600: la prima console a giochi intercambiabili di grande successo, capace di totalizzare, complessivamente, più di 30 milioni di vendite e una libreria di almeno 550 titoli venduti ufficialmente su cartuccia, riuscendo a cavalcare indenne tutti gli anni ‘80 per terminare la sua corsa soltanto nel 1992, quando ormai a dominare la scena erano le macchine a 16 bit.

Insomma, chi ha giocato con l’Atari VCS/2600 neanche lo sapeva, ma stava vivendo e facendo la storia

Tante sono le leggende legate a questa storica console, per i clamorosi successi come quelli di Pac Man, Space Invaders e Pitfall!, nonché per i tonfi colossali come il tie-in di E.T. capace da solo, secondo alcuni analisti, di innescare una delle più grandi crisi mai sofferte dal settore. Insomma, chi ha giocato con l’Atari VCS/2600 neanche lo sapeva, ma stava vivendo e facendo la storia. Una storia che la stessa Atari, dopo numerosi passaggi di mano, ha deciso di rinverdire con il suo ultimo prodotto, l’Atari 2600+.

NON CHIAMATELA MINI CONSOLE

Chi vuole riscoprire i classici del passato, oggi, può farlo con decine di piccole emulation-box che, in molti casi, ripropongono anche le fattezze in miniatura delle macchine emulate: pensiamo al Super Nintendo Mini, per esempio, o al TheC64 Mini. Prodotti accomunati dal fatto di girare su schede ARM di bassa potenza, di includere una minuta libreria di giochi e di usare controller USB basati su tecnologie moderne, ma incapsulati nello stesso form-factor dei tempi andati. Atari è stata più originale: la sua nuova console 2600+ riprende sì le fattezze del venerando VCS, ma a tre quarti delle sue dimensioni e, udite udite, offre due connettori a 9 pin per i controller e un ingresso per le cartucce, in cui è possibile infilare sia quelle originali per VCS/2600, sia quelle per il successivo e più potente 7800. Una scelta che premia chi ha conservato in garage tutto il software dell’epoca e chi per tutti questi anni lo ha curato e collezionato, nella sua edizione originale, mentre chi non lo ha fatto oggi lo deve ricomprare sullo stesso supporto per poterne nuovamente fruire.

Prodotti accomunati dal fatto di girare su schede ARM di bassa potenza, di includere una minuta libreria di giochi e di usare controller USB basati su tecnologie moderne

Una scelta che prevede uno scenario piuttosto azzardato, cioè la ri-commercializzazione dei classici su cartucce multigioco e l’uscita di versioni modernizzate, o rivedute, nella speranza che le vendite siano sostenibili. Nella scatola troviamo una cartuccia con 10 giochi: Adventure, Combat, Dodge ‘Em, Haunted House, Maze Craze, Missile Command, RealSports Volleyball, Surround, Video Pinball e Yars’ Revenge, tra cui scegliere spostando quattro piccoli interruttori.

Sul retro della cartuccia troviamo l’elenco dei giochi e le posizioni degli switch per caricarli in memoria.

Una selezione che ha le sue ragioni storiche (Combat era incluso anche nel VCS originale!), ma che cozza un po’ con la decisione di offrire un solo joystick in abbinamento: almeno 3 giochi su 10 richiedono due giocatori. Non sarà difficile trovare un secondo controller con cui sopperire (ricordiamoci: possiamo usare anche quelli di tanti anni fa!), magari sarà più complicato convincere qualcuno a sfidarci. Almeno non è necessario spegnere la console per cambiare gioco, perché dentro al dispositivo non pulsa certo una CPU 6507, ma un ben più recente – e purtroppo già piuttosto demodé – Rockchip 3128 a 1.3 GHz, un SOC con quattro core A7 che ha quasi dieci anni di vita sul groppone. Prima di preoccuparci inutilmente delle sue prestazioni, ricordiamoci che deve emulare una macchina mille volte più lenta. E a differenza di quest’ultima, che aveva solo 128 byte (!) di RAM, può contare su 256 MB di memoria DDR3 e altrettanto spazio di storage su una flash card interna. Un bel salto avanti, non è vero?

LA CONSOLE DI UNA VOLTA PER CONSOLE MODERNE

Restare indifferenti al fascino dell’Atari 2600+ è davvero impossibile. È tutta plastica, ma l’effetto legno del frontalino anteriore è molto efficace, perfino al tatto. Nell’angolo inferiore destro il logo bianco di Atari si illumina quando il dispositivo è acceso e, per l’alimentazione, è sufficiente usare un adattatore USB di quelli per i telefoni cellulari o, perché no, collegare un cavo direttamente dalla TV, visto che ormai tutti i televisori offrono una porta di questo tipo. Il segnale transita per mezzo di una porta HDMI e, almeno per la release iniziale del software, lo fa a 720p, il che magari farà storcere il naso a qualcuno (ma perché, poi?) e almeno è compatibile con tutti i modelli usciti negli ultimi 20 anni. Non c’è un’uscita analogica, ma del resto il collegamento a un vecchio televisore non è certo lo scopo del prodotto.

Restare indifferenti al fascino dell’Atari 2600+ è davvero impossibile. È tutta plastica, ma l’effetto legno del frontalino anteriore è molto efficace, perfino al tatto

Sul lato anteriore della plancia troviamo quattro leve, due a destra e due a sinistra dello slot per le cartucce. Nell’ordine: l’interruttore d’accensione, il selettore del tipo di televisore (a colori o in bianco e nero), e due slider a molla chiamati Game Select e Game Reset. Sul retro invece trovano spazio un selettore per le proporzioni dello schermo (16:9 o 4:3), le due prese DB9 per i controller, due selettori indipendenti per la difficoltà e naturalmente la porta USB utilizzata per l’alimentazione o per l’aggiornamento del sistema.

“Ma davvero una volta le TV non avevano i colori? E come si vedevano i giochi?” “Così, mio caro figliuolo!”. Sì, potete simulare la monocromia, ma mancano le scanline.

Nella scatola troviamo anche il cavo di collegamento USB e una fedele riproduzione dell’iconico (ma terribilmente scomodo, per noi mancini) joystick CX40. Quando inseriamo una cartuccia nell’apposita feritoia, il contenuto della sua ROM viene ‘dumpata’, cioè trasformata in un file binario e copiata all’interno della console, ed è possibile accedervi solo inserendo nuovamente la stessa cartuccia. Non pensate, quindi, di ottenere dei giochi in prestito e poi averli sempre a disposizione, perché non sarà affatto così: l’Atari 2600+ riproduce l’esperienza originale, nel bene e nel male, in modo assolutamente fedele.

ATTENTO A COSA CHIEDI; POTRESTI ESSERE ESAUDITO

La primissima osservazione ironica che fanno tutti i detrattori delle mini-console è sempre la stessa: “Ci posso usare le mie cassette, le mie cartucce, i miei floppy?”, salvo poi comprarsela e usare i file binari su una scheda SD che è mille volte più comodo. È successo, regolarmente, tutte le volte che ne è uscita una nuova. Bene, l’Atari 2600+ soddisfa esattamente quel tipo di richiesta, e lo fa talmente tanto bene da rendere l’esperienza di gioco addirittura anacronistica. Il dispositivo non è compatibile con gli ultimi homebrew che necessitano di chip aggiuntivi, né tanto meno è possibile usare moderne interfacce che permettano di scegliere tra più ROM contenute su una memory card: avrebbero bisogno di un dialogo continuo tra cartuccia e console che, sull’Atari 2600+, semplicemente non avviene.

La console vista dal retro, con la cartuccia 10-in-1 inserita.

Atari ha svolto, e sta tuttora svolgendo, un lavoro di testing e di retro-ingegneria per assicurare, via via, la compatibilità con tutte le cartucce uscite sul mercato ma, vi renderete conto anche voi, con più di 500 titoli all’attivo, alcuni dei quali difficilmente reperibili dopo 30 anni, si tratta di un processo lento e arduo da portare a termine. Una compatibility list aggiornata si trova qui e la speranza, chiaramente, è che tutti quei giochi attualmente marcati come Untested (non controllati) un giorno diventino Passed (compatibili). Spiace sempre per quei pochi Fail, ma in fondo è qui che entra in gioco la flessibilità di un emulatore software: di solito basta un aggiornamento per migliorare la situazione. Quanto all’esperienza in sé, è proprio analoga all’originale. Perfino i joystick sono quelli di un tempo – anche se realizzati con le tecnologie e i materiali di oggi, meno resistenti. Volendo è possibile usare anche i joystick e i paddle originali dell’epoca, a patto chiaramente che abbiate giochi che li supportino.

DISTOPIA O UTOPIA?

Senza la possibilità di giocare agli homebrew più complessi e senza un lettore integrato di memory card con cui usare ROM scaricate direttamente da Internet, l’Atari 2600+ combatte la pirateria ma fa un brutto scherzo proprio a chi, realizzando software e interfacce moderne, ha contribuito attivamente a mantenere in vita il ricordo della console originale e a tramandarlo alle nuove generazioni. Il suo unico obiettivo, a meno che un aggiornamento del firmware (o l’uscita di un moderno Supercharger basato su memorie flash) non stravolga tutto in futuro, sembra far girare cartucce vecchie di 40 anni su televisori nuovi di zecca e cercare di venderne qualcuna nuova, a 30 euro cadauna. In pratica ci hanno ridato la console di un tempo, coi suoi 160×192 pixel e i suoi 128 colori (almeno per i giochi NTSC) nella speranza di vederci giocare e, perché no, comprare nuovamente, titoli gloriosi ma – perdonateci il termine – a dir poco antidiluviani. Del resto, se il meccanismo sta funzionando per gli Evercade, perché mai non dovrebbe funzionare anche con l’Atari 2600+? Mi permetto di avanzare qualche ipotesi.

Forse perché Blaze Inc si è concentrata principalmente sui giochi, indipendentemente dal sistema su cui giravano, proponendone succose compilation su cartuccia. O magari perché ogni console Evercade ha un menu di avvio ricchissimo, che pare quello di Netflix, mentre per cambiare gioco sulla cartuccia 10 Games-in-1 in dotazione al 2600+ occorre muovere degli switch con un cacciavite. O anche perché Blaze, ultimamente, propone console con giochi fantastici, scintillanti, usciti dalle sale giochi senza aver accusato i colpi del tempo, mentre qui si contano i pixel sullo schermo e sono sempre troppo pochi: non ci sono nemmeno le scanline o altri filtri per migliorare la situazione o, perché no, simulare almeno parzialmente la resa dei vecchi CRT. Insomma, va bene la nostalgia, va bene la crisi di mezza età del garçon ancien che giocava col VCS a 10 anni, va bene sognare, ma (almeno dal mio punto di vista) ci troviamo di fronte a una mini-console priva della maggiore attrattiva delle altre mini-console: la possibilità di provare cose nuove con maggiore facilità rispetto all’hardware originale.

Un prodotto tanto affascinante nell’aspetto quanto spartano nella realizzazione, a uso, consumo e digestione di un solo tipo di pubblico: il nostalgico che vuole recuperare i videogiochi del suo passato, ma soltanto a patto di averli custoditi con tanta cura, senza alcuna realistica possibilità di ammaliare qualcun altro. Probabilmente la nuova Atari ha intravisto la possibilità di rinverdire i fasti di quella antica, riproponendo la stessa formula a quattro decadi di distanza. Ma facciamo veramente fatica a credere che ci sia un pubblico sufficientemente vasto per ricreare un mercato, anche se di nicchia, con simili premesse.

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PlayStation Portal – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-videogiochi-pc-ps4-xbox-wii-u-app/266434/playstation-portal-recensione/ Mon, 13 Nov 2023 14:01:44 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=266434 Annunciata a marzo col nome di Project Q, quasi in sordina a margine di uno Showcase tra altri nuovi accessori, PlayStation Portal ha fatto da subito parlare di sé. C’era gran voglia di rivedere una console portatile di Sony, dopo l’esperienza non esattamente di successo di Vita, rimasta tuttavia nel cuore degli appassionati.

PlayStation Portal, invece, non è un console portatile a tutto tondo, bensì un “semplice” remote player, una colpa che qualcuno non le ha perdonato fin a subito. Nel weekend abbiamo avuto modo di provare Portal grazie a una unità pre-lancio, omaggio di PlayStation, passando diverse ore in compagnia del dispositivo portatile di Sony. Insomma, il tempo delle supposizioni è terminato: com’è questo PlayStation Portal?




L’occhio vuole la sua parte e la vuole subito, quindi iniziamo le nostre considerazioni su PlayStation Portal partendo dall’aspetto estetico. Il dispositivo è incastonato in un packaging che ne fa percepire da subito il valore, con uno scrigno di cartone rigido dotato di cassetto estraibile comodo anche per riporre in sicurezza Portal fino all’inevitabile arrivo di custodie ufficiali e simili. Al primo impatto, estraendo Portal dal cassetto dello scrigno, è inevitabile rimanere colpiti dalle dimensioni (è più grosso di una Switch, per intenderci), ma anche dal peso contenuto e dall’ergonomia, garantita dalle due impugnature del DualSense che incastonano gli otto pollici di schermo LCD.

PLAYSTATION PORTAL E IL LOOK DEL FUTURO

La sensazione iniziale, confermata dalle successive ore di test, è che non si rischiano crampi e formicolii in caso di sessioni di gioco prolungate, come invece avviene – come nel mio caso – con la console Nintendo. Certo va tenuto conto del fatto che Portal si limita a fare mirroring, ovvero a replicare un segnale video elaborato altrove dalla vostra PS5 casalinga; quindi, ha meno esigenze in termini di componentistica interna, e questa leggerezza si traduce anche in una sensazione di maggiore delicatezza.

Il peso è inferiore a quello che ci saremmo aspettati. Le dimensioni sono quelle di una doppietta a canne mozze (no, non chiedete…).

Lascio volutamente per ultima la riflessione estetica su PlayStation Portal perché inevitabilmente legata a valutazioni soggettive ma, secondo il mio gusto, si tratta di un gran bel dispositivo. Il look riprende linee e forme di PS5, ma anche le dimensioni esagerate: tanto è grossa e imponente PlayStation 5, quanto Portal risulta grande rispetto a qualunque altra console portatile usata come metro di paragone. Allo stesso tempo, però, Portal è caratterizzata da quel look futuribile e futurista che caratterizza da sempre i prodotti da gaming di Sony.

AL PRIMO IMPATTO, ESTRAENDO PORTAL DAL CASSETTO DELLO SCRIGNO, È INEVITABILE
RIMANERE COLPITI DALLE DIMENSIONI

Osservandola sul tavolo di casa pare sia stata catapultata nel nostro tempo da un futuro prossimo, uscita direttamente dall’immaginazione di un consulente al design di una saga fantascientifica, un oggetto che potrebbe facilmente essere il personal assistant tecnologico di un blade runner (dall’estetica decisamente più patinata e rileccata rispetto a quella dello scapestrato Harrison Ford, ovvio). Se schiacciando un tasto quello schermo scomparisse, assorbito grazie a qualche tecnologia oggi impensabile all’interno delle due estremità dal DualSense che si richiudono su sé stesse, non ne sarei particolarmente stupito (no, non lo fa davvero, è un’iperbole di chi scrive, NdR per chi ha difficoltà di comprensione).

PLAYSTATION PORTA(B)L(E)

Al di là dell’aspetto estetico (la PS5 ce l’ha in casa mezzo mondo, anche sul comò rococò della nonna, suvvia!), come si è comportata Portal in questi giorni di test? Semplificando, si potrebbe dire che fa quello che promette: ovvero mirroring della vostra PS5 e dei suoi contenuti. La configurazione iniziale associa il dispositivo al vostro ID PSN, e dunque alla PS5 ad esso collegate, attraverso l’app mobile, dopo di che, qualora abbiate già impostato a dovere le impostazioni del caso, è possibile collegarsi e usarla senza nemmeno passare dalla console casalinga. Nello specifico, è necessario che PS5 sia configurata con l’ultimo aggiornamento di sistema e che siano abilitate sia la condivisione remota che la possibilità di collegarsi a internet e accendersi durante la Modalità Riposo.

Una comparativa in termini di dimensioni tra Portal, Switch, DualSense, 3DS e NDSi.

All’accensione, PlayStation Portal visualizza al centro dello schermo una sorta di… portale dimensionale. E attraverso la pressione di un tasto possiamo chiederle di collegarsi alla nostra PS5: dopo alcuni secondi di attesa (non pochissimi, ma nemmeno eccessivi) ci viene data la possibilità di collegarci. In quel momento PS5 viene risvegliata dalla modalità riposo e oltre a trasmettere le immagini alla TV a cui è collegata, le invia anche a Portal. Quel che vediamo sullo schermo portatile, insomma, non è altro che ciò che vedremmo sulla TV accendendo PS5, potremo utilizzarne le medesime funzioni e giocare agli stessi giochi che già possediamo. La sola aggiunta è un menù di impostazioni di Portal, accessibile attraverso una gesture touch sull’angolo in alto a destra dello schermo, attraverso cui impostare le connessioni e poco altro.

LA CONFIGURAZIONE INIZIALE ASSOCIA IL DISPOSITIVO AL VOSTRO ID PSN, E DUNQUE ALLA PS5 A ESSO COLLEGATE, ATTRAVERSO L’APP MOBILE

Il principale limite di Portal è lo schermo, LCD e fullHD, il che significa che non è possibile godere fino in fondo in portabilità dei colori e delle risoluzioni dei giochi PS5. Questo compromesso (che sono pronto a scommettere verrà colmato attraverso uno schermo OLED in futuri aggiornamenti, in caso di successo commerciale) è comunque compensato dalla dimensione da tablet dello schermo e dalla sua qualità. Non ho le competenze tecniche di DF, ma Portal “si vede bene” (cit.): giocando a Marvel’s Spider-Man 2 o a Returnal, titoli nativi per PS5, si percepisce una resa lievemente meno spettacolare di quanto visualizzato su 55” di OLED in salotto, ma senza dubbio compensata dallo stupore di osservare una simile qualità grafica riprodotta da un dispositivo portatile. Certo, esistono da tempo accessori che trasformano il proprio cellulare in un riproduttore remoto, ma nel caso di Portal lo schermo con la sua dimensione e l’integrazione di tutte le funzioni del DualSense, incluso il feedback aptico, fanno una grossa e sensibile differenza.

Il portale attraverso cui accediamo alla nostra PS5.

Se siete arrivati a leggere fino a questo punto, probabilmente è perché vi state ponendo una domanda importante: ma Portal funziona solo sulla rete domestica di PS5? Detto in altri termini, posso usare PlayStation Portal solo intorno alla mia PS5, o anche fuori casa? Prima di avventurarmi all’esterno, viste le temperature, ho fatto un test casalingo collegando Portal al hotspot del mio cellulare e il collegamento con PS5 è avvenuto ugualmente, magari con un’attesa un filo più lunga rispetto alla rete domestica, ma parimenti stabile. Come ovvio a questo punto, possiamo dire che Portal funziona anche fuori casa, purché sia connessa a una rete (wi-fi o hotspot cellulare non cambia).

IN CONCLUSIONE

In questo caso, tuttavia, bisogna tenere in considerazione qualche contrindicazione. In ordine sparso: la durata della batteria è misurabile in due/tre ore; comprensibile considerato il lavoro in streaming e la dimensione dello schermo (incluso nella confezione c’è solo un cavetto USB), mentre un banale imprevisto a casa come una breve interruzione di corrente può compromettere la Modalità Riposo di PS5 e dunque la possibilità di connettersi.

PER ME HA QUEL FASCINO FORTISSIMO DI OGGETTO DAL FUTURO, CHE COMPENSA IL FATTO DI NON FARE POI NULLA DI FUTURISTICO O INEDITO

Tirando le somme, PlayStation Portal non è certo indispensabile, ma questo lo sapevamo già. I dubbi riguardavano semmai la sua fattura, e dal mio punto di vista c’è poco da lamentarsi: schermo bello grosso, ergonomia ottima e funziona fuori casa. Per qualcuno è inguardabile, per me ha quel fascino fortissimo di oggetto dal futuro, che compensa il fatto di non fare poi nulla di futuristico o inedito. Ma lo fa in grande stile, va detto.

Voto: 8

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M75 Air, l’ultraleggero di Corsair – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-videogiochi-pc-ps4-xbox-wii-u-app/264797/m75-air-lultraleggero-di-corsair-recensione/ Thu, 12 Oct 2023 13:30:55 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=264797 Corsair ci ha mandato un esemplare del suo nuovo gaming mouse. Dimenticate tutte le mollezze: l’M75 Air pesa come una piuma e offre solatanto l’essenziale. Senza fili.

Probabilmente avrete letto la recensione dello Scimitar Elite Wireless, qualche giorno fa, e sarete rimasti colpiti – magari anche un po’ straniati – dalla sua quantità di pulsanti programmabili. Ma se, invece, foste alla ricerca dell’esatto opposto?

Il nuovo M75 Air, con i suoi 60 grammi di peso, è indubbiamente il mouse senza fili più leggero che abbiamo avuto l’occasione di provare: è davvero una piuma, ma tanta leggerezza si paga a un prezzo che pochi sono disposti a sostenere, l’assenza quasi totale di funzioni avanzate.

SOLO L’ESSENZIALE

 L’M75 Air arriva in una scatola di cartone interamente riciclabile, senza parti in plastica nell’imballaggio. Una scelta ecologica che ci sentiamo di sostenere. Una volta aperta la confezione, troviamo ad accoglierci il mouse, avvolto in un foglio di carta velina come se fosse un alimento, un cavetto calzato USB da tipo A a tipo C per la ricarica della batteria interna e il ricetrasmettitore USB a bottoncino con la tecnologia proprietaria Slipstream, oltre a due guide in carta sulla garanzia e sulla sicurezza. Il dispositivo ha una forma anatomica perfettamente simmetrica, ma i due unici tasti laterali si trovano sul lato sinistro, il che li rende accessibili in realtà soltanto a chi impugna abitualmente il mouse con la mano destra. A differenza dello Scimitar, che era un po’ più “tozzo”, l’M75 Air recupera la lunghezza “abituale” di 12 cm e, per tanto, risulta più comodo da impugnare con tutto il palmo della mano.

La rotella centrale si muove a micro-scatti e non è prevista una modalità “libera”, dotata di un movimento più fluido. Non ci sono altri pulsanti, nemmeno un selettore veloce per profili o per i DPI, né circuiti per l’illuminazione: di fatto, sembra di trovarsi di fronte a un mouse di vent’anni fa, solo senza filo e molto, molto più leggero e preciso.

La rotella centrale si muove a micro-scatti e non è prevista una modalità “libera”, dotata cioè di un movimento più fluido

Sul fondo, troviamo tre elementi: il sensore Marksman da ben 26.000 DPI (anche se la risoluzione preimpostata è 1.200 punti per pollice), il pulsante di selezione della modalità operativa e un alloggiamento per il ricetrasmettitore a bottoncino, ove riporlo durante la ricarica o se decidiamo di usare il dispositivo con una connessione Bluetooth. L’unica comunicazione fisica con l’utente è riservata a un microscopico led posizionato al centro, la cui sola funzione è comunicare l’accensione del dispositivo, la modalità usata e se per caso incombe la necessità di una ricarica.

… TUTTA SOSTANZA!

Essere tanto spartani non è necessariamente un male. Sono diversi i giocatori – soprattutto di FPS – che si lamentano della presenza eccessiva di tasti nelle periferiche da gioco e preferirebbero un approccio più basilare, ma di ottima qualità. L’M75 Air si rivolge espressamente a loro, anzi, soltanto a loro. Una volta configurata la risoluzione con il software iCUE, e decisa la funzione dei due tasti laterali, quelle sono e quelle restano. Se decidiamo di salvarle direttamente sulla periferica, si mantengono anche spostando il dispositivo su un altro computer privo del software di Corsair. Non c’è modo di scegliere tra diversi profili hardware, perché sulla periferica ce ne sta soltanto uno. Non c’è neanche modo di scalare tra più livelli di DPI differenti: anche qui, uno solo e basta.

Al massimo, possiamo impostare un valore secondario in modalità cecchino e poi programmare uno dei due tasti laterali (o la rotella) per attivare questa modalità. In compenso, i tasti sono di tipo opto-meccanico e la velocità di polling, anche senza cavo usando il ricevitore a bottoncino, è di 2000 Hz, il doppio rispetto a quanto abbiamo sempre considerato ottimale. Se poi vogliamo usare il mouse tramite Bluetooth, possiamo sempre farlo e questa è un’opzione che non dovremmo mai dare per scontata

Se poi vogliamo usare il mouse tramite Bluetooth, possiamo sempre farlo e questa è un’opzione che non dovremmo mai dare per scontata

I cuscinetti in PTFE, posizionati strategicamente ai bordi del lato inferiore, assicurano la massima stabilità e scorrevolezza su tutte le superfici, anche se chiaramente i risultati migliori si ottengono con un tappetino di buona qualità. È notevole anche l’autonomia dichiarata di 70 ore tra una ricarica e la successiva, ma questa dipende dall’uso che si fa del dispositivo: al momento non saprei confermarla o meno ma, dopo qualche giorno di impiego dell’M75 Air, non ho ancora dovuto ricaricarlo.

TUTTO PERFETTO CON M75 AIR? DIPENDE

 Come abbiamo visto, l’M75 Air è un mouse decisamente particolare: spartano, essenziale, diremmo tranquillamente scarno nelle funzionalità accessorie, quasi del tutto privo di appeal scenico ma volutamente concentrato sulla sua missione: offrire la massima leggerezza e precisione possibile agli amanti degli FPS, che di sicuro non hanno bisogno di un mouse a 18 tasti per giocare. Anzi, darebbero pure fastidio. E sotto questo aspetto nulla da dire: missione compiuta, perfettamente. Il problema subentra quando introduciamo anche una nuova variabile, il prezzo. Quanto siete disposti a pagare per tutto questo?

Secondo Corsair, la cifra giusta sono i 149 euro di listino di questo dispositivo che, per carità, è precisissimo, è comodissimo ed è oltre modo leggero, più leggero di una piuma, sicuramente più leggero di qualsiasi altro mouse senza filo. Ma una volta usciti dall’FPS o dalla sessione di e-sport, e tornati al desktop, quello che ci resta – letteralmente – in mano è pur sempre un mouse a cinque pulsanti (destro, sinistro, rotella, avanti e indietro) e niente più, a cui possiamo assegnare metà delle funzioni di tutti gli altri modelli della stessa Corsair, un solo profilo, una sola risoluzione per volta

La sensazione di aver pagato di più per aver avuto di meno, almeno per quanto riguarda lo scrivente, è piuttosto forte

La sensazione di aver pagato di più per aver avuto di meno, almeno per quanto riguarda lo scrivente, è piuttosto forte. E tutto questo al netto delle ottime qualità intrinseche, riconosciute e assolutamente straordinarie di questo mouse. Bello, ma da ragionarci un po’ sopra e da prendere solo in caso di specifiche esigenze ludiche o professionali.

VOTO: 8

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Corsair Scimitar Elite Wireless – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-tecnologia/264088/corsair-scimitar-elite-wireless-recensione/ Mon, 02 Oct 2023 08:08:02 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=264088 Chi trova un amico trova un… mouse, o almeno questo è capitato a me con lo Scimitar Elite Wireless di Corsair: un po’ mouse, un po’ tastierino aggiuntivo.

Chi gioca purtroppo lo sa: mouse e tastiera, a volte, non sono particolarmente comodi da usare, soprattutto se la funzione che ci serve è molto lontana dai tasti W A S D e tocca mollare la presa per schiacciare un altro tasto o, peggio, una combinazione di due.

Del resto, neanche Windows e le sue applicazioni da scrivania ci vanno leggeri, con scorciatoie che spesso richiedono la combinazione di due o tre pulsanti agli antipodi della tastiera per funzionare. Per aggirare il problema, diverse aziende propongono controller un po’ bizzarri che estendono le tipiche funzioni del mouse o di un joypad con diversi pulsanti aggiuntivi e lo Scimitar di Corsair, in qualche modo, rientra nella categoria.

CABLATO E SENZA FILI: ECCO CORSAIR SCIMITAR ELITE WIRELESS

 La nuova versione dello Scimitar è, come suggerisce anche il nome, senza fili: al suo interno c’è una batteria che si può ricaricare – secondo le tradizioni di Corsair – anche durante l’uso della periferica: basta impostare la modalità cablata con un apposito selettore sul lato inferiore e collegare il mouse al computer. La ricarica dura circa 90 minuti e garantisce un’autonomia che può spingersi fino a 150 ore, ma che dipende chiaramente dall’intensità di utilizzo. Quanto alle possibilità di collegamento wireless, possiamo optare per il ricetrasmettitore proprietario a bottoncino (che si collega a una porta USB ed è quasi invisibile) oppure per la modalità Bluetooth, a cui possiamo ricorrere con qualche limitazione sui dispositivi in cui latitano altre porte di comunicazione.

È comunque nella modalità proprietaria Slipstream Wireless che possiamo sfruttare la periferica nel migliore dei modi, traendo vantaggio dal sensore da 26.000 dpi e dalla velocità di polling che arriva a 2000 Hz, il doppio rispetto ai 1000 Hz normalmente considerati ottimali per questo valore.

L’aspetto più notevole di questo mouse è il mini-tastierino laterale posizionato sul suo lato sinistro e, quindi, facilmente pilotabile con il pollice della mano destra

Va da sé che, come abbiamo detto e ripetuto più volte in passato, le risoluzioni sempre più elevate dei sensori in realtà non servono a gran che, ma se non altro dovrebbero aumentare la precisione con cui il mouse può rilevare i movimenti più rapidi della nostra mano. In questo caso, Corsair dichiara che lo Scimitar Elite Wireless sia in grado di captare correttamente accelerazioni fino a 50G, ma riuscire a verificarlo purtroppo va oltre le mie facoltà umane.

ADATTABILE E MULTIFUNZIONE

L’aspetto più notevole di questo mouse è il mini-tastierino laterale posizionato sul suo lato sinistro e, quindi, facilmente pilotabile con il pollice della mano destra. I mancini che ancora si ostinano a voler usare il mouse con la mano sinistra, purtroppo, lascino perdere: per loro, servirebbe una versione appositamente studiata della periferica, con tutte le forme ribaltate. Il tastierino può essere spostato in avanti o indietro con un cacciavite a brugola fornito in dotazione: il meccanismo di sblocco è accessibile attraverso una fessura posizionata accanto alla lente del sensore (è piuttosto difficile confondere le due feritoie, ma… per evitare danni fate attenzione!)

.La ricarica dura circa 90 minuti e garantisce un’autonomia che può spingersi fino a 150 ore, ma che dipende chiaramente dall’intensità di utilizzo

La possibilità di scegliere la posizione esatta del tastierino rispetto al polpastrello del dito pollice è decisamente benvenuta, dato che bastano pochi millimetri a rendere la prima o l’ultima colonna di pulsanti scomodamente accessibile. Personalizzando la periferica, invece, il problema non si pone proprio. Vista la posizione, i classici pulsanti “avanti” e “indietro” sono stati sacrificati, ma nulla ci impedisce di assegnare le medesime funzioni a due pulsanti del tastierino (ed è esattamente ciò che abbiamo fatto prima di scrivere questa recensione).

A ciascun pulsante possiamo assegnare di tutto: un singolo pulsante della tastiera o una combinazione di più tasti, un selettore della lingua, una funzione tipica del mouse (come i suddetti pulsanti avanti e indietro, lo scorrimento laterale, ma anche la modalità cecchino), la composizione di un testo, il lancio di un’applicazione oppure una specifica macro. Tutto questo, insieme all’effetto di illuminazione del logo di Corsair sul dorso, per mezzo del solito software iCue. L’uso del programma potrà apparire un po’ ostico ai principianti, perché tocca comprendere la logica delle assegnazioni e dei profili, ma bastano poche ore di applicazione per imparare. Corsair permette di memorizzare fino a tre profili diversi direttamente sulla periferica, permettendoci di usarli anche su altri computer diversi dal nostro.

ALCUNE PICCOLE ASPERITÀ

 Per qualche motivo, quando proviamo le periferiche incappiamo sempre in qualche piccola perplessità. Dicevamo poco fa che è possibile assegnare ai tasti anche le combinazioni di pulsanti: ci è venuto spontaneo realizzare un profilo anche per l’impiego “lavorativo” e, se per le classiche funzioni copia, taglia, incolla (ctrl+C, +X e +V) non ci sono stati problemi, quando abbiamo cercato di assegnare a un pulsante la combinazione Alt+Stamp (che memorizza nella clipboard il contenuto della sola finestra corrente) si è verificato un problema: l’opzione “Battuta tasto” non recepisce la pressione di questi due pulsanti insieme, forse a causa delle ultime novità di Windows 11 in merito a Stamp, per cui siamo dovuti ricorrere a un simpatico work-around: registrare una macro con la successione dei tasti Alt e Stamp, per poi spostare gli eventi in modo da simularne la pressione contemporanea. Il registratore di macro, infatti, è abbastanza furbo da registrare l’inizio e la fine della pressione di un tasto come eventi diversi, per cui non è stato difficile simulare questa combinazione. Strano, considerando che anche situazioni ipoteticamente più impegnative come la pressione di Win+Tab (per aprire la selezione delle finestre) vengono gestite correttamente.

IN CONCLUSIONE

Secondo la nostra bilancia, lo Scimitar Elite Wireless pesa esattamente 113 grammi. Non rientra di diritto nella categoria dei super-leggeri, ma sono solo 10 grammi in più dell’acclamato G502X di Logitech, un risultato notevole per un mouse senza fili. Rispetto ad altri modelli, come il caro buon vecchio Nightsword sempre di Corsair, il succitato G502X o anche il Rog Harp Ace di ASUS, è invece più corto di oltre un centimetro, il che lo rende un po’ più bombato e più gradito a chi ha mani di dimensioni contenute.

Secondo la nostra bilancia, lo Scimitar Elite Wireless pesa esattamente 113 grammi. Non rientra di diritto nella categoria dei super-leggeri, ma comunque un risultato notevole per un mouse senza fili

Chi non rientra nella categoria, invece, probabilmente dovrà abituarsi a non appoggiare tutto il palmo della mano sul dorso della periferica, banalmente perché non potrà farlo. Non è un problema dato che ci si abitua facilmente, ma chi è solito afferrare il proprio mouse con fermezza e sentirne il dorso per tutta l’area del suo palmo, invece, farà un po’ più fatica. Detto questo, noi ci siamo trovati davvero molto bene e non esitiamo a consigliarlo, soprattutto a chi potrà trarre molto vantaggio dalla comodità del tastierino laterale.

Voto: 8.2

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FLEXISPOT E7H – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-tecnologia/261034/flexispot-e7h-recensione/ Fri, 04 Aug 2023 06:58:40 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=261034 Ebbene sì, un tavolo tra le pagine di Thegamesmachine.it. Il FLEXISPOT E7H non una semplice base d’appoggio ma un piano mobile pensato per utilizzi moderni: dalla semplice scrivania a un piano rialzato che può essere utilizzato stando in piedi (per presentazioni e video).

COME FUNZIONA

All’apparenza una normale scrivania, stabile sulle sue du gambe di solido acciaio. Ma la presenza dei due motori laterali fanno la differenza consentendo, infatti, di spostare il piano d’ppoggio da un’altezza minima di 68 fino a un massimo di 133 cm. Flexispot E7H può essere così utilizzato sia come una normale scrivania di lavoro stano seduti, fino ad arrivare ad un desk utilizzabile stando in piedi per eseguire presentazioni e live streaming.
L’acquisto avviene sul sito www.flexispot.it dove si possono trovare molti molti altri modelli, differenti da quello scelto da noi, il FLEXISPOT E7H. I passaggi per l’asemblaggio sono molto semplici da eseguire. Dopo aver deciso il colore del telaio, si passa a dimensione e forma del piano d’appoggio per concludere con gli accessori (porta computer, passa cavi, prese, porta tastiera…).

COSTA MA VALE

Il prezzo, salvo sconti del momento, parte dai 469 euro della struttura metallica motorizzata, a cui vanno aggiunti piano e accessori. Dopo qualche giorno, arriva al domicilio indicato il tutto in scatola da montaggio con istruzioni molto dettagliate e in italiano.

L’assemblaggio è semplice e ben descritto, ma meglio essere in due.

Estremamente precise e con tutti gli accessori necessari a corredo permettono di terminare l’assemblaggio in circa mezz’oretta, forse meno, a patto di essere in due (la sola struttura metallica pesa oltre 35 Kg). Particolare attenzione va posta nell’assemblaggio del controller ma nulla di complesso. La fattura di ogni elemento è ottima: solido metallo, saldature perfette, accoppiamenti precisi, colore applicato con cura.

Segnaliamo che sono attivi in questo periodo i saldi estivi e che dal 28 agosto al 1° Settembre ci sarà l’anniversario dell’azienda: si prospettano grandi offerte sul sito www.flexispot.it.

COME SI USA IL FLEXISPOT E7H

Passiamo all’uso. Molto dipende dal piano d’appoggio scelto (ricordiamo che è opzionale), disponibile in varie dimensioni e anche curvo. Il peso che i due motori laterali sono in grado di gestire è di 125 Kg, più che sufficiente anche considerando il doppio monitor, un PC carrozzato e accessori del caso. Il movimento massimo è di 4 cm al secondo e il pannello di controllo è molto semplice da utilizzare permettendo di memorizzare 2 posizioni differenti e di passare alla posizione di altezza minima e massima con un solo clic. è presente la funzione blocco bambini per evitare movimenti involontari e sul controller troviamo un’utile porta USB con funzionalità di ricarica, solo 1A, ma meglio che niente.
Ottimo prodotto, dall’alta qualità costruttiva ma dal prezzo altino, pur se inferiore a brand noti del mondo gaming. Fateci un pensiero se siete alla ricerca di un tavolo mobile.

+ Qualità costruttiva elevata, componenti di ottima fattura.
+ Assemblaggio semplice e ben descritto dalle istruzioni.
+ Controller intuitivo, pre-memorizzazioni e blocco bambini.
Costo altino, anche se allineato alla qualità.

VOTO: 9.3

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MSI Raider GE78HX 13VH-069IT – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-tecnologia/261099/msi-raider-ge78hx-13vh-069it-recensione/ Wed, 02 Aug 2023 08:38:39 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=261099 Il Raider accompagna la linea dei notebook gaming performanti di MSI da lungo tempo: il Raider GE78HX alza l’asticella, creando nuovi limiti da superare.

LA CONFIGURAZIONE DEL Raider GE78HX 13VH-069IT

display notevole: luminosità 400 nit, risoluzione QHD+, velocità di risposta e refresh alto a 240Hz: non male anche nel formato, ora 16:10.

Chiaramente durante la sua evoluzione ha saputo rinnovarsi sia nelle finiture, sia, ovviamente, nella componentistica che in questo modello troviamo al massimo dell’aggiornamento. In un accattivante look in metallo grigio scuro titanio, troviamo Intel i9-13950HX, chipset HM770 Raptor Lake, 2 slot DDR5 con 32 GB a bordo, schermo IPS 17″ QHD+ (2560×1600 pixel) con 240 Hz di refresh. Non può mancare NVIDIA GeForce RTX 4080 laptop GPU con 12 GB GDDR6. In dotazione NVMe M.2 SSD da 2 TB di produzione Micron, ma un secondo slot è disponibile. Il Raider GE78HX esiste comunque in altre configurazioni.

ASPETTO SOLIDO

Se l’aspetto è ben proporzionato e solido, ci colpiscono le cerniere dello schermo rigide al punto giusto (anche se l’apertura non è a 180gradi). Alla prima accensione chiaramente appariscenti gli effetti Mystic Light RGB frontali e della tastiera forse un po’ esagerati, ma gestibili completamente e finemente sia da combinazione di tasti sia da software. La tastiera SteelSeries ha tasti con corsa abbastanza breve, ben proporzionata e con plastiche di trasparenza differente per i tasti dedicati al gioco. Si prende subito confidenza.

Sebbene non meccanica, con la tastiera SteelSeries si raggiunge subito il feeling giusto. Poca la corsa dei tasti ma questi sono ben posizionati e proporzionati

Anche il collegamento delle periferiche esterne è ben pensato con rete cablata (non manca un Wi-Fi 6E AX1690 e Bluetooth v5.3), HDMI 2.1, USB 3.2 Type C e alimentazione sul retro, mentre sui due lati troviamo 3 USB 3.2 (di cui una Type C) da una parte, e Thunderbolt, Lettore Memory Card e jack audio combo dall’altro. Sparse ovunque troviamo numerose feritoie con due scopi specifici: diffondere l’audio prodotto dai 6 speaker ma, soprattutto, espellere l’aria calda estratta dal nuovo sistema di raffreddamento ad aria Cooler Boost 5 che raffredda con la stessa componentistica sia CPU, sia GPU. Il calore prodotto è decisamente molto. Sebbene non incida sulla prestazioni, grazie al sistema di raffreddamento ben progettato presente sul Raider, non è certo un notebook che può essere tenuto sulla gambe. Solo CPU e GPU, infatti, spinte al massimo, richiedono 250 Watt di potenza (prodotti da un corposo alimentatore esterno da 330 Watt), decisamente tantini per un notebook comunque abbastanza compatto: 38 x 29,7 x 2,87 cm. Anche il peso non è esiguo con i suoi 3,1 Kg che contengono una batteria a polimeri di litio da 4 celle e 99,9 Wh. La gestione dei consumi tramite applicazione MSI e gestione Windows (che non sempre vanno di comune accordo) portano risultati interessanti comunque: da 1,5 ore nell’uso intenso, fino a oltre 5 ore nel semplice lavoro di ufficio.

PRESTAZIONI del RAIDER GE78HX

Alla prova d’uso ha decisamente brillato, dopo una adeguata installazione di driver e un tuning sulla performance non ha mai dato segni di cedimento salvo un rumore importante prodotto dal sistema di raffreddamento. Le prestazioni in quella configurazione consentono di lasciare tutti i parametri al massimo con tutti i giochi alla massima risoluzione QHD+. I risultati sono eccezionali superando in ogni test la generazione precedente e raggiungendo anche guadagni del +40/43% rispetto a eguale modello 12th gen Intel e RTX3080. Anche il confronto tra il Raider con altri modelli che sfruttano la RTX 4090 è una sorpresa: il divario è davvero esiguo, solo di alcuni punti percentuali difficili da rilevare nell’uso pratico ma solo con un test. Il GE78 utilizza il pannello AU Optronics B170QAN01.2 IPS, simile alla versione GE77 precedente salvo la frequenza di aggiornamento ora di 240 Hz e le dimensioni di 17” contro i 17,3” del precedente: ottima secondo il nostro giudizio la scelta di passare al rapporto d’aspetto 16:10. 400 i nit a disposizione.

In conclusione, dal punto di vista delle prestazioni, il GE78 spinge parecchio anche se i consumi sono più alti rispetto alla precedente generazione.

In conclusione, dal punto di vista delle prestazioni, il GE78 spinge parecchio anche se i consumi sono più alti rispetto alla precedente generazione. La scelta cade o su RTX 4080 o 90, perchè la 70 è vicina come risultati alla 3080 Ti. Il design, rivisto, è semplice ma non ci dispiace; ricordiamo ancora l’adattamento ai 16:10 del display e la presenza di due ottime cerniere. Netto il divario di prestazioni con la generazione precedente. Da un +10 a quasi il +50% nei vari settori. Considerando i miglioramenti tecnologici oltre la componentistica (refresh schermo, 16:10, batteria ottimizzata, struttura metellica rinforzata, cerniere ottime…) il passo in avanti è notevole. Difficile esprimersi sul prezzo del nuovo Raider GE78HX, che è di € 4.499. Trovate i modelli disponibili qui.

VOTO: 9.2

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MSI AX1800 WiFi USB Adapter – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-tecnologia/256110/msi-ax1800-recensione/ Mon, 22 May 2023 09:02:19 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=256110 Un piccolo ma fenomenale adattatore USB, con cui collegare senza fili qualsiasi computer a una rete locale gestita da un router Wi-Fi 6: et voilà l’MSI AX1800.




Qualche settimana fa abbiamo pubblicato la recensione del router MSI RadiX AX6600, elogiandone le qualità e menzionando anche un secondo dispositivo di ricezione proposto dalla stessa azienda, l’AX1800, di cui avremmo voluto parlare in un paragrafo ad hoc. Poi, come talvolta succede, nella fretta di chiudere l’articolo e di mandarlo on-line questa parte è saltata via. Poco male, ne parliamo oggi in questa sede perché sicuramente ne vale la pena.

ABBIAMO IL WI-FI, E ADESSO?

Disporre di un router Wi-Fi 6 o superiore nella propria rete locale è un requisito indispensabile per consentire ai PC e ai dispositivi wireless di ultima generazione di sfruttare le più recenti e veloci modalità di trasmissione dei dati, ma non è certo l’unico perché tutti i computer presenti in casa possano trarne vantaggio. Questo perché, naturalmente, se da qualche parte nella rete locale c’è un trasmettitore ad alta velocità, è necessario che anche i computer che devono collegarsi siano in grado di sostenere la comunicazione dei dati. In altre parole, devono disporre di un ricevitore wi-fi compatibile con la versione 6 del protocollo.

MSI AX1800

MSI ci viene in aiuto con l’AX1800, un ricevitore facilissimo da installare perché ha bisogno soltanto di una porta USB e delle versioni 10 o 11 di Windows. Questo adattatore è compatibile con tutte le versioni della porta, ma chiaramente offre il meglio di sé quando è collegato a una porta USB 3.2 Gen 1 (o 3.0 a dir si voglia) o superiore, visto che le versioni precedenti (2.0 e 1.1) funzionano ma costituirebbero un collo di bottiglia, per non dire un limite invalicabile, al fluente passaggio dei dati. Ma ne riparliamo dopo.

DIRETTO O CON DOCKING STATION

L’AX1800 si può collegare al computer in due modi: direttamente o tramite una prolunga fornita in dotazione. Non fa alcuna differenza dal punto di vista delle prestazioni, è più una questione di comodità: chi preferisce collegare il dispositivo direttamente a una porta USB del proprio computer vedrà spuntare dal medesimo una nuova “antenna” piuttosto vistosa, che potrebbe costituire un intralcio alla propria libertà di manovra (a volte i produttori di computer portatili piazzano le porte USB in modi davvero diabolici). In tal caso, si può ricorrere alla prolunga: un cavetto USB che termina in una docking station a cui, a sua volta, si può collegare l’AX1800 e aprirlo fino al massimo della sua estensione.

msi ax1800

Questa soluzione sarà certamente apprezzata da chi, invece di un portatile, deve collegare alla rete un computer fisso: posizionare l’AX1800 dietro al pannello posteriore del case, con tutto il metallo che può esserci nelle circostanze e la prospettiva di un muro alle spalle, effettivamente, non è la migliore delle idee. Grazie al cavo possiamo portare l’adattatore fino al livello della scrivania e metterlo in una posizione più vantaggiosa per ricevere e trasmettere dati. Chi non ha una scheda madre dotata di ricevitore Wi-Fi 6 e relativa antenna, insomma, troverà nell’AX1800 e nella sua docking station un formidabile rimpiazzo.

LE PRESTAZIONI DELL’MSI AX1800

Di suo, l’AX1800 è un adattatore dual band che può operare sulle frequenze di 2,4 e 5 GHz. Nel primo caso, viaggiando fino a una velocità teorica di 574 Mbps, nel secondo fino a 1.200 Mbps: sommando questi due valori si ottengono i famosi “1800” Mbps pubblicizzati fin dal nome del dispositivo. Sono valori che possiamo attenderci solo nel migliore dei casi, cioè quando router e ricevitore sono posizionati a breve distanza nella stessa sala; quando metri, muri e solette cominciano a frapporsi tra i due la velocità è destinata a scendere. Una volta posizionato il router e il computer a un piano e a un paio di muri di distanza, la velocità dell’AX1800 si è assestata sopra i 500 Mbps, che a mio avviso rappresentano un risultato decisamente buono (alla stessa distanza, con una vecchia rete da 2,4 GHz si sarebbe viaggiato a poco più di un decimo).

msi ax1800

La situazione, chiaramente, è destinata a cambiare sulla base della porta USB utilizzata, ed è qui che la questione può farsi piuttosto spinosa, soprattutto se intendiamo migliorare le prestazioni di rete di un PC portatile. Mentre un modo di adattare un desktop si trova sempre – male che vada, se il computer non dispone di una porta USB 3.0, basta comprare un’apposita scheda di espansione PCI Express – coi portatili bisogna accontentarsi di quello che si ha. I primi notebook con wi-fi 5 sono usciti nel 2014 e le loro connessioni, in genere, non necessitano di un incremento.

con le porte USB, male che vada un modo di adattare un desktop si trova sempre, invece coi portatili bisogna accontentarsi di quello che si ha

A tutto ciò che è venuto prima, però, possono mancare le porte USB 3.0 necessarie a questo adattatore per dare il meglio: abbiamo provato a collegarci a una rete wi-fi 6 con una porta USB 2.0 e il massimo che siamo riusciti a cavare dal test sono stati 52,3 miseri megabyte al secondo, equivalenti a circa 420 Mbps con router e computer nella stessa stanza. Allontanandoci, siamo crollati a un quarto di questa cifra. In altre parole: non sempre è il caso di sostituire l’adattatore built-in con uno USB, soprattutto sui PC molto vecchi.

CONCLUSIONI

Sebbene la velocità di trasferimento “reale” dei dati sia diversa da quella scritta sulla confezione e destinata fisiologicamente a diminuire, a mano a mano che ci allontaniamo dal router, questo adattatore ha dato prova di solidità e affidabilità, offrendo le migliori prestazioni possibili e una notevole stabilità della rete, senza inopportune, improvvise e inspiegabili disconnessioni. Se avete l’hardware necessario e la specifica esigenza di collegare un PC utilizzando almeno la versione 6 del protocollo, l’AX1800 è sicuramente una delle alternative da prendere in dovuta considerazione.

Voto: 8

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ASUS ROG Falchion Ace – Recensione https://www.thegamesmachine.it/highlight2/256092/asus-rog-falchion-ace-recensione/ Sat, 20 May 2023 10:26:45 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=256092 Vi serve una tastiera meccanica da infilare in qualsiasi zaino o borsetta per il portatile? ASUS ha quello che fa per voi: con la sua nuova ROG Falchion Ace andate dappertutto!




Inutile farla lunga: quando ci si abitua alla propria tastiera, soprattutto se è una valida tastiera meccanica, è piuttosto difficile rinunciarvi. E non solo per scopi meramente ludici: le dita hanno bisogno di certezze, soprattutto quando devono battere lunghe sequenze di tasti per creare testi di una certa rilevanza. Tipo questa recensione, per dire, composta direttamente sul prodotto di cui parla.

DIMENSIONI STANDARD, MA ULTRACOMPATTE

Non mento se intitolo questo paragrafo con un apparente ossimoro: come fa una tastiera a essere compatta e, contemporaneamente, avere dimensioni standard? Semplicemente, con “dimensioni standard” intendo quelle dei tasti, con i loro keycap larghi e profondi come quelli di qualsiasi tastiera, mentre invece la ROG Falchion Ace, nel suo complesso, è ridotta ai minimi termini. Il sottotitolo “65% Mechanical Gaming Keyboard” non rende bene l’idea, ma forse le foto sì. Larga poco più di 30 cm e profonda soltanto 10, con un’altezza massima inferiore ai 4 cm, questa tastiera dispone unicamente del blocco alfanumerico, con l’aggiunta dei tasti cursore e di soli quattro tasti di controllo del cursore (Ins, Canc, PgSu e PgGiù, tutti incolonnati sul lato destro).

asus rog falchion ace

Non c’è il tastierino numerico e non ci sono neanche i tasti funzione, replicati dalla prima fila di tasti numerici in alto con l’ausilio del tasto Fn. Immediatamente più in basso, la pressione del tasto Fn insieme ai pulsanti dalla Q alla U permette di accedere alle più basilari funzioni multimediali, mentre il printscreen ottenuto con il tasto Stamp è sostituito dalla combinazione Fn+P. Questo implica che, se da un lato possiamo occupare davvero pochissimo spazio sulla scrivania e portarci la tastiera ovunque, dall’altro saremo costretti a imparare un bel po’ di combinazioni di tasti nuove di zecca, o comunque un po’ più complicate del solito. Per esempio, per selezionare tutto un testo “da qui alla fine” è necessario premere ben quattro tasti: Ctrl+Shitf+Fn+PgGiù, non proprio il massimo della comodità per chi usa LibreOffice e affini.

PICCOLA MA MOLTO SERIA

Non fatevi ingannare dalle dimensioni contenute: dal punto di vista meccanico, la ROG Falchion Ace non fa certo rimpiangere le tastiere più grosse. È dotata di retroilluminazione e, grazie ai keycaps a più strati con incisione laser, la versione nera riesce a farsi vedere benissimo durante l’uso, con i caratteri ben leggibili su ogni tasto, compresi i pochi tasti che hanno anche dei caratteri nella riga inferiore e, soprattutto, quelli dotati di funzione accessoria con il tasto Fn, il cui significato è riportato nel lato inferiore del keycap.

Non fatevi ingannare dalle dimensioni contenute: dal punto di vista meccanico, la ROG Falchion Ace non fa certo rimpiangere le tastiere più grosse

Nella versione bianca, invece, le scritte laterali non sono incise ma marcate in caratteri grigi. Si leggono tutti benone, e questo è molto importante per l’uso di un prodotto particolare come questo. L’anima dei pulsanti è fatta in casa. Gli interruttori NX Red hanno un punto di attivazione di 1,8 mm con una corsa completa di 4 mm. La forza di attivazione iniziale è di 40 g per evitare pressioni accidentali e la forza massima è di 55 g per fornire un feedback tattile più preciso.

 

Grande cura è stata posta dall’azienda nella stabilizzazione dei pulsanti più grossi (barra spaziatrice, invio, Bloc Maiusc, cancellazione) e soprattutto nella soppressione dei rumori metallici dovuti alla digitazione, visto che il corpo della tastiera appoggia su uno strato di schiuma fonoassorbente. La digitazione è chiara e netta, non produce rumori metallici né strani echi durante il ritorno in posizione di riposo e, soprattutto, le caratteristiche fisiche del prodotto limitano al minimo fisiologico la possibilità di commettere errori, al netto chiaramente del periodo di apprendimento necessario ogni volta che si impugna una tastiera nuova.

DOPPIO USB E SIDE-TOUCH

La ROG Falchion Ace ha due particolarità che potrebbero renderla ancora più interessante: la presenza di due connettori USB di tipo C, grazie ai quali può essere collegata a due computer contemporaneamente, e uno “slider touch” sul lato sinistro che può essere programmato a piacimento con il software Armoury Crate. Quest’ultimo di default permette di cambiare il volume tramite tap o sfioramento, ma volendo può fare altre cose: dai comandi multimediali alla replica di alcuni tasti della tastiera, dal lancio di macro all’apertura di siti web, dal lancio di Armoury Crate all’inserimento di testo.

asus rog falchion ace

Una buona idea che però andava sviluppata decisamente meglio, offrendo una rosa più ampia di scelte e di azioni da impostare: il fatto che non si possa lanciare un programma, o anche bloccare il desktop di Windows, tanto per fare due esempi eclatanti, è davvero difficile da mandare giù, soprattutto se pensiamo alle analoghe possibilità offerte dai software di altre marche. Inoltre, attenzione a come lo si imposta: io ho messo l’azione di ridurre tutti i programmi a icona con uno swipe verso il basso e il risultato che ho ottenuto è di ripulire il desktop ogni volta che ho deciso di spostare la tastiera.

Ben vengano l’USB x2 e il side touch, ma il fatto che non si possa lanciare un programma o bloccare il desktop di Windows, tanto per fare due esempi, è difficile da mandare giù

La doppia connessione USB permette invece di tenere collegata la tastiera a due PC contemporaneamente e di scegliere quale usare con uno switch posizionato al centro. Una sorta di mezzo KVM che però limita la sua azione alla tastiera senza considerare il mouse e lo schermo, vanificando di fatto qualsiasi utilità con due PC da scrivania: che senso ha poter scegliere a quale computer inviare i comandi, se poi devo staccare e attaccare il mouse o il monitor? Avrebbe senso solo se impiegato con due PC portatili dotati di touchpad e di monitor incorporato, un campo di utilizzo piuttosto ristretto.

IL FONDO-COPERCHIO

Con la tastiera, ASUS fornisce anche una ‘scocca’ protettiva che può essere usata in due modi: come copritastiera per non farle prendere polvere, se posizionata a mo’ di coperchio, oppure come vano di appoggio, se usata in modo diametralmente opposto. Agli angoli, infatti, ha quattro piccoli piedi antiscivolo che servono a migliorarne la stabilità quando l’utilizzo è proprio questo.

Un’idea brillante, perché una delle necessità maggiori quando si trasporta una tastiera è quella di impedire il contatto dei tasti con altri oggetti (che potrebbe rimuovere involontariamente i keycaps) e le pressioni accidentali: un coperchio rigido è proprio ciò che serve per l’occasione e la possibilità di metterlo sotto alla tastiera come ulteriore protezione e stabilizzazione durante l’uso, ci impedisce anche di dimenticarlo quando è ora di tornare a casa. L’uso combinato del coperchio e dei piedini di sollevamento permette altresì di aumentare l’inclinazione del piano della tastiera, favorendo la digitazione a chi ama le diagonali più pronunciate (a discapito dell’allineamento dei polsi) e limita l’accesso accidentale alla “touch strip” laterale, il che è probabilmente positivo.

LA ASUS ROG FALCHION ACE, IN DEFINITIVA

Prima di provare la ROG Falchion Ace ero molto scettico sul formato ultracompatto – davvero, non riuscivo a immaginare come sarebbe stata la vita senza i tasti funzione e senza i numeri a destra – ma ora so che in situazioni di emergenza può essere un valido sostituto a una tastiera completa. In fondo tutto quello che serve davvero c’è ed è immediatamente a disposizione, mentre il problema maggiore riguarda l’uso di software specifici che hanno bisogno di una rapida pressione dei pulsanti che mancano.

in situazioni di emergenza, l’ultracompatta ROG Falchion Ace può essere un valido sostituto a una tastiera completa

Un po’ per abitudine e un po’ per pigrizia, dubito che sceglierei mai una tastiera di questo tipo per il lavoro e per il gioco quotidiano, ma se avessi la necessità di portarmi dietro una tastiera tutta mia ovunque vada, la ROG Falchion Ace diventerebbe certamente un’alleata preziosissima. In questo caso, però, il peso della borsa aumenterebbe di ben 726 grammi, che non sono certo pochi. Solidità, stabilità e affidabilità hanno il loro peso, nel bene e nel male.

Voto: 8

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Radeon RX 7900 XT – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-tecnologia/254776/radeon-rx-7900-xt-recensione/ Fri, 05 May 2023 11:11:21 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=254776 Da AMD un’agguerrita concorrente per le GeForce RTX 4070 Ti: è la Radeon RX 7900 XT, il suo modello “quasi di punta” da meno di 900 euro.

Radeon RX 7900 XT

 

Un paio di mesi or sono, vi abbiamo parlato della Radeon RX 7900 XTX, attuale soluzione di punta di AMD nel settore delle schede video, mettendo bene in evidenza come fosse una concorrente naturale della GeForce RTX 4080, piuttosto che della più potente e costosa 4090. Ma nelle scorse settimane abbiamo potuto mettere mano a un esemplare della più morigerata, ma probabilmente più interessante sorella minore, la Radeon RX 7900 XT. Questa scheda video ha una potenza complessiva leggermente inferiore rispetto alla XTX, ma un prezzo medio di circa 850 euro, entrando così in diretta competizione con un altro modello di schede GeForce di cui abbiamo parlato molto bene, le RTX 4070 Ti.

UN ASPETTO MOLTO (PIÙ) COMPATTO

Se la GeForce RTX 4070 Ti di MSI ci aveva sorpresi – non proprio favorevolmente – per le dimensioni del suo dissipatore, è bastato estrarre dalla sua scatola la Radeon RX 7900 XT per dire “così si ragiona”: la scheda fornita da AMD, infatti, è lunga 27,6 cm, larga 13,5, spessa 5,1 e pesa 1,5 Kg – va quindi a occupare soltanto due slot. Questo probabilmente non varrà per tutte le RX 7900 XT in circolazione, in quanto i vendor possono sempre decidere di adottare soluzioni differenti per il PCB e per il raffreddamento, ma non dovremmo discostarci più di tanto da questo livello d’ingombro.

Radeon RX 7900 XT

Proprio come la Radeon RX 7900 XTX, il modello XT adotta la nuova architettura RDNA3. Se RDNA2 (Radeon RX 6000) introduceva le unità specifiche per il ray tracing, il nuovo step li evolve e aggiunge anche delle unità di calcolo per l’AI, una risposta ai tensor core di Nvidia e alle apposite unità presenti anche nelle GPU Intel. In questo modo, AMD si è adeguata all’offerta tecnologica messa in campo dai rivali, offrendo lo stesso set di feature in hardware.

AMD si è adeguata all’offerta tecnologica dei rivali, offrendo lo stesso set di feature in hardware con l’architettura RDNA3

Il die del chip non è più monolitico, ma suddiviso in due componenti distinte: un GCD (graphics computer die) “centrale”, costruito con una raffinata tecnologia a 5 nm, che contiene tutte le unità preposte ai calcoli e diversi MCD (memory cache die) “periferici” a 6 nm che, come suggerisce il nome, contengono la memoria InfinityCache e i controller per la comunicazione con la VRAM GDDR6. Ogni MCD mette a disposizione 16 MB di cache e 64 dei bit che vanno a comporre l’ampiezza totale del bus verso le memorie, cosicché in questa scheda troviamo solo 5 MCD e quindi 80 MB di InfinityCache e un bus da 320 bit. La VRAM ammonta a 20 GB e viaggia a 20 Gbps, per una banda di trasmissione pari a 800 GB/s.

TUTTA LA POTENZA DI RDNA3

La GPU contiene 5.736 streaming processor, suddivisi in 84 compute units (CU) da 64 core ciascuno. Ma non si tratta degli stessi core SIMD delle architetture precedenti: ciascuno di essi è in grado di svolgere due operazioni per volta (dual SIMD) per cui è come se rispetto a RDNA2 il numero di streaming processor fosse raddoppiato. Ogni CU contiene anche due unità per l’AI e un core RT di seconda generazione, più veloce rispetto a quelli presenti sulle schede RX 6000 ma sempre “indietro” rispetto agli omologhi di Nvidia, che per il momento restano sempre una spanna più avanti. Poco male perché, come vedremo nei benchmark, la cosa non si traduce in un impatto lesivo per le prestazioni.

Radeon RX 7900 XT

Il sistema di raffreddamento è costituito da un dissipatore con camera di vapore sovrastato da tre ventole e l’intervallo di temperature, registrato durante l’uso, varia dai 37°C in idle ai 60°C in condizioni di pieno carico, con una diminuzione di ben 10°C rispetto alla temperatura massima registrata dal modello XTX. Identico, invece, il rumore delle ventole a pieno carico: 42 dBA, bene ma non proprio benissimo, essendo sensibilmente maggiore di quello prodotto dalle schede di fascia alta concorrenti.

Quanto ai consumi, siamo intorno ai 310 Watt a pieno regime, un valore paragonabile a quello di una GeForce RTX 4080 o di una Radeon 6900 XT

Quanto ai consumi, siamo intorno ai 310 Watt a pieno regime, un valore paragonabile a quello di una GeForce RTX 4080 o di una Radeon 6900 XT: per l’alimentazione AMD è andata ancora sul sicuro, montando due connettori PCIe da 8 poli ed evitando, per ora, di ricorrere allo spinotto 12VHPWR adottato dallo standard ATX 3.0, già abbracciato con entusiasmo (ma anche con qualche perplessità da parte degli utenti) dalla concorrente storica. Quanto alle feature supportate, sono le stesse della sorella maggiore Radeon RX 7900 XTX, di cui vi invitiamo a rileggere la recensione sul sito di The Games Machine per evitare inutili ripetizioni.

LE PRESTAZIONI DELLA RADEON RX 7900 XT

Se la Radeon RX 7900 XTX poteva essere consigliata senza remore a chi vuole giocare a 4K, per la sorella minore XT possiamo dire quasi esattamente la stessa cosa, con qualche piccolo e quasi insignificante distinguo. La Radeon RX 7900 XT, senza attivare il ray tracing e alcuna tecnica di supersampling intelligente come l’FSR2, ha dato questi risultati:

Radeon RX 7900 XT

Numeri di assoluto rispetto – 71 frame al secondo a Dead Space non sono pochi – a cui, per la cronaca, possiamo aggiungere anche i 72 ottenuti da The Last of Us Part I prima che arrivassero tutte le patch correttive dei giorni successivi. Questo significa che alla risoluzione 4K questi giochi sono ampiamente giocabili, con un framerate medio superiore ai 60 fps che rappresentano, per convenzione, la quantità necessaria per la fluidità. In questo scenario, la RX 7900 XT si comporta meglio della concorrente RTX 4070 Ti: i risultati di quest’ultima, a 4K, erano piuttosto deludenti. 70 fotogrammi al secondo, invece, sono un valore molto più accettabile, ma pur sempre prossimo alla fatidica soglia dei 60. La scheda è dunque più appetibile per chi gioca abitualmente a risoluzioni inferiori, come 2560×1440 pixel o, ancora meglio, 3440×1440 pixel, dato che tutti i giochi provati hanno sempre dato risultati maggiori di 100 fps.

Radeon RX 7900 XT

Va aggiunto che la Radeon RX 7900 XT non supporta il DLSS di Nvidia (che rimane una feature destinata a funzionare solo sulle schede GeForce), ma propone pur sempre la tecnologia concorrente FSR 2.0 e supporta anche l’XeSS di Intel, fornendo quindi due valide alternative in suo luogo. In questo modo, possiamo facilmente incrementare la quantità di frame prodotti, a parità di risoluzione, senza perdite di dettaglio grafico con il settaggio “Quality”, e recuperare la fluidità anche nei titoli più esigenti.

la Radeon RX 7900 XT non supporta il DLSS di Nvidia, ma punta sulla tecnologiaa FSR 2.0 e supporta l’XeSS di Intel

È un punto molto, molto importante da evidenziare: col passare dei mesi, si faranno sempre più numerose le conversioni da PlayStation 5 e Xbox Series X|S, per cui dovremmo aspettarci un impiego sempre più massiccio di queste tecnologie. FSR2 e XeSS diventano vitali se decidiamo di attivare anche il ray tracing. I nuovi motori RT di RDNA3 sono indubbiamente migliori di quelli di RDNA2 e non c’è quasi paragone con le prestazioni in ray tracing delle vecchie Radeon RX 6900 XT (43 fotogrammi a Cyberpunk 2077 contro i 71 della RX 7900 XT), ma siamo pur sempre indietro rispetto a quanto offerto dalle GeForce RTX 4070 Ti. Grazie a FSR2 e XeSS si possono recuperare fotogrammi e restare al di sopra della soglia dei 60 fps, ma non con tutti i giochi:

Radeon RX 7900 XT

Quel “34” totalizzato da Cyberpunk 2077 pesa come un macigno e non trova molte giustificazioni, dal momento che alle stesse impostazioni la GeForce RTX 4070 Ti restituiva ben 89 fps. Un altro giocare proprio, che con la Radeon RX 7900 XT possiamo permetterci soltanto in Full HD o al massimo a 2K (QHD). Chissà, poi magari arriveranno una nuova versione dei driver o una patch del gioco capaci di sistemare tutto, ma per il momento questo gioco non sembra essere molto amico delle unità RT di AMD. Nessun problema, invece, come avevamo già visto giorni fa, con The Last of Us Part I. Proprio questo gioco ci impone una riflessione sulla diversa natura dell’offerta di AMD e Nvidia. Mentre la seconda ha puntato principalmente sulle feature delle sue GPU, preferendo la velocità delle memorie (GDDR6X) alla loro capienza, AMD ha scelto di offrire prestazioni generali ragionevoli, fornendo una maggiore quantità di VRAM (GDDR6) sulle proprie soluzioni.

Mentre Nvidia punta sulle feature delle sue GPU preferendo la velocità alla capienza, AMD offre prestazioni generali ragionevoli fornendo una maggiore quantità di VRAM

E avere tanta VRAM, di questi tempi, conta parecchio: TLoU potrebbe essere soltanto l’avanguardia di una nuova generazione di giochi graficamente molto competitivi e, con DirectStorage che continua a essere soltanto “la tecnologia del futuro” pubblicizzata dai produttori di drive SSD, ma senza mai concretizzarsi sui nostri PC, l’unico modo per soddisfare le loro eccessive richieste di memoria sarà, banalmente, averne. Ci auguriamo quindi che Nvidia nei prossimi mesi riveda le proprie strategie, e che metta in grado i suoi partner di offrire schede video basate sulle sue GPU con maggiori quantità di VRAM.

IN DEFINITIVA

Non è facile stabilire se la Radeon RX 7900 XT sia migliore o meno di una GeForce RTX 4070 Ti: il prezzo è sostanzialmente identico e ognuna delle due soluzioni ha i suoi punti a favore. Dal punto di vista della qualità visiva, i giochi appariranno del tutto identici con l’una e con l’altra, mentre a livello di framerate ci sarà sempre il gioco che preferirà una GPU all’altra. Se facciamo la media di tutti i nostri test, però, otteniamo gli stessi numeri. Sicuramente la soluzione di Nvidia ha la sua praticità: se voglio realizzare delle immagini con Stable Diffusion sul mio PC, posso scaricare una qualsiasi delle soluzioni “pronte all’uso” ma non ne ho ancora trovata una compatibile con le schede Radeon. Certo è possibile usarle, ma tocca leggersi diverse pagine web e configurare tutto l’occorrente a mano. Di contro, il software Adrenalin di AMD è migliorato tantissimo negli ultimi anni e configurare l’ambiente di visualizzazione è diventato molto più comodo di un tempo. I driver, inoltre, sono ragionevolmente stabili e non ci hanno dato problemi.

Radeon RX 7900 XT

La Radeon ha dimensioni più contenute e questo ne favorirà l’adozione su sistemi salva-spazio, ma di contro le sue ventole possono essere più rumorose. Alla Radeon mancherà anche il DLSS, ma la tecnologia FSR2 (con la versione 3 alle porte) si è rivelata fin da subito una valida alternativa, per altro adottata molto rapidamente dagli sviluppatori grazie alla sua natura open source e al fatto che funziona ovunque. Non dimentichiamo poi che esiste anche RSR (Radeon Super Resolution), che ‘estende’ la prima versione di FSR anche a tutti i giochi che non ne fanno esplicitamente uso. Il ray tracing della GeForce è più veloce, ma senza ray tracing va in vantaggio la Radeon. Quindi? Chi vince? Noi appassionati, che abbiamo due possibilità di scelta altrettanto valide invece di una sola.

Voto: 9.4

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MSI RadiX AX6600 – Recensione https://www.thegamesmachine.it/highlight2/253197/msi-radix-ax6600-recensione/ Thu, 13 Apr 2023 09:54:15 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=253197 Da MSI ecco RadiX AX6600, un router Wi-Fi6 versatile e facile da configurare, per chi vuole giocare sfruttando una rete Wi-Fi come se fosse una cablata.




MSI, da sempre attenta alle esigenze del pubblico dei gamer, ha finalmente deciso di lanciare una propria linea di prodotti consumer dedicata al networking, nella fattispecie parliamo del ricetrasmettitore USB AX1800 e dei due router RadiX AX6600 e AXE6600, entrambi tri-band e capaci di arrivare a un’ampiezza di banda totale di 6,6 Gbps – come sempre a livello puramente teorico, con il giusto numero di dispositivi collegati in modo opportuno e col vento a favore – ma differenti per il tipo di rete Wi-Fi a cui possono dare luogo: soltanto il secondo può avere accesso alla banda da 6 GHz e soddisfare tutti i requisiti del Wi-Fi6E, mentre il primo, oggetto di questa recensione, dispone di tre canali diversi di cui uno a 2,4 GHz e due a 5 GHz, con differenze relative alla potenza del segnale.

UN NUOVO AMICO PER LA MIA RETE LOCALE

I router, soprattutto quelli delle ultime generazioni, sono apparati di rete molto complessi. Il loro compito è principalmente quello di mettere in comunicazione tra loro reti diverse, in particolare la nostra personalissima rete domestica – popolata dai più disparati dispositivi come computer, tablet, smartphone, smart TV e aggeggi IoT – con una rete di grandi dimensioni (WAN), tipicamente Internet. C’è da dire, però, che i due router di MSI non sono in grado di collegarsi al doppino telefonico o a qualche apparato in fibra ottica: è sempre necessario che il segnale di Internet sia mediato dal dispositivo fornito dal nostro provider. Quindi, se abitualmente usiamo un modem-router per connettere casa nostra al web, ci toccherà collegare l’AX6600 a quest’ultimo in cascata, lasciando però che sia il prodotto di MSI a occuparsi di faccende come il routing dei pacchetti verso la rete cablata o, meglio ancora, la creazione di diverse reti Wi-Fi a cui i dispositivi portatili (e non) si possono associare.

MSI RadiX AX6600

Nel mio caso, per esempio, la connessione alla centralina – su rete FTTC – avviene per mezzo di un modem-router fornitomi dal provider diversi anni fa: può dialogare con 4 dispositivi cablati per mezzo di altrettante porte gigabit LAN e sopportare un traffico wireless fino a 2,34 Gbps per mezzo del protocollo 802.11 AC.

se abitualmente usiamo un modem-router per connettere casa nostra al web, ci toccherà collegare l’AX6600 a quest’ultimo in cascata

Non solo, può anche gestire un paio di telefoni in VoIP con cui ho potuto mantenere il mio vecchio numero di telefono fisso e fare da FTP server collegando un drive USB, ma ha sostanzialmente due difetti: innanzitutto, oggi ci sono reti wireless più veloci e non basterebbe certo aggiornare il firmware per fargliele supportare, in secondo luogo la trasmissione del file server su disco USB è incomprensibilmente lenta (nell’ordine dei 2-5 MB/s anche su rete cablata), instabile e per di più il server SMB integrato supporta soltanto la versione 1 del protocollo, ormai deprecata sulle ultime versioni di Windows per ragioni di sicurezza. Che fare, quindi? L’unica soluzione per avere una rete Wi-Fi più veloce e un fileserver più rapido e affidabile è una sola, affiancargli un router come l’AX6600.

UN MINI COMPUTER DEDICATO ALLA RETE DOMESTICA

Il cuore dell’AX6600 è un processore quad-core ARM a 64 bit da 1,8 GHz. Di fatto, quindi, ci troviamo di fronte a un mini computer specializzato nello smistamento dei segnali di rete dotato, per la trasmissione Wi-Fi, di ben sei antenne con cui è possibile gestire fino a 8 flussi su tre bande di frequenza diverse. Come abbiamo visto prima, in realtà due dei tre canali condividono il range di frequenze intorno ai 5 GHz, ma le tre reti wireless che ne risultano sono così organizzate:

• 5 GHz-1 AX 4×4 (Tx/Rx) 1024/256-QAM 20/40/80/160MHz, fino a 4804 Mbps
• 5 GHz-2 AX 2×2 (Tx/Rx) 1024/256-QAM 20/40/80MHz, fino a 1201 Mbps
• 2.4 GHz AX 2×2 (Tx/Rx) 1024/256-QAM 20/40MHz, fino a 574Mbps

Di default, il router le chiama rispettivamente MSI_5G_H_81, MSI_5G_L_81 e MSI_2G_81, e la prima cosa che ha senso fare quando decidiamo configurare il router è cambiare questi nomi con qualcosa di più semplice, in modo che sia più facile decidere a quale rete collegare ciascun dispositivo. L’idea, infatti, è che dispositivi a bassa priorità come una stampante, un telefono o un vecchio portatile, vadano a popolare la rete 2G_81 (2,4 GHz), mentre che i dispositivi più veloci e recenti viaggino invece sui due canali a 5 GHz. Chiaramente, più agile sarà il protocollo di rete Wi-Fi supportato da ogni client, e più senso avrà collegarlo alla rete 5G_H_81, la migliore di tutte. Questo non vale solo per il gioco: se il computer con cui lavoriamo in smart working può collegarsi tramite Wi-Fi 6 o 6E, sarà chiaramente meglio connetterlo alla rete più veloce. Il router dispone di tutti i protocolli necessari per la sicurezza e, soprattutto, di un software di controllo dei pacchetti capace di dare maggiore priorità a un certo tipo di dati piuttosto che a un altro, ma questo lo vediamo più tardi.

LA VELOCITÀ DELLA SORGENTE CABLATA

Sul retro dell’AX6600 ci sono cinque porte di rete LAN: quattro, di colore nero, da 1 Gbps e una, di colore rosso, da 2,5 Gbps, configurata di default per l’accesso a Internet. Questa scelta ha un senso solo se siamo così fortunati da avere una connessione a Internet da più di 1000 Mbps, altrimenti possiamo configurare come ingresso WAN la porta da 1 Gbps immediatamente a fianco, marcata “1 Gbps WAN/LAN”.

MSI RadiX AX6600

Nel mio caso, purtroppo la connessione ammonta ancora a 100 Mbps “quando va in discesa” e, per tanto, occupare la porta da 2,5 Gbps sarebbe stato un inutile spreco di risorse. Molto meglio, dal mio punto di vista, collegare a questa porta un PC desktop nelle vicinanze che, per mia fortuna, dispone di una porta LAN altrettanto veloce. In questo modo, potrà dialogare via cavo soltanto a 1 Gbps con gli altri PC della rete cablata (le altre porte sono tutte da 1 Gbps e detta legge la porta dalla velocità inferiore), ma se non altro potrà farlo a velocità maggiore coi computer dotati di un adattatore Wi-Fi 6 o 6E. La differenza tra le più lente connessioni a 2,4 GHz e Wi-Fi6? Abissale:

MSI RadiX AX6600

Sembrano due computer diversi, ma in realtà si tratta dello stesso PC collegato tramite la rete MSI_2G_81 prima (a sinistra) e poi alla rete MSI_5G_H_81 (a destra). Nel secondo caso i file viaggiano a 120 MB/s, vale a dire esattamente 1024 Mbps, via etere, a diversi metri di distanza e con una soletta a dividere il piano in cui si trova il router (inferiore) e quello dove si trova il PC di destinazione (superiore). Se avessimo messo i due computer nella stessa stanza del router, la trasmissione sarebbe avvenuta ancora più rapidamente, essendo la sorgente dei dati (un secondo PC) collegato all’AX6600 per mezzo della porta LAN da 2,5 Gbps. Se desideriamo che più computer possano dialogare tra loro via cavo a 2,5 Gbps, tuttavia, sarà necessario procurarci uno switch multiporta con questa velocità, a prezzi che mediamente superano i 100 euro.

FUNZIONI AVANZATE

La peculiarità dell’AX6600 (e del fratello maggiore AXE6600) è il particolare sistema di prioritizzazione dei pacchetti che consente di scegliere, di volta in volta, a quale tipo di applicazioni dare maggiore importanza. Se usiamo il PC principalmente per giocare, per esempio, possiamo impostare il router in modo che dia maggiore priorità ai pacchetti di dati originati dai videogiochi e dai loro server. Altrimenti, possiamo ottimizzare il traffico per lo streaming di audio e video o ancora per le applicazioni d’ufficio, in particolare per il software di teleconferenza come Zoom, MS Teams e via dicendo.

I più tecnici possono indicare manualmente la tipologia di pacchetti a cui dare priorità, ma è possibile lasciare che sia il router a gestire tutto in autonomia tramite la sua “intelligenza artificiale”

I più tecnici di noi possono anche optare per l’opzione “QoS tradizionale”, con cui è possibile indicare manualmente la tipologia di pacchetti a cui dare più importanza, mentre la maggior parte degli utenti probabilmente preferirà che sia il router a gestire tutto questo per mezzo della propria “intelligenza artificiale” che, in buona sostanza, cerca di ordinare il traffico dei pacchetti nel modo più opportuno sulla base delle applicazioni eseguite dagli utenti.

MSI RadiX AX6600

MSI sostiene che usando il profilo Gaming, per esempio, è possibile abbattere i tempi di ping fino al 90% rispetto al normale, ma è chiaro che una situazione del genere si possa verificare solo in condizioni di test particolarmente favorevoli. I risultati che abbiamo ottenuto noi, in ogni caso, sono piuttosto incoraggianti. Non manca, chiaramente, la rosa di opzioni che permettono di gestire la rete in modo avanzato (DHCP, firewall, VPN, DMZ, port forwarding ecc.) e tra le opzioni di amministrazione c’è anche un client DynamicDNS integrato con cui è possibile trasmettere il proprio IP ai servizi dyndns.com, no-ip.com o a Google Domains, se ci occorre associare un servizio del genere al port forwarding. Insomma, anche chi deve raggiungere la propria rete locale dall’esterno, all’occorrenza, trova tutti i mezzi per farlo su questo router.

MSI RADIX AX6600 O IL FRATELLO MAGGIORE?

Il RadiX AX6600 costa circa 320 euro, mentre il fratello AXE6600 ne costa circa 370: cinquanta euro di differenza che garantiscono l’accesso alla banda a 6 GHz e alla possibilità di personalizzare il colore dei LED RGB sulle antenne, purtroppo assenti sull’AX6600. Vezzi estetici a parte, su cosa si dovrebbe concentrare la scelta? Principalmente, sui dispositivi che intendiamo collegare alla rete e sull’importanza che riveste la banda a 6 GHz (e l’intero discorso Wi-Fi 6E) nei nostri piani d’espansione futuri. La velocità massima dei due router è di fatto la stessa e, in ogni caso, è calcolata sulla base di più connessioni concomitanti.

La scelta tra RadiX AX6600 e AXE6600 dovrebbe basarsi sui dispositivi che intendiamo collegare alla rete e sull’importanza della banda a 6 GHz nei nostri piani d’espansione futuri

Dal punto di vista legale non c’è nessun problema a usare le frequenze a 6 GHz in Italia – l’approvazione del Governo risale al Settembre 2022 – ma per ottenere le prestazioni migliori da questo tipo di rete occorre che la distanza dal router sia molto contenuta. Quanti dei nostri dispositivi, in ogni caso, possono usarle? E quanti saranno in grado di farlo in futuro? Può avere più senso, invece, servire meglio i dispositivi Wi-Fi6 offrendo due canali diversi alla bisogna? Ecco, ragionare su queste tre domande è fondamentale per trovare la risposta che cerchiamo, e ciascuno di noi può darla soltanto sulla base delle proprie esigenze. Noi, in ogni caso, siamo rimasti piacevolmente colpiti dalle prestazioni di questo apparato e non abbiamo remore a consigliarlo: durante i test è uscito anche un aggiornamento del firmware che abbiamo installato senza il minimo problema.

Voto 8.6

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MSI GeForce RTX 4070 Ti Gaming-X Trio – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-tecnologia/252600/msi-geforce-rtx-4070-ti-gaming-x-trio-recensione/ Wed, 05 Apr 2023 09:50:53 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=252600 Negli ultimi tempi sembrava che trovare una scheda video di alto livello sotto i 1000 euro fosse diventato impossibile. Oggi, per fortuna, non è più così grazie alle GeForce RTX 4070 Ti e alle Radeon RX 7900 XT. Vediamo una proposta interessante di MSI, la MSI GeForce RTX 4070 Ti Gaming-X Trio.

MSI GeForce RTX 4070 Ti Gaming-X Trio

Che ormai sia necessario fare sacrifici per procurarsi una scheda video di fascia alta, purtroppo, dovrebbe essere un dato di fatto noto a tutti. Anche dopo l’ubriacante tempesta perfetta provocata dalla pandemia, dallo shortage di materiale elettronico e dalla bolla – ormai scoppiata – delle criptovalute, i prezzi faticano a tornare ai livelli di cinque o sei anni fa, quando le schede video dal costo paragonabile a uno stipendio erano veramente poche e, solitamente, limitate a versioni custom con grandi dissipatori o accorgimenti tecnici molto particolari. Ci sono comunque tanti segnali di un miglioramento della situazione e l’arrivo delle nuove GeForce RTX 4070 Ti, schede video che non faticheremmo assolutamente a definire di fascia medio-alta, a meno di 1000 euro è sicuramente tra questi.

ADA LOVELACE IN CONFIGURAZIONE “OTTIMALE”

La GPU GeForce RTX 4070 Ti è basata sull’architettura Ada Lovelace (la stessa delle sorelle maggiori 4090 e 4080), è costruita sulla base di un processo produttivo da 4nm e dispone di 7.680 Cuda Core raggruppati in 60 streaming multiprocessor. Ciascuno di questi ‘cluster’ per il calcolo parallelo dispone anche di una unità RT (cioè una logica per l’elaborazione hardware di effetti in ray tracing), 4 tensor core (unità logiche per l’elaborazione di algoritmi d’intelligenza artificiale) e 4 tradizionali texture unit, cui seguono anche un totale di 80 ROP per l’intero processore.

Ci sono tanti segnali del miglioramento della situazione delle GPU: l’arrivo delle nuove GeForce RTX 4070 Ti a meno di 1000 € è sicuramente tra questi

Nel caso della scheda Gaming-X Trio di MSI, questa GPU può raggiungere la frequenza massima di 2.745 MHz (135 MHz in più rispetto alle frequenze di riferimento per la founder edition di Nvidia), mentre il bus per la memoria GDDR6X è ampio 192 bit. La VRAM ammonta a 12 GB e viaggia a 21 Gbps, per una banda di trasmissione pari a 504 GB/s.

MSI GeForce RTX 4070 Ti Gaming-X Trio

Il dialogo con la scheda madre, invece, avviene attraverso un connettore PCI Express x16 di quarta generazione. Il consumo dichiarato per questa scheda è 285 Watt, inferiore quindi al limite di 300W superato il quale si rende preferibile l’uso del nuovo connettore 12VHPWR a 16 pin, previsto dallo standard ATX 3.0. Eppure è esattamente questo lo “spinotto” adottato da MSI per questa scheda.

vi consigliamo di non scendere eccessivamente al di sotto di un buon alimentatore da 750 Watt per questa scheda

Chi ancora non possiede un alimentatore ATX 3.0, tuttavia, non si preoccupi: nella scatola troverà anche un adattatore che permette di usare, in tutta serenità, due classici connettori di alimentazione PCIe da 8 pin ciascuno, che dovrebbero essere tranquillamente messi a disposizione da tutti i modelli sul mercato da diversi anni. In ogni caso, considerati i consumi tipici degli altri componenti di un PC da gaming, vi consigliamo di non scendere eccessivamente al di sotto di un buon alimentatore da 750 Watt per questa scheda. Nei nostri test, abbiamo usato senza problemi due alimentatori ATX 2.x diversi, da 750 e 850 Watt.

UNA SCHEDA ENORME

La prima cosa che colpisce, di questa scheda, sono le sue dimensioni: 34 centimetri di lunghezza, 14 centimetri di larghezza e tre slot di spessore (6,2 cm) non passano certo inosservati, sebbene il peso di 1,62 Kg sia tutto sommato contenuto. Il dissipatore utilizzato dall’azienda è il Tri Frozr 3, costituito da una piastra in rame (a contatto con i chip), sovrastata da un massiccio corpo lamellare attraversato da 6 heatpipe, su cui poggiano tre generose ventole di raffreddamento. Sul lato posteriore del PCB troviamo una piastra metallica di rinforzo, con una finestrella posizionata sotto al processore centrale e un piccolo selettore, sul lato superiore, che ci permette di scegliere uno dei due BIOS a disposizione.

MSI GeForce RTX 4070 Ti Gaming-X Trio

Le opzioni sono due: gaming e silent, ma l’impiego del secondo – che mantiene inalterate le frequenze di lavoro e riduce i tempi d’accensione delle ventole – non ha moltissimo senso, dato che la scheda in modalità gaming è incredibilmente silenziosa e, per la maggior parte del tempo, neanche si sente. Il lato con la maschera in metallo e le uscite video presenta infine numerose feritoie, oltre a una rosa piuttosto standard di connettori: tre DisplayPort 1.4a e una HDMI 2.1, con cui è possibile pilotare altrettanti schermi fino a 240 Hz a risoluzione 4K o 60 Hz a 8k. Come altre proposte di MSI, anche la 4070 Ti Gaming X Trio è dotata di illuminazione RGB Mystic Light, che si può sincronizzare con la motherboard tramite il suo software di gestione.

LE PRESTAZIONI DELLA MSI GEFORCE RTX 4070 TI GAMING-X TRIO

Una volta montata la scheda nel testbed (un PC costituito da un processore Ryzen 5 7600X con 32 GB di memoria GDDR5, scheda madre Gigabyte Aorus Master e drive SSD NVMe PCI Express di quarta generazione), la scheda ha offerto prestazioni paragonabili, e talvolta superiori, a quelle dei modelli di fascia alta della generazione immediatamente precedente Radeon RX 6950 XT e GeForce RTX 3090 Ti, assestandosi praticamente a pari merito con le concorrenti Radeon RX 7900 XT, vendute però a prezzo leggermente inferiore. Questi, in ogni caso, sono i framerate che abbiamo rilevato su alcuni giochi di riferimento:

Valori di tutto rispetto, che ci assicurano una buona giocabilità con tutti i titoli in oggetto (“Tomb Raider” è “Shadow of the Tomb Raider”, abbreviato per questioni di spazio) anche a 4k, dove sia Dead Space, sia l’impegnativo Cyberpunk 2077 hanno lambito i 60 fps che consideriamo la soglia della fluidità. Non so se avete già letto la nostra disanima delle prestazioni di The Last of Us Part I, tuttavia con questa scheda – e un processore centrale di pari livello – aveva ottenuto 62 fps a 4k. Vogliamo qualcosa di più? Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta: come tutte le schede GeForce più recenti, la RTX 4070 Ti supporta ben tre tecnologie di upscaling e super sampling intelligente: DLSS, FSR ed XeSS, promosse rispettivamente da Nvidia, AMD e Intel. E non ha importanza se FSR ed XeSS sono in qualche modo “concorrenti”, essendo open source funzionano benissimo anche qui. Laddove disponibili nei giochi, tuttavia, abbiamo preferito testare la tecnologia “di riferimento” e quindi il DLSS. Ecco i risultati:

È sufficiente confrontare questi numeri con quelli della tabella poco più in alto per accorgersi quanto siano efficaci queste tecnologie, soprattutto alle alte risoluzioni. A beneficiarne, chiaramente, sono soprattutto i possessori di monitor 4K e ultrawide UWQHD, mentre alle risoluzioni più basse, con questa scheda, non c’è praticamente motivo di usarle. Delude un po’ l’applicazione di FSR 1.0 su Far Cry 6 ma, in tutta onestà, i framerate di partenza sono già più che ottimali per giocare senza problemi. In tutti i casi abbiamo sempre optato per le impostazioni qualitativamente migliori a discapito delle performance.

PERCHÈ SÌ, PERCHÈ NO

Le schede GeForce RTX 4070 Ti, in generale, rappresentano un buon investimento per chi intende giocare in modo ottimale con uno schermo di grandi dimensioni, sia esso un ultrawide da 3440×1440 pixel o un normale 16:9 dalla risoluzione 4K, restando sotto la soglia dei 1000 euro. La GeForce RTX 4070 Ti Gaming-X Trio, in particolare, offre un piccolo incremento della velocità di boost della GPU, oltre a una discreta finestrella per l’overclock, in cambio di un dissipatore dalle dimensioni esagerate, ma dall’efficienza incontestabile. Insomma, la sconsiglieremmo solo a chi non ha un case abbastanza spazioso per accoglierla.

La GeForce RTX 4070 Ti, in generale, è un buon investimento per chi intende giocare in modo ottimale su uno schermo di grandi dimensioni restando sotto la soglia del mille euro

Riguardo alla concorrenza, la GPU di Nvidia si rivela più veloce della Radeon RX 7900 XT (830 euro circa) attivando il ray tracing, mentre nel rendering tradizionale le parti si invertono. Se facciamo una media dei framerate che abbiamo ottenuto nelle diverse situazioni, tuttavia, le due schede grosso modo si equivalgono, rendendo la scelta una questione di simpatia, di affidabilità percepita (c’è chi in passato si è trovato meglio in un campo, piuttosto che nell’altro) e di software che si intende impiegare al di là del gioco (pensiamo soprattutto alle applicazioni scientifiche e di intelligenza artificiale, il nuovo utilizzo emergente per le schede video), perché altrimenti per il resto offrono entrambe tecnologie interessanti, DLSS e FSR2 in primis.

Voto: 9.4

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NZXT N7 Z790 – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-tecnologia/251930/nzxt-n7-z790-recensione/ Wed, 29 Mar 2023 10:15:34 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=251930 Parliamo molto volentieri della nuova scheda madre N7 Z790 di NZXT, modello di punta destinato ai processori Intel Core di 12ma e 13ma generazione.

NZXT N7 Z790

Un buon computer, si sa, comincia sempre con la scheda madre. Così come un edificio ha bisogno di buone fondamenta per restare in piedi, lo stesso vale per un PC, dove la motherboard costituisce l’elemento fondante su cui si appoggiano tutte le componenti aggiunte, tanto più oggi che buona parte di esse sono già integrate. Se il risultato a cui puntiamo per la nostra prossima nuova build è un sistema da gioco solido e potente, presumibilmente basato su un processore Intel Core di fascia alta (i7 o i9), allora dovremmo tenere seriamente in considerazione la N7 Z790 di NZXT, una scheda madre realizzata in collaborazione con Asrock dalle caratteristiche molto interessanti.

RINFORZATA E RAFFREDDATA DAPPERTUTTO

Il primo aspetto che colpisce l’occhio di questa motherboard è la sua “armatura”: la sua superficie è praticamente ricoperta di dissipatori in metallo, con struttura modulare. Si potrebbero anche smontare, ma non ha assolutamente senso farlo visto che non c’è alcun motivo per accedere all’elettronica sottostante. Quelli centrali, che coprono gli spazi tra i connettori PCI Express, hanno una copertura magnetica e si possono facilmente sollevare per avere accesso al secondo, terzo e quarto slot M.2. Facendolo, possiamo subito notare che l’M2_4 è già occupato da un adattatore Intel AX211 che supporta wi-fi 6E e Bluetooth 5.2, con un cavetto nero che porta i segnali d’antenna dai due appositi connettori a vite posizionati sul pannello I/O posteriore.

NZXT N7 Z790

Lo slot per drive NVMe M2_1 si trova invece posizionato più in alto, tra il processore centrale e il primo connettore PCI Express x16, anch’esso ricoperto da un pannellino metallico. Per accedervi, tuttavia, in questo caso è necessario armarsi di cacciavite. A differenza degli altri due slot per drive M.2, controllati dal chipset Z790, questo è collegato direttamente al northbridge integrato nella CPU e, per tanto, il suo impiego è preferibile per l’installazione del sistema operativo e dei videogiochi, soprattutto nell’ottica di attivare DirectStorage in futuro.

la superficie della N7 Z790 è praticamente ricoperta di dissipatori in metallo, con struttura modulare: si potrebbero anche smontare, ma non ha assolutamente senso farlo

Tutti i connettori, comunque, sono di tipo PCI Express x4 versione 4.0, mentre la versione 5.0 del bus è riservata esclusivamente al primo connettore x16 per schede video. La N7 Z790 ne ha ben tre, ma il secondo e il terzo (privi di armatura metallica), benché meccanicamente abbiano la forma di connettori x16, mettono a disposizione soltanto quattro linee di comunicazione (come se fossero x4), sempre in versione 4.0. Completano la rosa dei connettori PCI Express due piccoli slot x1, la cui presenza diventa via via meno scontata con il passare del tempo. Questi connettori, tuttavia, supportano solo la versione 3.0 del bus.

IL PANNELLO POSTERIORE

La dotazione di porte I/O sul pannello posteriore è più che rispettabile: due connettori SMA per le antenne Wi-Fi, una uscita video HDMI, due porte USB 2.0, una USB 3.2 Gen 2×2 di tipo C (20 Gbps), 2 USB 3.2 Gen 2 (10 Gbps) e 3 USB 3.2 Gen 1 (5 Gbps), una presa Ethernet LAN da 2,5 Gbps e le classiche cinque prese analogiche per l’audio, più un’uscita ottica S/PDIF. Distinguere le porte USB tipo A per la loro velocità è piuttosto semplice: vanno in ordine crescente, con le più lente 2.0 vicine alle prese per le antenne e le più veloci 3.2 Gen 2 accanto alla porta LAN. Se queste porte USB non dovessero bastare, all’interno della scheda madre troviamo gli header per 4 ulteriori porte 2.0, due USB 3.2 Gen 1 e una porta di tipo C 3.2 Gen 2. Non è la quantità più sbalorditiva che abbiamo mai visto, ma dovrebbe comunque essere sufficiente per la maggior parte di noi. In caso contrario, non dovrebbe essere un problema usare hub esterni o reperire apposite espansioni interne su slot PCI Express.

Distinguere le porte USB tipo A per la loro velocità è piuttosto semplice: vanno in ordine crescente, con le più lente 2.0 vicine alle prese per le antenne e le più veloci 3.2 Gen 2 accanto alla porta LAN

Sulla scheda madre troviamo anche i pin necessari a collegare fino a 4 ventole per la CPU, una pompa per i dissipatori AIO e 5 ventole per il resto del sistema. Sul lato superiore della motherboard ci sono due connettori per l’illuminazione RGB proprietaria di NZXT mentre, sul lato opposto, due header ARGB garantiscono la compatibilità con i sistemi a LED che seguono questo standard (si vedano, per esempio, quelli di XPG nell’articolo pubblicato la settimana scorsa). Non potevano mancare quattro porte SATA da 6 Gbps, rivolte verso il lato destro della piastra esattamente come il connettore per le porte USB 3.2 Gen 1 ausiliarie. Le porte SATA, così come i connettori M.2, permettono l’uso di configurazioni RAID di tipo 0, 1 e 10, e il boot del sistema operativo.

NZXT N7 Z790

BIOS, MEMORIE E PRIMO AVVIO

Come abbiamo premesso, la scheda supporta processori Core Intel di 12ma e 13ma generazione dotati di socket LGA 1700. Le memorie utilizzabili sono esclusivamente di tipo DDR5 e, se sul manuale c’è scritto che sono supportati moduli fino a 6000 MHz, sappiamo che in realtà i più moderni moduli da 7200 funzionano egregiamente, a patto di aggiornare il BIOS e caricare l’apposito profilo XMP subito dopo la loro installazione. Il manuale dice anche che il massimo quantitativo di RAM supportata è 128 MB, ma quest’informazione risale a quando i moduli avevano capienza massima di 32 GB cadauno: con l’arrivo dei più moderni moduli da 48 GB, questo limite potrebbe spostarsi di conseguenza – ma al momento noi non possiamo assicurarvelo.

Il BIOS deve fornire informazioni e permettere di modificare i parametri di sistema, non stupire con effetti speciali: la versione fornita da NZXT fa esattamente il suo dovere, proprio come piace a noi

L’aggiornamento del BIOS è un’operazione facile, piuttosto rapida e solitamente indolore, ma non ci fa particolarmente impazzire la pagina del supporto del produttore, che mescola questi importanti update ai normali driver di sistema senza suddividerli in una categoria a sé e senza indicare chiaramente il changelog: leggete bene tutto l’elenco prima di scaricare una versione già sorpassata. Il BIOS ha un aspetto piuttosto spartano, che limita gli abbellimenti grafici il minimo sindacale, ma a noi piace proprio così: deve fornire informazioni e permettere di modificare i parametri di sistema, non sbalordire l’utente con gli effetti speciali, e la versione fornita da NZXT fa esattamente il suo dovere, permettendoci di andare in profondità anche nell’overclock di processore e memorie. Quanto invece al controllo del sistema – luci RGB, ventole e altro – ci pensa il software Cam, che va installato su Windows una volta avviato il computer.

NZXT N7 Z790, STABILE COME UNA ROCCIA

Non penso di esagerare se scrivo che la N7 Z790 sia una delle schede madri che sono riuscite a ottenere più felicemente il mio plauso. È comodissima da installare, pratica da gestire, senza slot piazzati in posti bizzarri (per esempio sul retro, come accadeva invece sull’N5 Z690, ricordate?), o comunque difficili da raggiungere una volta assemblato l’intero computer. Una volta avviato, Windows 11 non ci ha mai dato un problema su questa scheda, mai. Ha sempre funzionato secondo le aspettative, sfruttando le periferiche collegate al meglio delle loro possibilità. Certo, non siamo stati particolarmente impegnativi visto che le RAM DDR5 da 5200 Mhz non sono le più veloci sul mercato, ma le prestazioni del drive M.2 e del processore Core i7 13700K sono state inappuntabili.

NZXT N7 Z790

Mi piace che l’intera struttura sia coperta dai dissipatori. Ho apprezzato molto il fatto di non essere incappato in problemi aggiornando il BIOS. Trovo molto competitivo il sistema di alimentazione con 16 Mosfet e un controller RAA229131 (lo stesso usato anche da Asrock in diversi suoi modelli) e l’unica assenza di un certo peso è quella di un POST display che visualizzi l’esatta fase in corso durante l’avvio della macchina, rimpiazzato da quattro LED di controllo che ci dicono, genericamente, se una componente tra CPU, RAM, scheda video e dispositivo di boot ha dei problemi. Con un prezzo di circa 300 euro, è anche uno dei modelli più accessibili della sua categoria.

Voto 9.2

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MEDION Erazer Beast X40 – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-tecnologia/250599/medion-erazer-beast-x40-recensione/ Thu, 16 Mar 2023 07:32:21 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=250599 L’arrivo dei nuovi processori Intel di 13th generazione spinti dalle GPU Nvidia serie 4000 portano la potenza dei notebook top di gamma a nuovi livelli. Medion, dopo aver presentato in anteprima a Parigi la nuova gamma, comincia ad avere disponibilità reale sul mercato dei nuovi modelli (Euronics e Amazon), compreso l’Erazer Beast X40 a reffraddamento a liquido che, giunto in redazione, abbiamo provato.

Evoluzione del modello X30, il Beast X40 è equipaggiato con una RTX 4090 con 16 GB di VRAM, un Intel Core i9-13900HX con una memoria PCIe 4×4 da 2 TB e 32 GB di RAM DDR5. Il display da 17’’ G-Sync arriva fino a 240 Hz con una risoluzione QHD+ e il vantaggio non da poco di essere un 16:10 e non 16:9 (il guadagno di pixel sull’asse verticale è molto utile sia nel gioco, sia nel lavoro). Anche la tastiera non è una scelta casuale: una Cherry con tasti meccanici a basso profilo.

ERAZER BEAST X40 È… UNA BESTIA!

La tastiera è di produzione Cherry: i tasti comodi, ben distanziati e veloci come richiede il gamer. Il clic è tipico dell’attuatore meccanico, anche se a corsa breve. Un po’ grandicello il touchpad che potrebbe disturbare non il giocatore ma durante l’utilizzo lavorativo.

Un ingresso a gamba tesa. Così potremmo definire l’arrivo del GM7PX9N, per gli amici, Erazer X40, il notebook più avanzato mai provato fin’ora (arrivato giusto in tempo per essere inserito sul numero 397 di TGM che trovate in edicola, in digitale e in abbonamento). Prima di tutti i brand concorrenti, Medion ha fatto circolare in anteprima e per i test il suo nuovo prodotto di punta. La configurazione non ha equali e il prezzo non è per tutti (€ 4.699) ma senza dubbio meno di quanto ci si aspetti considerando la dotazione tutta al top.

IMPRESSIONI D’UTILIZZO

Veniamo alle impressioni d’uso. Il look non cerca di stupire ma di fornire tutto quello che serve al posto giusto. Aprendolo colpisce subito il pannello da 17” (IPS Quad HD+ da 240 Hz), imponente e luminoso e la tastiera Cherry, con interruttori meccanici a corsa ridotta. Si prende immediatamente confidenza con l’utilizzo accompagnati dal classico rumore meccanico, mai fastidioso. Il touchpad è enorme, fin troppo (talvolta lo si può premere involontariamente), preciso e privo di tasti al contorno.

RAFFREDDAMENTO A LIQUIDO

In opzione, Medion mette a disposizione un sistema di raffreddamento esterno al prezzo di 249 euro. Il Medion Erazer Cooling Kit è un dispositivo esterno che ha come scopo quello di raffreddare e far circolare all’interno del notebook il liquido di raffreddamento tramite un connettore dedicato.Medion Erazer Cooling Kit Il sistema funziona in maniera molto semplice. Basterà connettere il Cooling Kit al PC al Medion Eraser, riempire il serbatoio, attivare il Bluetooth ed eseguire il pairing con il notebook e l’App ci fornirà tutte le informazioni relative al suo funzionamento. Per avviarlo basterà entrare in modalità Water Injection Mode e il liquido fluirà all’interno del notebook e già così entrerà in funzione il sistema. Se, inavvertitamente, si sconnetterà il tubo dei liquido il Kit è in grado di rilevarlo. Chiaramente Medion consiglia di sconnettere i tubicini a Cooling kit spento e di rimuovere il liquido in caso di trasporto (o in caso il computer sia mantenuto in luoghi molto freddi, cosa che non dovrebbe mai accadere anche per salvaguardare la batteria) e di usare acqua distillata per prevenire depositi di calcare.

POTENZA FUORI SCALA

La curiosità di verificare non solo una configurazione così carrozzata dell’Erazer Beast X40, ma anche la novità del raffreddamento a liquido esterno è alta. Dopo l’installazione dei driver aggiornati, abbiamo cercato di impensierirlo dandogli in pasto giochi pesanti alla massima risoluzione e, lavorativamente parlando, di eseguire dei render utilizzando Rhino e KeyShot. Abbiamo ottenuto solo un innalzamento del calore prodotto, ottimamente gestito dalle ventole interne e dal sistema di raffreddamento a liquido.

RAFFREDDAMENTO A LIQUIDO PIÙ EFFICACE DI UNO AD ARIA, L’EXTRA BOOST PUÒ INCREMENTARE LE PRESTAZIONI FINO AL 10%

L’aria calda viene catturata dalle ventole e spinta verso i lati esterni del notebook senza mai scaldare troppo le parti toccate dalle mani, mentre il tubo che trasporta l’acqua verso l’esterno è caldo a significare che il lavoro svolto dal sistema esterno è utile. Tuttavia, forse per la brevità della prova, forse per la configurazione top, non siamo riusciti a impensierirlo troppo. Spingendolo al massimo, con e senza raffreddamento a liquido, la differenza in frame al secondo prodotti è di qualche punto percentuale, senza mai raggiungere il 10%.

CONCLUSIONI

Intel Core i9-13900HX con 32 GB di RAM DDR5, GPU GeForce RTX 4090 con 16 GB, pannello 17” da 240 Hz e 2560×1600 pixel, unità SSD NVMe da 2 TB: serve altro? I valori dei bechmark comunicano un 215% in più della generazione precedente (Intel 12th e GTX serie 3000), in particolari test abbiamo visto valori superare il 400%. è ora di rivedere il fondoscala. Se vogliamo proprio cercare un problemino, malgrado il lavoro ineccepibile delle ventole interne e del sistema di raffreddamento esterno, il fruscio prodotto dall’X40 non è trascurabile alla massima potenza e non risulta adatto a luoghi silenziosi, ma per avere una potenza del genere è il prezzo da pagare. Da pagare anche lo scontrino di € 4.699, assolutamente allineato a quello che è il prezzo dei notebook top di gamma attuale.

SCHEDA TECNICA:

  • Processore: Intel Core i9-13900HX
  • Scheda video: NVIDIA GeForce RTX 4090
  • Schermo:
  • pannello QHD+ da 17 pollici
  • frequenza di aggiornamento fino a 240 Hz con supporto G-Sync
  • Memoria: DDR5 da 32 GB (2×16 4800 MHz)
  • Archiviazione: SSD PCIe Gen 4×4 fino a 2 TB
  • Tastiera: CHERRY MX
  • Connettività:
  • 2x USB 3.2 Gen 1 Type A
  • 1x USB 3.2 Gen 2 Type
  • 1x porta Thunderbolt 4 Type C
  • 1x HDMI 2.1
  • 1x LAN (RJ-45)
  • 1 slot SD full size
  • 1 ingresso microfono
  • 1 doppia connessione di raffreddamento a liquido
  • 1x Kensington Lock
  • Audio: tecnologia audio Nahimic by SteelSeries
  • Dimensioni: 383 mm x 33 mm x 272 mm
  • Peso: 2,86 Kg
  • Sistema operativo: Windows 11 Home

Voto 9.3

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AMD Radeon RX 7900 XTX – Recensione https://www.thegamesmachine.it/highlight2/249123/amd-radeon-rx-7900-xtx-recensione/ Fri, 03 Mar 2023 11:08:30 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=249123 Abbiamo convissuto per una settimana con la RX 7900 XTX, nuova ammiraglia tra le schede video Radeon di AMD. Ecco come si è comportata.

AMD Radeon RX 7900 XTX

Se ci chiedeste quali siano le schede video più potenti in circolazione, non avremmo dubbi a rispondervi: le GeForce RTX 4090, prodotte da Nvidia e dai suoi partner commerciali, capaci di mettere in campo una velocità inaudita e di offrire prestazioni impareggiabili alle risoluzioni più estreme. Queste schede, tuttavia, hanno un costo decisamente salato, intorno ai 1800 euro o anche di più – in base a modello e rivenditore – e non sono molti i giocatori che possono permettersele. Certo, Nvidia offre soluzioni anche per chi vuole spendere di meno, come le RTX 4080, ma siamo sempre su cifre comprese tra i 1300 e i 1500 euro. Dopo la lunga sofferenza provocata dallo shortage in epoca pandemica e l’assurdo rincaro dei prezzi dovuto al concomitante incremento della domanda (leggi: miner che ne acquistavano in quantità industriali, permettendosi di spendere qualsiasi cifra per averle), il posizionamento sul mercato di tutte le fasce enthusiast e mainstream è schizzato verso l’alto, con le soluzioni di fascia medio-alta stabilmente piazzate sopra i 900 euro.

Una buona strategia è comprare la scheda giusta per la risoluzione che si usa, assicurandosi che superi i 60 fps in larga misura, cosicché anche i giochi del futuro siano fluidi per alcuni anni a venire

Solo nelle ultime settimane abbiamo potuto osservare un raffreddamento dei prezzi ma, di sicuro, i tempi in cui bastavano 500 euro per un modello di fascia alta sono ormai un ricordo lontano. Il ritorno alla “normalità”, sempre che sia tecnicamente possibile, richiederà ancora molto tempo, ma nel frattempo una delle strategie migliori da seguire è cercare di orientarsi sui prodotti che realmente ci servono, quelli capaci di offrire tutta la potenza di cui abbiamo bisogno con un margine abbastanza largo da assorbire l’incremento di richieste hardware da parte dei giochi, che come ben sappiamo è un fenomeno costante e del tutto fisiologico. Non avete capito un tubo? La faccio breve: dovete comprare la scheda giusta per la risoluzione che usate, assicurandovi che superi i 60 fps (meglio ancora i 120 fps) in larga misura, cosicché anche i giochi del futuro siano fluidi per alcuni anni a venire.

RADEON RX 7900 XTX, PER CHI AMA I 4K

Da diverso tempo, ormai, la politica di AMD sembra essersi orientata nell’offerta di soluzioni “ottimali” piuttosto che “più potenti”: non vediamo più una GPU Radeon capace di impensierire la GeForce top di gamma da parecchie generazioni. Con le RX 7900 XTX, modello attualmente di punta, AMD si è posta l’obiettivo di fornire le “giuste” prestazioni alla risoluzione 4K (3840×2160) a meno di 1000 dollari, entrando in concorrenza diretta con le GeForce RTX 4080 a prezzi sensibilmente inferiori. Al momento l’operazione è riuscita a metà, perché nei negozi on line possiamo trovare queste schede a prezzi compresi tra i 1.100 e i 1.300 euro, che sono comunque 200 euro in meno della concorrente – e fa sempre piacere tenerli in tasca.

AMD Radeon RX 7900 XTX

Il modello oggetto di questa prova è una “reference board” di AMD e, per tanto, quella che porterete a casa voi dal negoziante potrebbe essere sensibilmente diversa, usare un sistema di raffreddamento originale o avere un design del PCB che si discosta, ma da una veloce rassegna delle offerte on-line si direbbe che i modelli attualmente in circolazione siano quasi del tutto identici a questa. Per cui potete prenderla per buona come “caso generale”: i vari vendor potrebbero applicare frequenze maggiori o usare altri escamotage per produrre qualche frame al secondo in più, ma difficilmente i risultati si discosteranno da quanto metteremo in evidenza.

LE PRIME GPU A CHIPLET

La prima novità introdotta da AMD con queste GPU è, chiaramente, l’adozione della nuova architettura RDNA3, frutto del cammino evolutivo intrapreso dall’azienda a partire dalla generazione 5000 in poi. Se RDNA2 (Radeon RX 6000) aggiungeva le unità specifiche per il ray tracing, il nuovo step li evolve e aggiunge anche delle unità di calcolo per l’AI che costituiscono, di fatto, una risposta ai tensor core di Nvidia (e alle apposite unità presenti anche nelle GPU Intel). Questo purtroppo non significa che ora AMD può combattere ad armi pari – i benchmark mettono in rilievo una realtà differente – ma almeno si è adeguata all’offerta tecnologica messa in campo dai rivali, offrendo lo stesso set di feature in hardware. Il die del chip, tuttavia, non è più monolitico ma suddiviso in due componenti distinte: un GCD (graphics computer die) “centrale”, costruito con una raffinata tecnologia a 5 nm, che contiene tutte le unità preposte ai calcoli e diversi MCD (memory cache die) “periferici” a 6 nm che, come suggerisce il nome, contengono la memoria InfinityCache e i controller per la comunicazione con la VRAM GDDR6. Ogni MCD mette a disposizione 16 MB di cache e 64 dei bit che vanno a comporre l’ampiezza totale del bus verso le memorie, cosicché nel più accessibile (e meno potente) modello RX 7900 XT (senza l’ultima X finale), troviamo solo 5 MCD e quindi 80 MB di InfinityCache e un bus da 320 bit.

La prima novità introdotta da AMD con queste GPU è la nuova architettura RDNA3, una risposta ai tensor core di Nvidia che però non significa una lotta ad armi pari

La Radeon RX 7900 XTX, invece, dispone di 6 MCD e per tanto 96 MB di InfinityCache e un bus da 384 bit. Ai più attenti non sfuggirà l’apparente downgrade della cache, rispetto ai 128 MB in uso sulla “vecchia” Radeon RX 6950 XT, ma si trattava della prima generazione di InfinityCache e il bus era di soli 256 bit. Con le nuove schede, AMD ritiene di aver ottenuto un equilibrio migliore tra velocità e ampiezza di cache e memorie, capace di offrire prestazioni superiori. Quanto alle VRAM, si è passati a GDDR6 da 20 Gbps, che sulla RX 7900 XTX sono “cloccati” a 2,5 GHz, per una banda di trasmissione che sfiora i 3,5 TB/s (il doppio di una RX 6950 XT).

DIVERSE USCITE VIDEO

La Radeon RX 7900 XTX offre quattro uscite video: una HDMI 2.1a, due DisplayPort 2.1 e una DisplayPort su USB di tipo C; la quantità di schermi supportati dipende dalla frequenza di aggiornamento e dalla risoluzione adottata. Usando un solo monitor, è possibile arrivare a 8K con una frequenza di aggiornamento di 165 Hz, mentre collegando due schermi possiamo arrivare a 8K a 60 Hz su ciascuno schermo. Con quattro monitor, possiamo scegliere tra la risoluzione massima di 6K a 60Hz, o scendere a 4K a 144 Hz, o ancora al classico Full HD a 480 Hz, in ogni caso la frequenza di aggiornamento massima prevista su porte DP 2.1 è ben 900 Hz a 1440p, naturalmente con uno schermo solo. Merito del nuovo Radiance Display Engine, l’elettronica preposta a dialogare con le uscite video, che offre una banda di trasmissione ampia 54 Gbps: un sostanziale passo avanti rispetto a qualsiasi altra cosa sul mercato. Notevole anche la presenza di un doppio encoder/decoder in grado di gestire in hardware diversi formati video. È possibile codificare filmati in H265 fino a 210 fps alla risoluzione 4K e fino a 48 fps a 8K, frame che diventano rispettivamente 240 e 60 se invece si sceglie il nuovo encoder AV1. Sono ovviamente previsti acceleratori anche per H264 (endocde/decode) e per VP9 (solo decoding), oltre a tutta una serie di piccoli accorgimenti per i content creators – tra cui un algoritmo di AI capace di intercettare le scritte degli HUD e fare in modo che siano leggibili anche dopo l’encoding, tecnologia che AMD ha ‘ereditato’ con l’acquisizione di Xilinx.

TUTTA LA POTENZA PER GIOCHI E APPLICAZIONI

Difficile immaginare un gioco che possa mettere in difficoltà questa scheda video, soprattutto se intendiamo usarla per la risoluzione per cui è perfetta, 4K. Tutti i giochi che abbiamo provato, al massimo della loro qualità visiva, hanno dato risultati eccellenti:

AMD Radeon RX 7900 XTX

Come possiamo osservare dalla tabella qui sopra, sono tutti numeri di grande rispetto. Vedere giochi come GRID e Shadow of the Tomb Raider schizzare a quasi 200 frame al secondo a 4K non è uno spettacolo a cui le schede video di fasce più basse ci hanno abituati e perfino gli 81 fps ottenuti da Dead Space, per quanto non siano propriamente sbalorditivi, restano comunque più che ottimali, ben al di sopra della soglia dei 60 fps che, tradizionalmente, implicano la perfetta fluidità del movimento. Comunque Dead Space, un po’ come Cyberpunk 2077, è davvero un osso duro ed è appena uscito, proprio come questa scheda. È plausibile che con le prossime versioni dei driver questo framerate aumenti sensibilmente. A tale proposito, è giusto chiarire che AMD sta lavorando piuttosto intensamente sulla componente software del prodotto: come ogni modello nuovo, avrà bisogno di alcuni mesi di “rodaggio” perché i driver maturino a sufficienza. Nella settimana d’impiego a nostra disposizione non abbiamo sperimentato i famigerati problemi di throttling e di eccessivo riscaldamento riportati su Internet da alcuni early-adopters, tuttavia ci è successo di dover riavviare qualche gioco prematuramente uscito al desktop e, ogni volta, abbiamo mandato una segnalazione ad AMD: una seccatura lieve, tutto sommato fisiologica quando entra in gioco un’architettura nuova di zecca, e che col tempo dovrebbe sparire.

AMD sta lavorando piuttosto intensamente sulla componente software del prodotto: come ogni modello nuovo, avrà bisogno di alcuni mesi di “rodaggio” perché i driver maturino a sufficienza

In ogni caso, i benchmark di cui sopra sono stati calcolati su un testbed composto da una scheda madre Gigabyte X670E Aorus Master, da un processore Ryzen 5 7600X e da due moduli di memoria DDR5-6000, con un alimentatore da 750W. Il sistema operativo Windows 11 è stato reinstallato da capo, dopo aver attivato nel BIOS il supporto a Resizable Bar, in pratica ciò che il marketing di AMD chiama SmartAccess. Questa opzione consente al processore centrale di accedere alla VRAM della scheda video in tutta la sua interezza, invece che su singole pagine di 256 MB, ottenendo così un incremento nei framerate che varia mediamente tra il 10 e il 20% a seconda del gioco. Tutti i test erano stati effettuati senza attivare il ray tracing, operazione che purtroppo è tuttora destinata a incidere negativamente sul framerate. Guardiamo per esempio il caso di Cyberpunk 2077, un gioco che ai possessori di schede GeForce mette a disposizione il DLSS, ma che tuttora non supporta quasi nulla di analogo sul fronte AMD:

La colonna “no rtx” riflette le impostazioni grafiche “alte” (come sempre, evitiamo di usare le impostazioni “ultra” con questo gioco, visto che l’aumento di qualità visiva rispetto ad “alte” è risibile, ma l’impatto sui frame è eccessivo), mentre la colonna “RT Ultra” costituisce sostanzialmente il massimo che il gioco può produrre con gli effetti ray tracing attivati. A queste condizioni, solo la risoluzione Full HD resta ampiamente giocabile, mentre già a 1440p occorre fare compromessi. Impossibile invece giocare a 4K, a meno che non si ricorra a qualche trucco. In particolare…

RADEON SUPER RESOLUTION

Le schede Radeon più recenti possono usare una nuova opzione dei driver chiamata RSR, Radeon Super Resolution. Di fatto, si tratta di una “reimplementazione” di FidelityFX Super Resolution (FSR) 1.0 a livello di driver che può essere applicata a tutti i videogiochi, indipendentemente dal loro supporto. Non è detto che funzioni sempre, ma aiuta. All’inizio RSR è un po’ complicato da attivare, ma una volta che si capisce il “giro” da compiere diventa piuttosto semplice: bisogna installare i driver di AMD completi del loro pannello di controllo e attivare RSR, quindi andare sulle impostazioni del gioco e scegliere una risoluzione inferiore con lo stesso rapporto di dimensioni del nostro monitor. Un esempio classico: 1920×1080 su uno schermo da 2560×1440 pixel, o ancora 2560×1440 su uno schermo 4K, l’importante è che il rapporto tra larghezza e altezza sia lo stesso.

Questa scheda può sfruttare l’opzione Radeon Super Resolution o RSR che dir si voglia, una “reimplementazione” del FSR 1.0 a livello di driver applicabile a tutti i videogiochi, indipendentemente dal loro supporto

A quel punto, ci penserà il software Adrenalin a ‘captare’ la possibilità di usare RSR e ad attivarlo. Da quel momento, il rendering verrà calcolato alla risoluzione più bassa e proiettata sullo schermo alla risoluzione nativa, con grande risparmio di calcoli e (alle volte) sostanziale aumento del framerate. La qualità visiva dipende dalla risoluzione usata per il calcolo e si abbassa a mano a mano che questa si allontana dalla risoluzione effettiva dello schermo. Il framerate, invece, può aumentare in modo sostanziale: la stessa AMD fa un paio di esempi piuttosto ‘estremi’ con Metro Exodus EE, che passa da 56 fps a 74 (1800p>4K) e Control, che passa da 41 fps a 84 (1440p>4K). RSR non sarà la panacea di tutti i mali, ma è comunque un bell’aiuto per tutti quei giochi che non supportano nativamente un algoritmo di upscaling compatibile: quei 40 frame al secondo ottenuti da Cyberpunk 2077 a 3440×1440 pixel sono raddoppiati, partendo da una risoluzione 900p. La qualità visiva non sarà stata la stessa, ma le dimensioni erano corrette e il gioco sufficientemente fluido.

FIDELITYFX SUPER RESOLUTION E GLI ALTRI

Naturalmente, la Radeon RX 7900 XTX supporta pienamente FSR 2.x e, in futuro, anche la versione 3 di questa tecnologia. Abbiamo già parlato a lungo di DLSS e di FSR, ma vale sempre la pena rimarcare come quest’ultima sia una tecnologia aperta, pensata per funzionare su qualsiasi GPU moderna, anche concorrente. Con le sue ultime revisioni, AMD ha apportato una serie di accorgimenti finalizzati a eliminare il fenomeno del ghosting sugli elementi in rapido movimento e, non a caso, il recentissimo FSR 2.2 è disponibile su giochi di corsa come Forza Horizon 5, Need for Speed Underground ed F1 22. La Radeon RX 7900 XTX, tuttavia, supporta anche l’analogo algoritmo XeSS di Intel – ovviamente quello standard, che non si affida all’hardware – e questo ci ha permesso di giocare a Shadow of the Tomb Raider attivando ray tracing e XeSS, così da ottenere prestazioni pregevoli anche con ray tracing attivato. Ecco un confronto dei frame medi ottenuti con tre videogiochi alle impostazioni standard, e con Ray Tracing + FSR/XeSS attivati:

Come possiamo notare, in molti casi l’abbattimento dei frame dovuto all’attivazione del ray tracing può essere quasi del tutto recuperato, se non addirittura travalicato, dall’uso di FSR. E sia chiaro, abbiamo sempre scelto la modalità FSR che garantisce la qualità migliore, quasi indistinguibile da una risoluzione nativa. I risultati più eclatanti sono stati quelli di Dead Space, dove abbiamo potuto giocare a 4K con tanto di ray tracing a 130 fotogrammi al secondo, ma anche gli altri giochi hanno ottenuto risultati encomiabili.

COSA OFFRE IL MERCATO

Chi compra un monitor 4K sa che per giocarci sopra bisogna spendere parecchio, soprattutto di questi tempi. A questa risoluzione, si inizia a godere di un framerate ragionevole con una GeForce RTX 4070 Ti (900 euro), con una Radeon RX 7900 XT (950 euro) o con una GeForce RTX 3080 (800 euro, in calo), mentre altre soluzioni anche di poco inferiori (come le RX 6800) offrono prestazioni altalenanti che richiedono necessariamente l’uso di FSR/DLSS per superare la fatidica soglia dei 60 fps, ponendo anche diversi dubbi sulla loro efficacia a lungo termine. I giochi, lo sappiamo bene, non guardano in faccia al nostro portafogli quando si tratta di esagerare con le richieste hardware.

AMD Radeon RX 7900 XTX

Quindi, chi deve comprare oggi una scheda video destinata a un monitor 4K che sia anche sufficientemente future-proof, dovrebbe investire piuttosto su una Radeon RX 7900 XTX o su una GeForce RTX 4080. Sappiamo benissimo che sono 300 euro in più rispetto alle 7900 XT e alle 4070 Ti, ma quello scalino di potenza ‘extra’, in futuro, potrebbe rivelarsi fondamentale per prolungarne la vita e migliorare le condizioni di rivendita. Se le prospettive future non hanno molta importanza, invece, le Radeon RX 7900 XT e le GeForce RTX 4070 Ti, si possono considerare soluzioni altrettanto valide – allo stato attuale – e dal costo più accessibile. In ogni caso, la Radeon RX 7900 XTX non ha nulla da invidiare alla più costosa GeForce RTX 4080 e la scelta di campo dipende solo da voi, dai giochi che usate e dai requisiti dei programmi di AI con cui intendete eventualmente impiegare la GPU.

Voto 9.2

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PlayStation VR 2 – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-tecnologia/247700/playstation-vr-2-recensione-in-progress/ Thu, 16 Feb 2023 13:00:05 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=247700 Dopo aver aspettato gli aggiornamenti dell’UX e osservato, specie per Resident Evil Village, la potenziale golosità di questa – praticamente una killer app –  e altre esclusive , è arrivato il momento del giudizio finale a PS VR2. Buona lettura 🙂




Iniziamo da qualche informazione di contesto. Questa prova non arriva da un veterano della prima PS VR; casomai, posso vantare lo stesso status nel quadro generale del gaming in realtà virtuale. Ho aspettato l’arrivo di una vera immersione VR per quasi quarant’anni, ovvero da quando, bambino, ho contemporaneamente giocato a AD&D Treasure of Tarmin per Mattel Intellivision – tra i primi esperimenti di videogiochi in soggettiva della storia – e fruito con gioia di un allucinante visore stereoscopico di inizio secolo, per caso arrivato nel mio in salotto.

PSVR2

A mia madre, vicepreside in un istituto superiore, era stato chiesto di tenere qualche giorno quel magico mobiletto – legno massiccio, metallo e lenti ‘binoculari’ – che permetteva di riprodurre con perfetta tridimensionalità una serie di foto della prima guerra mondiale. Nella mia testa l’esperienza si è unita all’incredibile, primordiale dinamismo dell’ultimo AD&D di Intellivision, fantasticando di un sistema che consentisse di fondere, in un futuro non prevedibile, le due visioni, quando ancora MirrorShades (antologia ‘manifesto’ del Cyberpunk, 1986) non aveva avvolto la mia immaginazione e quella di tutti gli altri ‘flippati’ di sci-fi postmoderna.

Non sono un veterano del primo PSVR, ma ho aspettato l’arrivo della vera realtà virtuale per quasi 40 anni, fruendone su PC appena possibile

Era la realtà virtuale, l’immersione in ambienti simulati, il cui cammino nel mondo, quello vero, si è concretizzato in una forma convincente nemmeno due lustri or sono. Ad oggi non ha avuto l’impatto commerciale che un vecchio appassionato della prima ora si sarebbe aspettato, ai primi vagiti della fantascienza cibernetica, ma è chiaro che è qui per restare.

BASTA LOGORREA, PARLACI DI PS VR2

Quanto detto finora ha maggiore importanza di quel che potrebbe sembrare. Rispetto al primo acerbo passaggio, quello di PS VR del 2014, sono proprio gli standard PC ad aver dettato una parte importante della nuova realtà virtuale per PlayStation 5. Non tutta, però, spesso nel bene e un pochino anche nel male.




Unboxing a parte, una volta caricati i controller con due cavi USB/USB-C (uno è compreso nella confezione; l’’elegante dock di ricarica sarà venduto separatamente) approssimativamente in 15 minuti, al primo uso non ce ne sono voluti nemmeno 10 per entrare totalmente nell’esperienza: vestizione guidata del visore, calibrazione della posizione degli occhi rispetto alle lenti, tracciamento oculare e definizione interattiva dello spazio di gioco. Una volta compiuti questi passi, è perfino difficile calcolare la velocità di utilizzo. Facciamo mezzo minuto rappresentativo? PS5 carica tutto in un fulmine.

Una volta compiuti i passi iniziali è perfino difficile calcolare la velocità di utilizzo, quasi istantanea

Al primo punto, sconsigliamo di indossare il visore prima delle spiegazioni interne al caschetto; appoggiandolo subito al retro della testa, grossomodo in orizzontale, e maldestramente al naso, inevitabilmente si avrà una spiacevole sensazione di scomodità. L’effetto è esattamente il contrario vestendolo correttamente con una sensazione finale di gran leggerezza: PS VR2 ha un pulsante a destra sulla scocca anteriore e una rotellina sul retro dell’archetto per fissare il visore in una posizione dolcemente angolata, rispettivamente sull’arcata degli occhi e nella parte superiore della nuca, con porzioni di morbida gomma ad addolcire ulteriormente il contatto.

PSVR 2

Quasi immediatamente si passa al tracciamento della “room scale”, per come veniva chiamata nei pressi del primo HTC Vive: è stata già mostrata, quindi diciamo solo che l’effetto di mappatura tridimensionale di stanza e arredi è davvero scenografico, intuitivamente modificabile e dimostra subito le capacità delle quattro camere anteriori, capaci di rilevare uno spazio davvero ampio grazie alla loro posizione sul design arrotondato del visore.

A lato dell’ottimo effetto scenografico nel definire lo spazio di gioco, ben più innovativo è il sistema di tracciamento oculare

Partendo dalle nostre abitudini, ben più innovativo è il sistema di tracciamento oculare: dopo aver seguito una serie di punti rossi attraverso un paio di regolazioni, qualsiasi movimento della nostra pupilla sarà seguito al millimetro. Al di là della distanza pupillare, anch’essa definita in modo particolarmente preciso, il potenziale di questa tecnologia è lapalissianamente maggiore a quanto visto nei giorni di recensione. La ciccia arriverà nelle UX di giochi e software, accanto alla navigazione tra i menu e lo scaling dinamico della risoluzione che già restituiscono sensazioni piacevoli e inusuali.

PSVR2

Risoluzione, field of view e tecnologia OLED sono già noti per lo schermo binoculare, con 2.000×2.040 punti restituiti in un angolo di visuale di 110° e refresh rate fino a un massimo di 120Hz. Nel primo caso, il numero di pixel a schermo è inferiore solo a caschetti PC di altissima gamma, ben più costosi, mentre il resto si colloca in una fascia qualitativa superiore – anche se non di moltissimo – agli standard ancora ragguardevoli di Meta Quest 2. In particolare, per quanto non percettibile, la risoluzione dinamica coordinata al tracciamento oculare si unisce a HDR, bei contrasti e colori sempre vividi per un risultato che in Horizon: Call of the Mountain ha raggiunto il top della raffinatezza visiva. Impressionante, e ve lo dice uno che di VR ne ha vista davvero tanta.

Horizon PSVR2

D’altra parte, sarebbe addirittura criminale non spendere le giuste parole sul cavo, un serpentello gommato lungo 4,5 metri e non sostituibile, parte integrante del design costruttivo di PS VR2. Fa assolutamente bene il suo lavoro, immagine e bitrate sono sempre perfetti, ma si confronta inevitabilmente con alcuni standard della concorrenza PC, in particolare i modelli Quest, partendo da un limite di fatto non valicabile. Niente wireless, insomma, né ora né mai. Qui si entrerebbe in un panegirico di considerazioni, dalla più banale questione del prezzo a materie molto più complicate, riguardanti i costi di produzione in un’economia globale mutata. Credo, tuttavia, che nel nostro caso interessi solo la prima porzione del discorso.

Il cavo fa bene il suo lavoro per qualità dell’immagine, lontano dagli standard wireless di alcuni sistemi PC che, però, ne avrebbero fatto lievitare il prezzo

A parte la necessità di rete 5Ghz, minimo richiesto dai due Quest, un PC da gioco in grado di restituire buone prestazioni in VR può costare dai 1500 euro in su – se costruito personalmente, come nel mio caso – cifra a cui si aggiunge il prezzo di un visore wireless-ready, che anche senza fare esempi specifici non entrerà in casa vostra a meno di altri 500 euro. Sempre approssimando, la somma di PS5 e PS VR2 dovrebbe invece aggirarsi (attenti ai condizionali, di questi tempi) intorno a 1150 euro. E la scelta del cavo fa parte del contenimento dei costi, naturalmente, optando per l’offerta di altre tecnologie – innovative nel caso del tracciamento oculare o perfettamente nelle corde di Sony per i feedback aptici dei controller. È così, prendere o lasciare.

IMMERSIONE, GIOCHI E… PS VR2 SENSE

In queste ore stanno piovendo giochi PS VR2 da tutte le parti, non riusciamo nemmeno a ripararci. È ovvio e giusto, però, partire da Horizon Call of the Mountain: nella recensione vera e propria troverete i cenni all’universo di riferimento, la storia di un ‘prigioniero scalatore’ che potrà redimersi attraverso una serie di missioni ad alta quota, per una durata di 7-8 ore complessive che possono diventare qualcosina in più se aggiunte agli extra, comunque contenuti. E sì, c’è anche Aloy, ma non vi diremo mai come e perché. Casomai, il primo gioco VR di Guerrilla Games ci interessa in questo contesto perché utilizza praticamente in toto le caratteristiche di PS VR2.

In queste ore stanno piovendo giochi PS VR2 da tutte le parti, non riusciamo nemmeno a ripararci

Possiamo muoverci tra i menu col movimento delle pupille in modo sorprendentemente naturale, usare la stessa tecnologia per un’impressione costantemente 4K, priva di qualsivoglia screen door effect anche per chi ha una vista da 11/10, e soprattutto utilizzare i due PS VR2 Sense nella forma più completa possibile. Il grilletto adattivo dà l’impressione di presa sugli strumenti – ci sono anche picozze e rampini con un minimo di crafting, l’esplorazione in scalata ha un grande ruolo – e dello scoccare frecce con l’arco sui dinosauri meccanici, in un sistema che offre anche la vibrazione sul retro del visore e, a parte questo, in VR assume tutto un un altro peso, nonostante si tratti di caratteristiche già viste – e soprattutto sentite – sui DualSense. Banalmente, l’autonomia dei controller è grossomodo la stessa, anche se ovviamente non è possibile metterli in carica mentre si gioca e, beh, per quanto comprensibile non fa certo parte dei pregi.

PSVR 2

Ottimo livello qualitativo per l’audio 3D, assolutamente pazzesco, frutto degli auricolari compresi nella confezione e montati su un archetto da fissare agevolmente sul retro del visore, con cui mi sono già potuto immergere in parecchie esperienze virtuali accanto a quella, già citata, di Horizon Call of the Mountain. Per prima cosa abbiamo provato uno dei giochi (i link qui sotto si riferiscono alle versioni Quest o PC) interni al pacchetto di materiali per la recensione, Star Wars: Tales from the Galaxy’s Edge – Enhanced Edition, insieme a un altro che costituisce il primo titolo di terze parti arrivato in redazione, Jurassic World Aftermath di Coatsink. In entrambi i casi è valido un concetto, lo stesso che si può sbandierare per il ben più ambizioso After the Fall Complete Edition, il cui codice review si è tuffato a bomba nella posta di TGM mentre scrivevo queste righe: in diversi casi, in relazione a Quest nei primi due e anche alla PC VR nel terzo, la versione PS VR2 può godere di un bel numero di contenuti aggiuntivi che, nel frattempo, sono arrivati sulle altre piattaforme. Uno status simile è valido anche le migliorie e gli assestamenti del gameplay in realtà virtuale rispetto alla release iniziali, come per No Man’s Sky.

PSVR 2

La maggiore completezza delle esperienze può alzare l’asticella di poco, ad esempio per l’aggiunta della seconda parte dell’avventura stealth Jurassic World Aftermath – comunque piacevolmente fumettosa (poche differenze, quindi, con la versione originale quest) e ben retta dall’IA dei maledetti velociraptor – oppure portare il gioco su tutto un altro livello come nel caso di Star Wars: Tales from the Galaxy’s Edge: i contenuti dell’espansione Last Call non solo hanno completato il gioco, ma hanno addirittura migliorato la sua sostanza e dato un senso compiuto a feature inizialmente abbozzate.




Le vicende del nostro tecnico-mercante continuano a portarci su Batuu nel locale di un (letteralmente) lisergico barista, tra sparatutto e qualche piccolo enigma ambientale, grande gestualità e ottimo design VR negli equipaggiamenti; le altre avventure, invece, sbloccabili interattivamente nelle quest, raddoppiano da due a quattro per un totale di 8-9 ore di durata complessiva, in mezzo ad apprendisti Jedi, androidi assassini e, così, nuove meccaniche di gameplay migliori, a conti fatti, rispetto alle prime missioni. Sotto il piano visivo, poi, quello che già si dimostrava un piccolo miracolo sul processore di Quest viene ben arricchito di texture in altissima risoluzione, un migliore sistema di illuminazione e begli effetti di rifrangenza sulle superfici.




D’altronde, non posso che sbavare su Resident Evil Village VR, modalità infine giunta con un update gratuito alla release di PS VR2. Horizon Call of the Mountain è un gran bel gioco in realtà virtuale, ma a mio modo di vedere si dimostra ‘killer application’ fino a un certo punto. Il confine, come dettagliamo più avanti, pare essere stato di nuovo valicato dalla serie survival horror di Capcom, con caratteristiche ovviamente imparagonabili a quelle di Resident Evil 7 in realtà virtuale.

FAST FORWARD & REWIND

Inizialmente avevo rimandato il voto a PS VR2 per osservare significative variazioni all’UX, arrivate sotto forma di piccole migliorie/aggiunte e non, come immaginavo provenendo da Quest e Steam VR, un ambiente virtuale filtro (camera con vista, sala controllo per un’astronave o qualsiasi altro spazio ‘cool’ vi venga in mente) che incorniciasse con un po’ di sano spettacolo la dashboard e le funzione del tasto PS – comunque capaci di farvi raggiungere facilmente qualsiasi opzione, anche in realtà vistuale. Secondo me arriverà, ma alla fine l’attesa per il giudizio finale ha virato verso i contenuti: poco prima di scrivere queste righe ho provato il free-update VR di Resident Evil Village, con impressioni molto vicine allo status di killer application (che potrebbe riguardare anche il remake di Resident Evil 4, magari con qualche ulteriore attenzione). Metteteci l’altro aggioramento gratuto a Gran Turismo 6 e l’annuncio di ieri che porta i giochi al lancio o programmati a breve a una cinquantina, numero in cui rientra anche l’interessante Hellsweeper, slasher in realtà virtuale un po’ souls e un po’ rogue, sviluppato dagli autori di Sairento – spettacolare gioco di combattimento con cornice cyberpunk – e prodotto dai creatori di Arizona Sunshine e After the Fall.Posto, però, che il quadro dei contenuti inizia a farsi più che buono, è arrivata l’ora di un veloce recap alla ricerca del giudizio finale. Tra i difetti troviamo la durata non stellare delle batterie – benché rapportata a sessioni VR, generalmente ben più brevi rispetto alla normale fruizione di un videogioco – oltre naturalmente al cavo, in grado di restituire l’immagine al top del bitrate ma lontano da alcuni standard PC VR wireless. Qui, ribadisco, va tenuto presente il prezzo complessivo: in soldoni, con PS VR2 l’ingresso nella VR di ‘serie A’ – libera, insomma, di sfruttare un’elevatissima capacità computazionale – costa sempre molto meno della realtà virtuale su computer. Vado controcorrente anche per il design dei controller: personalmente non ho avuto nessun problema durante la gestualità VR, ad esempio in posizione da arrampicata o nel tenere a due mani una pistola – i bordi degli archetti arrotondanti scivolano tra loro, ‘incrociandosi’ tra loro in modo naturale – e neppure per la posizione dei tasti, al di là dell’ovvia e necessaria mappatura mnemonica.

Complessivamente, crediamo che il prezzo valga di molto la candela, pesando bene pregi, difetti e potenzialità

Tra i sicuri pregi c’è tutto il resto: design estetico, bontà e risoluzione dello schermo, scaling automatico agganciato al tracciamento oculare, potenzialità di quest’ultima tecnologia, esperienza audio, precisione di rilevamento anche tattile, feedback aptici dei controller e grilletti adattivi. Per un appassionato di realtà virtuale, a mio modo di vedere, il risultato è imperdibile su PS5 e un po’ meno per chi già fruisce di un sistema prestante di PC VR; in questo quadro, vanno comunque tenute in conto golose esclusive anche gratuite – le ultime creature di Resident Evil su tutte – accanto a una componente tecnologica in parte inedita per il gaming in realtà virtuale.

VOTO: 88

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Turtle Beach Recon Cloud - Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-tecnologia/247378/turtle-beach-recon-cloud-recensione/ Tue, 14 Feb 2023 11:52:48 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=247378 Ecco il Turtle Beach Recon Cloud, un controller compatibile con PC, Xbox e Android che si può usare in modalità cablata e non, ma con qualche compromesso.




Dopo l’ottimo React-R, di cui avevamo lodato accessibilità e leggerezza, abbiamo potuto mettere (letteralmente) le mani sul Recon Cloud, una soluzione di fascia più alta che può essere usato in diversi modi e, oltre alla compatibilità con PC e Xbox, aggiunge anche quella con Android. La comunicazione via cavo avviene con il classico filo USB da tipo A a tipo C, mentre quella wireless attraverso il protocollo Bluetooth LE. Non è previsto il supporto di iOS e i dispositivi Android, per essere compatibili, devono montare almeno la versione 8.0 del sistema operativo e disporre di Bluetooth 4.2 o superiore. In modalità cablata, invece, sono richiesti Windows 10/11 o una Xbox a partire dalla One.

UN FORM FACTOR CHE NON DELUDE MAI

Il Recon Cloud di Turtle Beach segue pedissequamente la forma e le proporzioni dei controller per Xbox sviluppati da Microsoft, anche se in realtà è più grande di qualche millimetro. Troviamo quindi i comandi tipici di questo tipo di periferiche: due leve analogiche, un d-pad digitale, quattro pulsanti principali a portata di pollice e quattro pulsanti sul lato posteriore, di cui due grilletti, a portata di indici e medi. Più in basso, sul retro dell’impugnatura, ci sono anche due palette programmabili: possono essere riconfigurate per replicare uno qualsiasi dei pulsanti anteriori, oppure quella destra può essere usata assieme alla leva analogica destra nella cosiddetta modalità “easy-aim”, l’equivalente della modalità cecchino prevista da diversi mouse.Turtle Beach Recon Cloud

Nella parte superiore della plancia troviamo due controlli separati per il volume e per la chat, un pulsante con una S per attivare la funzione Superhuman Hearing, due tasti di selezione per le funzioni avanzate del joypad e un bottone con cui escludere il microfono. Ma tutte le funzioni che hanno a che fare con il suono possono agire soltanto su un headset collegato direttamente al dispositivo per mezzo di un’apposita presa per jack da 3,5 mm, magari uno di quelli prodotti dalla stessa Turtle Beach, e non possono agire su altre eventuali periferiche audio connesse direttamente al computer.

LA MODALITÀ CABLATA DEL RECON CLOUD

Usare il cavo USB fornito in dotazione è certamente il modo ottimale per sfruttare questo controller, nonché l’unico, se lo usiamo con una console Xbox. Il cavo permette di passare anche l’audio dei videogiochi e anche di sfruttare il sistema di vibrazione, due funzioni importanti del tutto inagibili in modalità Bluetooth. In modalità cablata, invece, tutte le funzioni sono disponibili.

Si chiama Recon “Cloud” perché pensato per funzionare in abbinamento con Xbox Game Pass e per avere a disposizione tutte le feature che possono tornare utili nel cloud gaming

In questa configurazione il pad fa fede al suo nome: si chiama Recon “Cloud” perché pensato per funzionare in abbinamento con Xbox Game Pass e per avere a disposizione tutte le feature che possono tornare utili nel cloud gaming. C’è perfino un abbonamento di 30 giorni al noto servizio di Microsoft in omaggio nella confezione.

L’USO CON LE CUFFIE

Il Recon Cloud permette di collegare un paio di cuffie, dotate di microfono, a un’apposita presa jack. Questo significa che se avete in casa un headset privo di connessione diretta USB, potete collegarlo al joypad e migliorarne l’uso con diverse funzioni interessanti. Premendo il tasto Mode è possibile attivare il monitor del microfono in cuffia, con quattro livelli del volume a disposizione. Premendolo una seconda vola, si possono scegliere quattro equalizzazioni dell’audio differenti. Infine, con l’apposito pulsante ‘(S)’ si può attivare o disattivare la funzione Superhuman Hearing, cioè un’equalizzazione particolare dell’audio che esalta le frequenze tipiche di suoni come quelli dei passi e della ricarica delle armi negli FPS.

Turtle Beach Recon Cloud

Non ci discostiamo gran che da quanto avevamo già scritto per il React-R: “sì, sentiremo meglio alcuni particolari ma con ogni probabilità preferiremo usarla durante l’ascolto della musica, visto che Superhuman Hearing tende ad “aprire” maggiormente i brani dando loro dinamismo, con un’enfasi piuttosto marcata della linea di canto e delle frequenze attigue”. Ottimo invece il controllo del volume generale in cuffia grazie a due pulsanti dedicati, così come per l’enfasi della chat in-game quando il pad è usato con una console Xbox. Purtroppo, gli utenti PC potranno soltanto usare la prima delle due funzioni perché la seconda è a loro preclusa.

LA MODALITÀ WI-FI

Il pairing del Turtle Beach Recon Cloud avviene con un doppio passaggio: prima bisogna premere il tasto Xbox centrale per due secondi, poi fare altrettanto con un pulsantino piazzato sotto la croce direzionale, quindi si può avviare la ricerca della periferica da parte di un PC o di un dispositivo mobile basato su Android. Questo, probabilmente, per evitare un tentativo di pairing accidentale durante il gioco. In modalità Bluetooth è inutile collegare cuffie al Recon Cloud: non so esattamente quale limite impedisca al dispositivo di inviare e ricevere anche i dati dell’audio, insieme a quelli dei controlli, ma le cuffie resteranno completamente mute. Allo stesso modo, non funzionerà nemmeno il “force feedback”, sebbene sia comunque possibile programmare le palette posteriori e usare la modalità Pro-Aim.

C’è una molletta da collegare direttamente al pad, in cui è possibile “alloggiare” qualsiasi smartphone in posizione orizzontale, che si può trasformare in un supporto da tavolo

Sebbene sia possibile usare il Recon Cloud via Bluetooth anche con Windows, è chiaramente con i cellulari Android che questa modalità ha più senso: nella scatola c’è una molletta da collegare direttamente al pad, in cui è possibile “alloggiare” qualsiasi smartphone in posizione orizzontale, purché sul lato corto sia di larghezza compresa tra i 4,7 e i 9 cm. La molletta si può inclinare diversamente agendo su due apposite rotelline di blocco e – udite udite – si può anche scomporre, trasformandola in un supporto da tavolo per lo smartphone.

turtle beach recon cloud

È davvero un’ottima idea anche se scivola fastidiosamente sulle superfici lisce e, dacché piuttosto stretta nonché leggera, si sbilancia in fretta. Molti telefoni hanno il pulsante dello standby posizionato più o meno al centro del lato lungo, finendo facilmente preda della “morsa” della molletta. In questi casi, difficilmente sarà possibile usarla come supporto e anche la sua funzione “principale” può risentirne. C’è poi un ultimo aspetto a cui fare attenzione: il pad pesa 252 grammi e il “sistema” composto dal medesimo e dal telefono cellulare tenderà a spostare il proprio baricentro tutto sullo smartphone, facendo sì che sia sempre quest’ultimo ad appoggiarsi “a terra”. Giocare in questo modo significa esercitare costantemente una forza sui propri polsi per mantenere il tutto in equilibrio – e in breve tempo stanca. Ma questo in fondo non è un problema: ricordate? La molletta può fare anche da supporto da tavolo: basterà usarla in questo modo, giocare con il cellulare come faremmo col PC e il problema sarà risolto!

TURTLE BEACH RECON CLOUD: PRESTAZIONE IN-GAME

Il feeling generale durante il gioco è analogo a quello che avevamo descritto per il fratello minore: il Recon Cloud è un gamepad comodo, pratico, leggero – nonostante la batteria ricaricabile interna – e ricco di funzioni. Ci piace molto, in particolare, che non sia schiavo delle batteria usa-e-getta ma che basti lasciarlo connesso al computer (o alla console) per poco tempo, per ritrovarlo carico e pronto ad affrontare almeno 30 ore di gioco prima della prossima ricarica. Se poi decidiamo di usarlo prevalentemente come pad cablato, non lo troveremo praticamente mai scarico. L’esperienza in game è ottimale con qualsiasi genere di gioco e l’unico appunto che si potrebbe muovere è la lunghezza della corsa dei due grilletti LT/RT, che qualcuno troverà eccessiva.

Piace che non sia schiavo delle batteria usa-e-getta ma che basti lasciarlo connesso al computer (o alla console) per ritrovarlo pronto ad affrontare almeno 30 ore di gioco

In quel caso, però, riproponiamo lo stesso workaround suggerito per il React-R: basta programmare P1 e P2 come se fossero le versioni completamente premute dei due grilletti in questione, per ottenerne un’efficace “versione digitale” dall’attivazione istantanea. Questo trucco, però, precluderebbe l’uso della modalità Pro-Aim. Ci piace molto l’impugnatura zigrinata “ergonomica refrigerata” (qualunque cosa voglia dire), rivelatasi piacevole da usare anche dopo diverse ore di gioco. Ci piacciono molto anche i due colori in cui l’unità è disponibile, in particolare la versione blu magma [https://it.turtlebeach.com/products/blue-magma-recon-cloud-controller], così come eccellenti sono la precisione delle leve e l’idea di implementare una modalità cecchino.

Turtle Beach Recon Cloud

Ci sono piaciuti un po’ meno, invece, i compromessi che bisogna decidere di fare ogni volta: voglio giocare senza il cavo? Non posso usare le cuffie (neanche con Android); voglio usare la modalità cecchino? Non posso programmare la paletta P2 a piacimento; voglio giocare su Xbox? Devo usare il cavo. Insomma, ci permette di fare tante cose, ma non tutte assieme ed è un peccato. Però per 100 euro (perdonatemi l’arrotondamento verso l’alto di un centesimo) ci portiamo a casa un attrezzo molto più che convincente, che possiamo usare proficuamente con diverse piattaforme da gioco, con e senza cavo, riuscendo magari a valorizzare anche quel vecchio paio di cuffie che non usavamo quasi più perché non avevamo un modo rapido per equalizzare il suono o per modificare il volume. In definitiva si tratta di un ottimo prodotto, che ha tutte le carte in regola per diventare il mio controller di gioco preferito per tutta una serie di fattori come l’autonomia, il peso contenuto e la facilità d’impiego.

Voto 8.9

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Gigabyte X670E Aorus Master – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-videogiochi-pc-ps4-xbox-wii-u-app/247300/gigabyte-x670e-aorus-master-recensione/ Tue, 14 Feb 2023 11:48:59 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=247300 Giocare su PC sta tornando a essere piuttosto costoso. Ci siamo lasciati fortunatamente alle spalle una fase molto critica, in cui riuscire ad acquistare una scheda video era già molto difficile di per sé, e farlo a prezzi vicini a quelli di listino aveva un che di miracoloso, ma non è che adesso la situazione sia migliorata più di tanto tra l’inflazione che galoppa e i prezzi applicati dai produttori ai nuovi modelli. Se, un tempo, poteva sembrare oltraggioso spendere più di 500 euro per una scheda video di fascia alta, oggi con la stessa cifra ci si deve accontentare di un modello di fascia media, già che le Radeon RX 7900 XTX e le GeForce RTX 4080 superano abbondantemente i mille euro in qualsiasi negozio on line.




Sul fronte delle schede madri non va poi tanto meglio: un tempo la fascia alta si aggirava intorno ai 300 euro, oggi invece questa X670E Aorus Master può essere vostra in cambio di circa 530 euro (negli e-store) e non è neanche il modello più costoso, visto che la Extreme sta intorno agli 800 euro su Amazon. È quindi lecito chiedersi cosa ci offrano queste preziose periferiche, in cambio di una porzione abbastanza considerevole del nostro stipendio medio. Prendiamo in esame proprio la X670E Aorus Master, una scheda madre di lusso con cui Gigabyte intende conquistare i gamer che scelgono i processori AMD.

VELOCITÀ E VOLTI NUOVI

La novità principale della X670E Aorus Master è l’adozione della piattaforma AM5 di AMD e di tutto ciò che essa comporta, come l’uso delle RAM DDR5 fino a 6.666 MHz in overclock e soprattutto la possibilità di collegare fino a quattro drive SSD NVMe, utilizzabili anche in diverse configurazioni RAID. Dei quattro connettori per queste periferiche, due sono pienamente compatibili con la versione 5.0 del bus PCI Express e, per tanto, se il modello di processore Ryzen 7000 prescelto offre questa possibilità, è possibile leggere/scrivere dati a velocità supersonica, superando addirittura i 10 GB/s sui drive compatibili. Gli altri due, invece, si “fermano” alle specifiche – comunque già ampiamente soddisfacenti – della versione 4.0, con un “limite” teorico di circa 7 GB/s.

La novità principale della X670E Aorus Master è l’adozione della piattaforma AM5 di AMD e di tutto ciò che essa comporta, come l’uso delle RAM DDR5S e la possibilità di collegare fino a quattro drive SSD NVMe

Sono numeri a dir poco impressionanti, che puntano a rendere istantanei i caricamenti del sistema operativo, delle applicazioni e dei loro dati, sebbene non sempre questi ultimi siano organizzati in modo tale da sfruttare tutto questo ben di dio: si pensi per esempio ai caricamenti di Serious Sam 4, piuttosto fastidiosi anche sui drive SSD più veloci (perfino con questa scheda madre). Si prosegue nel segno della velocità anche per la connessione Ethernet a 2,5 Gbps (offerta da un controller Intel) e per il Wi-Fi 802.11 a, b, g, n, ac e ax, in grado di raggiungere la banda dei 6 GHz e 2,4 Gbps di velocità, oltre a offrire il supporto a Bluetooth 5.3. C’è anche una potente antenna già fornita in dotazione nella scatola.

Gigabyte X670E Aorus Master

Manca, stranamente, la versione 4.0 dello standard USB (che avrebbe offerto almeno una porta a 40 Gbps), ma c’è un connettore USB 3.2 gen 2×2 di tipo C che può arrivare a 20 Gbps, mentre un secondo dello stesso tipo è disponibile sotto forma di header sulla scheda madre. Tra porte USB fisicamente presenti e pin sulla piastra, abbiamo a disposizione sette connettori da 10 Gbps, sei da 5 Gbps e quattro USB 2.0 da 480 MB/s, utili per collegare periferiche di controllo come mouse e tastiera o vecchi accessori che hanno problemi con le versioni più veloci. La porta USB di tipo C può essere usata anche come uscita video DisplayPort, mentre una di quelle di tipo A può essere usata anche per aggiornare il firmware (quello che ancora oggi chiamiamo impropriamente BIOS) in maniera del tutto indipendente, ma su questo ci torneremo dopo. Data la grande quantità di tecnologie già presenti on board, troviamo solo tre slot di espansione PCI Express: uno x16/x8 versione 5.0 (destinato alla scheda video), un x4 versione 4.0 e un altro x4 versione 3.0, anche se fisicamente sembrano tutti connettori x16.

Gigabyte X670E Aorus Master

Per chi ancora oggi usa configurazioni multi-GPU, la X670E Aorus Master supporta la modalità Crossfire. Non mancano le porte SATA e quelle per l’audio: i più tecnici di voi, comunque, possono apprezzare l’organizzazione dell’I/O e delle componenti on board grazie al seguente diagramma a blocchi, estratto dal manuale d’uso.

AMPIA E MOLTO BELLA

Il formato E-ATX della piastra è leggermente più largo del più consueto standard ATX e permette una collocazione più ordinata di tutte le componenti. Una volta estratta dalla scatola, la prima parola che viene in mente è “solidità”: tutti i circuiti vitali, a partire da quelli di alimentazione e il chipset X670E, sono coperti da qualche forma di dissipatore e, per accedere ai vani M.2, è necessario addirittura un cacciavite. Il primo connettore si trova nello spazio compreso tra il socket AM5 e lo slot PCI Express principale, sovrastato da un voluminoso dissipatore passivo assicurato alla scheda da due viti.

Tutti i circuiti vitali sono coperti da qualche forma di dissipatore e, per accedere ai vani M.2, è necessario addirittura un cacciavite

È qui che, idealmente, dovremmo installare un drive M.2 PCI Express 5.0 gestito direttamente dal northbridge integrato nel processore centrale su cui memorizzare sistema operativo e applicazioni principali. Ma ce n’è un altro del tutto analogo anche nel blocco da tre vani M.2 che sta immediatamente sotto al connettore PCI Express di colore bianco. Qui le viti da togliere sono ben 4, ma per fortuna la rimozione e la reinstallazione dei due dissipatori è davvero cosa semplice. In ogni vano possiamo installare drive lunghi fino a 11 cm, mentre per i più diffusi modelli da 8 cm è previsto addirittura un sistema di retention che non ha bisogno della classica vite di fissaggio: basta inserire il modulo nel suo connettore, spingerlo verso il basso e applicare una breve rotazione al blocco, per fissarlo in modo sicuro alla scheda madre.

Gigabyte X670E Aorus Master

Il discorso cambia se abbiamo un drive più lungo (vite) o più corto: in quest’ultimo caso possiamo sempre togliere uno strato protettivo di carta velina per usare l’adesivo sottostante, che manterrà saldamente il drive in posizione anche se questo significherà rischiare di romperlo con una futura rimozione. Ricorrete a questa soluzione solo se non ne avete a disposizione nessun’altra.

SETUP DEL SISTEMA E INSTALLAZIONE

Come avevo scritto tempo addietro, la scelta del form factor E-ATX può limitare la scelta del case ai modelli più ampi e ingombranti, ma non è sempre così: c’è stata piuttosto comodamente anche nel grazioso H5 Elite di NZXT, anche se al costo di rinunciare a una placca che serve a nascondere alcuni cavi. Installare il dissipatore del processore centrale, invece, ha chiesto la rimozione di quello del primo drive M.2, compreso tra la CPU e la scheda video. La sua altezza impediva materialmente di far scattare il meccanismo di retention del waterblock usato dal sistema di raffreddamento a liquido H100i Elite Capellix di Corsair, che non riusciva a fare presa sull’apposito gancetto del socket. Dopo una buona mezzora di fatica ho tolto il dissipatore dell’M.2 e l’H100i si è agganciato all’istante. È comunque possibile rimetterlo al suo posto subito dopo. Nessun problema invece a installare le altre componenti hardware: con RAM, scheda video e cavetti vari è filato tutto liscio come l’olio, e in breve il sistema era pronto per la prima accensione.

QUALCHE SECONDO DI SUSPENSE…

La prima accensione è invero piuttosto lunga. Il firmware effettua diversi controlli prima di caricare il sistema operativo (tra cui la coerenza del TPM incluso nel processore, il corretto funzionamento delle RAM, ecc), spegnendo e riaccendendo la motherboard più volte. Ma una volta superata questa fase (che tipicamente richiede tra i 30 e i 60 secondi al primo avvio) passa qualsiasi tentennamento: alle impostazioni automatiche, sia il Ryzen 9 7900X, sia il Ryzen 5 7600X con cui l’abbiamo provata hanno funzionato egregiamente, mantenendo sempre stabile la nuova installazione di Windows 11 effettuata per l’occasione.

La prima accensione è invero piuttosto lunga: il firmware effettua diversi controlli prima di caricare il sistema operativo, spegnendo e riaccendendo la motherboard più volte

È stato invece piuttosto problematico collegare un SSD con una versione pre-esistente di Windows 10, perché usava ancora un setup di tipo legacy effettuato con il vecchio schema di partizionamento MBR, che a sua volta non andava particolarmente d’accordo con il supporto a Resizable BAR e con il modulo CSM. Tenetelo presente, se avete una vecchia installazione di Windows che “passate” di computer in computer, o se è vostra abitudine smanettare con sistemi operativi open source “esotici” diversi da Linux: qualunque altra cosa potrebbe richiedere uno studio approfondito delle mille impostazioni del firmware, prima di funzionare. Sempre se sarà compatibile, naturalmente. Alla fine, per superare tutti gli ostacoli, ho proceduto a una reinizializzazione del drive e al rifacimento di tutte le partizioni, prima ancora d’installare Windows da capo e tutto il software di prova.

… E UN PO’ DI SANO TERRORE

Ciò che invece mi ha intesito di più è stato l’aggiornamento del firmware, un’operazione che di solito si compie soltanto in caso di problemi reali – o per installare qualche patch contro le falle di sicurezza dei processori centrali – ma che possiamo considerare di routine in un test come questo. Al primo tentativo non è stato possibile aggiornarlo né con l’apposito menu del BIOS (chiamato Q-Flash), né tramite riga di comando: il file che conteneva la versione più recente del firmware veniva correttamente caricato dalla chiavetta USB, verificato, ma non installato al riavvio successivo. Al terzo-quarto tentativo, la scheda madre ha smesso di rispondere ai comandi, bloccandosi all’avvio ancora prima di inizializzare le periferiche USB e visualizzando sul display POST il valore C5, classificato “reserved” sul manuale d’uso.

Gigabyte X670E Aorus Master

Un veloce passaggio al servizio di supporto di Gigabyte e ho potuto apprezzare la modalità di aggiornamento del firmware più estrema di tutte, la Q-Flash Plus, che consiste praticamente nel togliere tutto dalla scheda madre, anche la RAM e il processore centrale, lasciando collegati solo i cavi di alimentazione a 8 e 24 pin, e la penna USB su cui era salvato il file del firmware, rinominata “gigabyte.bin” per l’occasione. È un sistema davvero fichissimo, per uno smanettone come me. Un po’ inquietante, perché va eseguito “alla cieca”, ma fichissimo. Il tentativo di recupero in sé è andato a vuoto, ma togliere i cavi di alimentazione per poi rimetterli dopo qualche minuto, in qualche modo, ha migliorato la situazione, indirizzandomi verso la piena risoluzione del problema.

A mettere in crisi la X670E Aorus Master sia stata l’attivazione del CSM, il ‘modulo di compatibilità’ che dovrebbe garantire l’avvio dell’OS in modalità legacy

Dopo altre analisi più approfondite, ho compreso che a mettere in crisi la X670E Aorus Master sia stata l’attivazione del CSM (il ‘modulo di compatibilità’ che dovrebbe garantire l’avvio dell’OS in modalità legacy) e ancora una volta, per recuperarne l’uso, ho dovuto seguire questi passaggi in sequenza: 1) staccare fisicamente il cavo di alimentazione a 24 pin; 2) staccare le RAM; 3) riattaccare il cavo dell’alimentazione, 4) accendere e aspettare il codice POST “21”, 5) spegnere nuovamente, riattaccare le RAM e 6) riaccendere. Di tutto questo ho reso partecipe anche il supporto di Gigabyte, anche se a loro “non è mai capitato”. La mia solita fortuna.

SOLIDITÀ NON SOLO PERCEPITA

Il paragrafo precedente non vi deve spaventare. Ripeto: non deve affatto spaventarvi. Sembra una “rogna” molto complicata, ma tradotto dal tecnichese è la prova che non state pagando 500 euro per niente: in caso di difficoltà, la X670E Aorus Master vi mette a disposizione gli strumenti necessari a recuperarla e l’unico fastidio che ho rilevato, in tutto questo, è stato la scelta poco felice di relegare la cancellazione della CMOS a due pin che vanno chiusi momentaneamente con un ponticello (non fornito in dotazione) o facendogli fare contatto con la punta del cacciavite. Ho visto decine di schede madri notevolmente più economiche mettere un pulsantino allo scopo. Non dico a portata di burlone sul pannellino posteriore, perché lì c’è già il pulsante Q-Flash Plus e confondersi è un attimo, ma almeno sulla piastra in sé, da qualche parte vicino agli header per le porte USB aggiuntive o per il pannello frontale del case. Non sarebbe male se ne mettessero uno, alla prossima revisione del prodotto, tuttavia, non si può negare che questa scheda madre svolga egregiamente il proprio dovere.

Gigabyte X670E Aorus Master

Le RAM utilizzate sono due moduli GSKILL da 4800 MHz con un profilo EXPO – il nuovo corrispettivo di XMP ratificato da AMD – che permette loro di andare a 6000 MHz. È bastato collegarle e abilitare il profilo nel BIOS perché venissero usate “a piena frequenza”. Il firmware è quello a cui nel bene e nel male Gigabyte ci ha abituati, con decine di opzioni dal sapore squisitamente tecnico che consentono di configurare a puntino l’hardware a disposizione, anche se bisogna rimarcare che quasi nessuna di esse è spiegata dall’help interno. Si potrà obiettare che non è compito del BIOS spiegare a che serva ciascuna opzione, ma trovo sempre stucchevole che l’aiuto di una voce del tipo “Zxwxy mode enable/disable” sia “permette di abilitare Zxwxy o meno”: fin lì ci arrivavo anch’io. In ogni caso, le impostazioni di default offrono una pressoché marmorea stabilità del sistema: in qualità di piattaforma “nuova”, mi aspettavo di incontrare qualche tentennamento, dei cali di velocità, magari un occasionale schermo blu della morte… e invece niente.

Durante i miei test il sistema ha semplicemente funzionato come se fosse stato temprato da anni di collaudo: possiamo considerare il test del “comune videogiocatore” superato a pieni voti

Nemmeno un crash o un’applicazione che facesse fatica a partire. Durante i miei test il sistema ha semplicemente funzionato come se fosse stato temprato da anni di collaudo. Certo, ci sarà sempre la combinazione di hardware e software che darà qualche grattacapo, ma possiamo considerare il test del “comune videogiocatore” superato a pieni voti. Cosa che del resto ha dovuto riconoscere anche Userbenchmark, notoriamente poco favorevole a elogiare i prodotti di AMD:

Gigabyte X670E Aorus Master

Considerato che i prodotti nuovi possono solo affinarsi e migliorare con l’evoluzione dei driver, si tratta indubbiamente di un buon inizio.

MILLE ESIGENZE DIVERSE, UNA RISPOSTA

Benché il pedigree di questa motherboard sia formalmente ludico, la sua maggiore vocazione è chiaramente quella di una workstation, in particolare in tutti quegli ambiti dove l’accesso veloce ai dati costituisca una priorità imprescindibile: non si sa bene di cosa se ne facciano, i videogiocatori, di quattro slot M.2 configurabili in RAID 0, 1 e 10, ma chiunque avesse questo genere di necessità, anche solo per velocizzare il caricamento dei livelli, troverà nella X670E Aorus Master una fedele alleata. C’è davvero tutto quello che può far piacere ai maniaci del modding: dai circuiti di alimentazione PVR a 20 fasi, di cui 16 dedicati al Vcore in una configurazione in team, alle tante opzioni per l’overclock di CPU e memorie nel BIOS, passando per quattro LED di controllo, il display numerico delle fasi del POST e i diversi punti previsti per la misurazione delle tensioni. Una scheda da sogno per i più tecnici di noi, insomma, a cui è davvero difficile trovare dei difetti.

Considerato che i prodotti nuovi possono solo affinarsi e migliorare con l’evoluzione dei driver, si tratta indubbiamente di un buon inizio

Manca l’USB 4.0 a 40 Gbps? È vero, ma in fondo i tempi per questo tipo di connessione non sono ancora propriamente maturi, e poi si fa sempre molto in fretta a comprare una scheda di controllo PCI Express se proprio servisse. Semmai, molte di queste tecnologie finirebbero per essere sprecate, ridondanti e inutilizzate in molti dei “nostri” computer, dove magari un singolo vano M.2 PCIe 5.0 può bastare e avanzare: che importanza potrebbe mai avere se gli altri fossero ancora v4.0, quando perfino DirectStorage, nei primi test, dà risultati ottimali perfino con i vecchi drive v3.0? Indubbiamente, però, chiunque non badi a spese e desideri un’ottima scheda madre che non teme più di tanto il futuro, dovrebbe tenere la X670E Aorus Master in grande considerazione.

VOTO 8.8

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Da Medion novità all'orizzonte – Anteprima Erazer Beast X40 e Major X20 https://www.thegamesmachine.it/news-videogiochi-pc-ps4-xbox-wii-u-app/news-tecnologia/244797/qualcosa-di-nuovo-allorizzonte-da-medion-anteprima-erazer-beast-x40-e-major-x20/ Sat, 04 Feb 2023 17:21:06 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=244797 Finalmente i nuovi processori Intel di 13th generazione stanno per sbarcare anche nel settore mobile. Se a questo andiamo ad aggiungere una corposa spinta grafica grazie alle GPU Nvidia serie 4000, il risultato di potenza sui nuovi portatili sarà senza dubbio interessante per ogni giocatore. Così è anche sui nuovi portatili Medion Erazer. Medion, produttore tedesco sotto l’egida di Lenovo, è già pronta con una linea completamente rinnovata che abbiamo visto in anteprima in un esclusivo evento a Parigi.

Medion ha introdotto il raffreddamento a liquido esterno e opzionale nei portatili di fascia alta

Oltre a questo aggiornamento tecnologico, tuttavia, Medion ha fatto di più: ha introdotto il raffreddamento a liquido (più efficiente rispetto a quello ad aria) esterno e opzionale nei portatili di fascia alta. Prima di descriverne il funzionamento, vediamo i modelli presentati di fascia alta.

 

Erazer Beast X40 e Major X20

Evoluzione del modello X30, il Beast X40, viene equipaggiato con una RTX 4090 con 16 GB di VRAM, un Intel Core i9-13900HX con una memoria PCIe 4×4 da 2 TB e 32 GB di RAM DDR5. Medion Erazer Beast x40Il display da 17’’ G-Sync arriva fino a 240 Hz con una risoluzione QHD+ e il vantaggio non da poco di essere un 16:10 e non 16:9 (il guadagno di pixel sull’asse verticale è molto utile sia nel gioco, sia nel lavoro). Anche la tastiera non è una scelta casuale: una Cherry con tasti meccanici a basso profilo.

Scheda tecnica MEDION Erazer Beast X40

  • Processore: Intel Core i9-13900HX
  • Scheda video: NVIDIA GeForce RTX 4090
  • Schermo:
    • pannello QHD+ da 17 pollici
    • frequenza di aggiornamento fino a 240 Hz con supporto G-Sync
  • Memoria: DDR5 da 32 GB (2×16 4800 MHz)
  • Archiviazione: SSD PCIe Gen 4×4 fino a 2 TB
  • Tastiera: CHERRY MX
  • Connettività:
    • 2x USB 3.2 Gen 1 Type A
    • 1x USB 3.2 Gen 2 Type
    • 1x porta Thunderbolt 4 Type C
    • 1x HDMI 2.1
    • 1x LAN (RJ-45)
    • 1 slot SD full size
    • 1 ingresso microfono
    • 1 doppia connessione di raffreddamento a liquido
    • 1x Kensington Lock
  • Audio: tecnologia audio Nahimic by SteelSeries
  • Dimensioni: 383 mm x 33 mm x 272 mm
  • Peso: 2,86 Kg
  • Sistema operativo: Windows 11 Home

Il secondo modello è più contenuto come configurazione ma ugualmente potente, infatti il Major X20 utilizza una RTX 4070 con 8 GB di VRAM su di un display da 16’’ mentre è stato lasciato inalterato il resto della configurazione (solo la memoria di archiviazione scende a 1 TB). Con questa configurazione il peso scende a circa 2,5 Kg. Esteticamente per entrambi, le linee sono minimaliste. I prezzi dei Medion Erazer sono €4.699 per l’X40, un prezzo non per tutti ma interessante per la configurazione proposta, e €2.449 euro per l’X20, ottimo e adatto alla quasi totalità delle missioni.

I prezzi: € 4.699 per l’X40 e € 2.449 per l’X20, ottimo e adatto alla quasi totalità delle missioni.

A brevissimo saranno disponibili da Euronics e su Amazon. Questi modelli, sono comunque i primi di una lunga serie che vedrà l’introduzione di più versioni sia del processore Intel, sia della serie 4000 dei modelli Nvidia.

Raffreddamento a liquido nei Medion Erazer X

In opzione, come indicato all’inizio, Medion mette a disposizione un sistema di raffreddamento esterno al prezzo di 249 euro. Il Medion Erazer Cooling KitMedion Erazer Cooling Kit è un dispositivo esterno che ha come scopo quello di raffreddare e far circolare all’interno del notebook il liquido di raffreddamento tramite un connettore dedicato. Cosa promette? Beh, come si sa, un sistema di raffreddamento a liquido è più efficace di uno ad aria e nel caso dei due Erazer X nel casi di sforzo massimo, e quindi di produzione di calore estrema, garantisce un extra boost di raffreddamento che porterebbe ad un incremento possibile di prestazioni fino al 10%. “Porterebbe” perché abbiamo avuto modo di provare il sistema in anteprima ma con giochi non in grado di impensierire una configurazione così carrozzata. Non appena arriverà in prova nel nostro laboratorio saremo più precisi. Focalizziamo comunque l’attenzione sul fatto che, comunque, Medion ci ha messo del suo e introdotto questa novità che può far la differenza nei casi estremi.

un sistema di raffreddamento a liquido è più efficace di uno ad aria, l’extra boost può portare a un incremento di prestazioni fino al 10%

cavi medionIl sistema funziona in maniera molto semplice. Basterà connettere il Cooling Kit al PC al Medion Eraser, riempire il serbatoio, attivare il Bluetooth ed eseguire il pairing con il notebook e l’App ci fornirà tutte le informazioni relative al suo funzionamento. Per avviarlo basterà entrare in modalità Water Injection Mode e il liquido fluirà all’interno del notebook e già così entrerà in funzione il sistema. Se, inavvertitamente, si sconnetterà il tubo dei liquido il Kit è in grado di rilevarlo. Chiaramente Medion consiglia di sconnettere i tubicini a Cooling kit spento e di rimuovere il liquido in caso di trasporto (o in caso il computer sia mantenuto in luoghi molto freddi, cosa che non dovrebbe mai accadere anche per salvaguardare la batteria). Chiaramente il consiglio è quello di usare acqua distillata per prevenire depositi di calcare.

Ben fatto Medion, sia per l’aggiornamento della linea, sia per la novità introdotta e attendiamo di mettere alla prova i nuovi prodotti.

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DualSense Edge – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-videogiochi-pc-ps4-xbox-wii-u-app/245679/dualsense-edge-recensione/ Mon, 23 Jan 2023 14:01:43 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=245679 Aprire quella custodia, che sembra un po’ quella di un gioiello, di un orologio di pregio, rigida, spessa, quasi una conchiglia, dà subito l’idea di quello che Sony pensa del proprio controller professionale. DualSense Edge, che ho avuto modo di provare in accesso pre-lancio, è un oggetto di assoluta qualità, dedicato a una ristretta e specifica fetta di utenza PlayStation 5 e prezzata in modo da non lasciare dubbi a riguardo: 239,99€, quasi la metà del prezzo della console con la quale viene utilizzato.

dualsenseedge recensione

Una volta scoperchiato lo scrigno e dopo aver delicatamente rimosso il controller dal morbido panno bianco che lo protegge, quello che cattura l’occhio sono gli accessori, coreograficamente disposti negli alloggiamenti della custodia: un cavo di ricarica USB di 3 metri abbondanti di lunghezza (ricoperto in tessuto), un fermo per lo stesso da applicare al bisogno, per evitare scollegamenti accidentali (orpello elegante), due set di analogici extra “a cupola”, uno dallo stelo alto e uno standard, due coppie di tasti aggiuntivi ad attacco magnetico da applicare sul retro del pad (e programmare a piacere); curvi e abbastanza lunghi, a “grilletto”, oppure di dimensioni più contenute, a mezzaluna.

Una volta scoperchiato lo scrigno quello che cattura l’occhio sono gli accessori

Questo varietà di gadget scatena, ancora prima di giocare, un particolare feticismo tattile che permea un po’ tutta l’esperienza con Edge come oggetto, prima ancora che come mezzo per estendere il corpo nel virtuale. Partiamo dal presupposto che, per quella che è la mia esperienza di giocatore a tutto tondo, trovo che DualSense sia il miglior controller standard sulla piazza, per dimensioni, bilanciamento, materiali (Edge su questo specifico punto cambia pochissimo e forse si sarebbe potuto fare di più, vista l’esclusività) e gimmick che fanno parecchia differenza; quindi la base di partenza era già ottima. Questo modello “superior” aggiunge però una serie di nuove sensazioni che elevano il prodotto verso nuovi apici qualitativi.

dualsenseedge recensione

Per ogni profilo ogni singolo tasto può essere rimappato.

Innanzitutto il peso, leggermente aumentato, più consistente, il grip migliorato sui trigger, puntellati con una gradevole texture anti-scivolo e dotati di 3 differenti livelli di corsa, regolabili (anche in modo asimmetrico) grazie agli appositi selettori posti sul retro e deliziosamente meccanici (funzione utilissima per aumentare la reattività dello sparo negli shooter, ad esempio, ma anche dei colpi nei soulslike, che di solito prevedono by design l’input di attacchi e parry proprio sui grilletti).

Una meccanicità che poi entra prepotentemente in gioco, con tutti i suoi clac da hardware porn, quando si passa alla personalizzazione vera e propria; inserire i due tasti extra degli appositi alloggiamenti, sentirli in una posizione dove di solito si è abituati a toccare solamente la scocca, oppure smontare i blocchi degli analogici, dopo aver rimosso la mascherina frontale e aver spostato la linguetta metallica che li tiene in posizione, facendoli scivolare delicatamente fuori dal loro alloggiamento per cambiarne i cappelli (personalmente ho optato per le cupole basse di cui sopra, molto revival DualShock vecchia maniera).

Gli analogici integrano anche due nuovi tasti Fn, dedicati a richiamare un menù istantaneo

Analogici che integrano anche due nuovi tasti Fn (function), dedicati a richiamare un menù istantaneo dal quale regolare velocemente l’audio, bilanciare il volume chat/gioco e, soprattutto, impostare e selezionare quattro profili di utilizzo diversi con la sola pressione di un tasto.

Perché se fino adesso ho parlato prevalentemente di sensazioni tattili, fisiche, DualSense Edge è speciale anche per la quantità di impostazioni software che concede. La sensibilità e la reattività all’inclinazione di ogni analogico è programmabile secondo un set di 6 impostazioni predefinite (ognuna impreziosita da una descrizione che ne suggerisce l’utilizzo per specifici generi/esigenze), regolabili poi manualmente dal giocatore che ha la libertà di impostare la curva di input e la zona morta, in modo da rendere l’esperienza di gioco estremamente personale, sartoriale e unica in modo tangibile, andando ad unirsi a tutte le altre caratteristiche hardware del controller.

dualsense edge recensione

Questa è la schermata dedicata alla sensibilità delle levette e all’impostazione della zona morta. C’è veramente parecchio da regolare, lavorando ci cesello per creare il proprio e inimitabile setup.

Mirare velocemente o con più precisione, ma pure avere l’effetto di un analogico a fine corsa anche solo inclinandolo leggermente. In questa versione DualSense diventa un vero e proprio strumento sportivo, esattamente come i tennisti personalizzano le racchette, i ciclisti le bici e i calciatori gli scarpini in base alle proprie esigenze, sensazioni e stile di gioco. È una possibilità fondamentale per pro-gamer o amatori che aspirano ad arrivare a certi livelli, capace di dare un vantaggio consistente nel multiplayer competitivo e rimanendo un costoso sfizio per tutti gli altri giocatori.

In questa versione DualSense diventa un vero e proprio strumento sportivo

Io che pro-gamer non sono, a livello di eSport, ho scoperto una piacevolezza tattile, con Edge, che non avevo mai provato prima. Abbreviare la corsa del freno per avere maggiore reattività in staccata su Gran Turismo 7 (montando i tasti posteriori più lunghi a simulare le leve del cambio a volante, praticamente l’esperienza di guida con pad definitiva), impostare i tasti posteriori in modo da gestire meglio scatto e schivata in Returnal (riducendo anche qui la corsa dei grilletti per sparare più velocemente) o testare la precisione in modalità “digitale” dell’analogico sinistro in Street Fighter V, capace di replicare l’input della croce direzionale senza rinunciare alla morbidezza di un analogico.

Guidare GT7 con Edge è un’esperienza veramente definitiva per chi è sprovvisto di un playseat.

Sfumature che vanno a migliorare la qualità della vita praticamente in ogni videogioco disponibile su PS5, per una versatilità unica che va ad aggiungersi a caratteristiche native altrettanto uniche, come la resistenza meccanica dei trigger, il touchpad e il feedback aptico della vibrazione.

DualSense Edge è un gioiello venduto al prezzo di un gioiello. Uno dei migliori controller mai creati

Ultima, ma certamente non meno importante, una nota sulla durata della batteria, sensibilmente superiore a quella di un normale DualSense: 6-7 ore di carica ad utilizzo intenso, ovvero con tutti i feedback impostati al massimo della forza e, come già accennato all’inizio, con un cavo di ricarica di 3 metri in dotazione che copre tranquillamente la distanza console-divano di un salotto medio.

Giochi come Returnal, già di per sé clamorosi, beneficiano ulteriormente di tutte le novità di DualSense Edge, soprattutto lato hardware, con la possibilità di regolare i trigger e usare i due tasti posteriori.

DualSense Edge è un gioiello venduto al prezzo di un gioiello. Uno dei migliori controller mai creati che va ad ampliare le possibilità ludo-sensoriali di un pad già ottimo nel suo modello base e specificamente dedicato a chi vuole esperienze di gioco ancora più precise, avvolgenti, cucite su misura.

VOTO 9

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Creative sound blaster Katana V2 – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-videogiochi-pc-ps4-xbox-wii-u-app/245334/creative-sound-blaster-catana-v2/ Mon, 16 Jan 2023 16:11:23 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=245334 Creative ci stupisce con la versione 2.0 della sua soundbar Katana, pensata per il gaming ma perfetta anche per guardare i film in famiglia.

 

sound blaster katana v2Mi piacciono le soundbar di Creative, lo ammetto. Da un anno ho piazzato una Stage V2  ai piedi del mio monitor “piuttosto large” e da allora posso godermi un suono di alta qualità senza occupare troppo spazio con casse voluminose o arrovellarmi le meningi con complesse configurazioni surround che, di punto in bianco, smettono di funzionare a dovere o richiedono qualche attenzione in più del necessario.

Mi piacciono le soundbar di Creative, lo ammetto

Sebbene io sia sempre stato un sostenitore dei diffusori multipli e in passato abbia speso molto tempo a posizionare gli altoparlanti come più mi piaceva, mi sono facilmente arreso alla qualità del suono e alla comodità d’impiego della “barra”, che per quanto possa sembrare strano offre una pregevole separazione dei canali e, una volta configurata per benino, non fa rimpiangere configurazioni audio più costose. Immaginate quindi la gioia delle mie orecchie quando si è presentata l’occasione di provare la Katana V2, evoluzione naturale della SoundBlasterX Katana con cui Creative inaugurò la serie nell’ormai lontano 2017, un prodotto piuttosto simile alla Stage V2 ma maggiormente focalizzato sul gaming, più costoso ma anche più compatto e moderno.

COMPATTA MA POTENTE

sound blaster katana v2 Le dimensioni della barra sono piuttosto contenute: è larga (ma forse sarebbe meglio dire “lunga”) 60 cm, profonda 9,5 cm e alta 6,2 cm, ideale per stare ai piedi di un monitor da 27” ma adatta a qualsiasi scrivania. Possiamo appoggiarla su una mensola o fissarla al muro con l’apposita staffa fornita in dotazione. Al suo interno trovano spazio due altoparlanti mid-range da 63 mm e due tweeter da 19 mm, mentre il generoso subwoofer da 165mm è chiaramente esterno e va collegato a una presa RCA sul retro. Sul lato frontale, al centro, troviamo un display simile a quello della Stage V2 e della ben più costosa SXFI Carrier, e qui possiamo intravvedere una novità piuttosto rilevante rispetto alla prima Katana: l’ingresso per le cuffie è stato rimosso dalla placca posteriore e spostato di fronte, migliorandone sensibilmente la fruibilità. Lì accanto troviamo anche una coppia di microfoni – con cancellazione software del rumore ambientale – che si possono usare per registrare la voce o per telefonare, una volta accoppiata la soundbar con un telefono cellulare. La Katana V2 può comunicare senza fili attraverso il protocollo Bluetooth 5.0, a bassissima latenza e, per tanto, può essere usata per il gaming con i dispositivi mobile in tempo reale. Il pairing avviene facilmente tenendo premuto il tasto d’accensione per più di due secondi.

La Katana V2 può essere usata per il gaming con i dispositivi mobile in tempo reale

Sul retro, invece, troviamo diversi connettori: quello di alimentazione, l’RCA per il subwoofer, un ingresso ottico digitale, un ingresso in linea (AUX IN) stereofonico a jack, la porta USB di tipo C per il collegamento al computer e, novità di questo modello, una porta USB di tipo A destinata a un paio di cuffie X-FI e una presa HDMI ARC per il collegamento alla TV. Quest’ultima, oltre ad ARC, supporta anche lo standard “poco standard” HDMI CEC, e forse vale la pena spendere due parole su queste caratteristiche.

può essere usata per il gaming con i dispositivi mobile in tempo reale

ARC è una funzione che permette la trasmissione bidirezionale dell’audio: nel nostro caso, dalla TV alla soundbar. Non è detto che il vostro televisore ce l’abbia per forza, ma se siete così fortunati da avere una porta HDMI compatibile con ARC, significa che potete collegare la Katana V2 e usarla come diffusore audio senza ulteriori collegamenti, sfruttando il decoder Dolby Audio integrato. E non è finita qui: CEC permette infatti di unificare il controllo tra i dispositivi tramite il cavo HDMI, così potete usare il solo telecomando della TV per alzare o abbassare il volume.

Sul lato inferiore del dispositivo ritroviamo una striscia di LED con cui ottenere interessanti effetti di illuminazione

Sul lato inferiore del dispositivo ritroviamo anche una simpatica striscia di LED con cui ottenere gli interessanti effetti di illuminazione. La potenza erogata dagli altoparlanti è 126 Watt RMS con 252W di picco, un sostanziale passo in avanti rispetto ai 75W RMS (150W di picco) della Katana originale. Si perde, tuttavia, la funzione di lettura multimediale diretta da pendrive USB: non possiamo collegare una chiavetta alla Katana V2 e usarla come lettore indipendente, purtroppo. Evidentemente non è stata considerata una funzione vitale per questo nuovo modello.

PROUD TO BE LOUD

C’è una parola magica attorno alla quale ruota questo prodotto: loudness. Fin dagli anni Settanta, questo termine indica un circuito dedicato all’amplificazione delle frequenze basse e, sui vecchi amplificatori, è facile trovare la levetta destinata ad accenderlo. Ma nella sua accezione più ampia e generale, ‘loudness’ è la potenza, la fragorosità, la profondità del suono. Esattamente quello che ci colpisce, letteralmente, quando colleghiamo la barra al PC e l’accendiamo: ci aspetteremmo di dover alzare un po’ il volume per riempire una stanza con la nostra canzone preferita, o con il rumore di una rovente battaglia on line, ma non è così.

C’è una parola magica attorno alla quale ruota questo prodotto: loudness

Basta arrivare al 20% della scala del volume di Windows (che corrisponde al livello “10” sul display della barra) per assicurarsi le vibranti proteste del vicino di casa, soprattutto se si abita in un condominio, oltre che l’urgente invito a moderare “tutto questo casino!” (cit) da parte degli eventuali conviventi. Insomma, per capirci, la Katana V2 è destinata a chi ama ascoltare la musica, vedere i film e giocare a volumi esagerati, ben consapevole che nessun paio di cuffie o di auricolari, per quanto costoso e socialmente preferibile, potrà mai restituire le stesse emozioni di una cassa che vibra e fa tremare i vetri. E poco importa se ciò attirerà le antipatie di chi vive al di là del salotto. Ormai è quasi un mese che nutro i miei timpani affamati di buona musica con la Katana V2, ancora mi stupisco di come altoparlanti così piccoli possano produrre un suono tanto potente. Ma così è, e i vicini di casa se ne faranno una ragione.

PRATICA E COMPATIBILE

La “potenza di fuoco” non è l’unica caratteristica saliente del prodotto. Grazie alle molteplici connessioni è compatibile con qualsiasi cosa in grado di produrre suoni e la sua gestione è incredibilmente semplice. Nasce, chiaramente, come un prodotto per PC ed è grazie alla Creative App che possiamo sfruttarla nel modo più completo, attivando o disattivando ogni sua funzione. Apprezzo il fatto che le impostazioni audio di cuffie e altoparlanti sono quasi del tutto indipendenti tra loro: possiamo decidere che le casse siano solo stereofoniche mentre le cuffie in modalità surround e viceversa, possiamo applicare diverse equalizzazioni alle due uscite e il passaggio da una modalità all’altra avviene con un semplice clic sull’icona in basso a sinistra.

L’app, tuttavia, non permette di caricare un preset (cioè una raccolta di impostazioni) diverso per cuffie e altoparlanti, per esempio “Musica” per cuffie e “Film” per casse, ma li applica su entrambe le uscite.

Un altro difettuccio a cui sarebbe facile porre rimedio è il controllo del subwoofer

Se scegliamo il preset “Battle Royale”, verrà caricata un’equalizzazione adatta allo scopo per le casse (che avrà una certa geometria) e un’altra per le cuffie (chiaramente diversa, ma sempre adatta allo stesso scopo). Un altro difettuccio a cui sarebbe facile porre rimedio è il controllo del subwoofer: davvero poco intuitivo e semi-nascosto tra le impostazioni, con un valore numerico che sa tanto di soluzione frettolosa. Auspico che in futuro venga sostituito da uno slider, decisamente più intuitivo, e che magari venga spostato nella sezione “Riproduzione” dell’app, a lui molto più confacente. Ma non ha importanza: si può sempre usare il telecomando fornito in dotazione.

PIÙ CHE HI-FI, SUPER X-FI

Creative ha piazzato nella Katana V2 un DSP compatibile con la sua tecnologia Super X-Fi. Questo significa che, una volta collegato l’apparecchio al computer tramite la porta USB, possiamo usarlo come scheda audio esterna e attivare questa mirabolante opzione sull’uscita delle cuffie. Super X-Fi, lo ricordiamo, permette di creare un profilo 3D del nostro cranio e delle nostre orecchie e, sulla base di questi dati, generare un’equalizzazione del suono ad hoc”, a patto chiaramente di consentire che i propri dati biometrici risiedano da qualche parte in un database gestito dall’azienda.

Per funzionare, inoltre, Super X-Fi ha bisogno di cuffie certificate o comunque “note” a Creative, incluse in un elenco piuttosto ristretto, altrimenti è difficile che provochi l’effetto “wow!”. Se abbiamo già un paio di cuffie certificate, ma dotate di connettore USB, possiamo usare anche l’apposita porta sul retro della Katana V2. Può farlo, per esempio, chi ha in casa un headset come l’SXFI Gamer della stessa Creative, ma se tentiamo di collegare un paio di cuffie USB qualsiasi, il display della Katana ci avviserà che non sono supportate e non sarà possibile sentire nulla.

sarebbe stato bello consentire l’uso della porta USB anche come passthrough più compatibile per cuffie

Ecco, qui sarebbe stato bello un piccolo atto di modestia da parte di Creative e consentire l’uso di questa porta anche come passthrough: non ho una cuffia USB compatibile con SXFI ma voglio usarla al posto della Katana? La inserisco qui come se fosse un qualsiasi hub USB e Windows me la lascia usare. Ma così non è, peccato. In compenso, chi ha una cuffia stereo o una che può usare un normale cavo a jack, trova un alleato formidabile nell’uscita anteriore: Super X-Fi o no, l’audio gestito dal DSP della Katana è comunque fenomenale, spesso sensibilmente migliore di quello prodotto dai codec integrati su PC portatili e schede madri, e, soprattutto, gestisce la virtualizzazione surround in modo impeccabile. Certo, avere delle buone cuffie aiuta, perché se queste ultime fanno schifo, neanche la Katana V2 può fare miracoli.

ULTIMO MA NON MENO IMPORTANTE…

Assieme alla soundbar, Creative fornisce un bellissimo telecomando sullo stile di quello già visto con la Stage V2, qui in versione decisamente più completa. Permette di accedere a tutte le funzioni della barra e, in abbinamento al media player di Windows, anche di avviare la riproduzione, metterla in pausa e saltare le tracce.

Appositi tasti permettono di controllare il volume del sistema e altri di controllare il subwoofer, oltre che passare istantaneamente a questa o a quella sorgente audio, nonché dalle casse all’uscita per le cuffie. E se ancora dovesse mancare qualcosa all’appello, come per esempio “l’attivazione di questo preset che mi piace tanto”, possiamo assegnare altre sei funzioni personalizzate ad altrettanti pulsanti programmabili, come sempre dalla Creative App.

IN DEFINITIVA

C’è davvero pochissimo da rimarcare, quando un prodotto che costa 349 euro offre una qualità generale paragonabile a quella di altri che costano il doppio o il triplo, per non parlare di tutte le sue funzioni e delle ottimizzazioni specifiche per noi gamer (come il Super X-Fi Battle Mode o il pregevole audio posizionale), ma se vogliamo proprio trovare il pelo nell’uovo ci sono aspetti che potrebbero migliorare ulteriormente: il discorso già affrontato della porta USB posteriore, per esempio, o il fatto che il sistema d’illuminazione a LED non possa dialogare con altre tecnologie analoghe.

Immaginiamo di mettere la Katana V2 sotto o accanto a un televisore dotato di effetto aura: le luci della soundbar andrebbero sempre per la loro strada invece di immergersi nel quadro generale. Ma, anche ipotizzando di avere un PC con il sistema di illuminazione tutto coordinato – pensiamo per esempio a un ecosistema iCue – perché mai la soundbar dovrebbe illuminarsi diversamente?

considerando tutto, questa soundbar è davvero fenomenale

Piccolezze da nerd che si possono aggiustare con un po’ di tweaking, ma tutte le aziende che producono aggeggi che si illuminano, Creative compresa, dovrebbero trovare un modo standard di coordinarsi. Per il resto, questa soundbar è davvero fenomenale! A volumi troppo alti sarà anche destinata a saturare e distorcere il suono, ma quello che riesce a fare nelle sue minute dimensioni è quasi stupefacente. Un ottimo prodotto che non esitiamo a consigliarvi, anche se il prezzo può sembrare impegnativo.

VOTO 9,2

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Logitech Astro A30 Wireless – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-videogiochi-pc-ps4-xbox-wii-u-app/244081/logitech-astro-a30-wireless-recensione/ Wed, 07 Dec 2022 11:09:09 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=244081 Una cuffia per gamer che sa farsi valere, questa Astro A30 Wireless di Logitech, anche se ha un costo non propriamente accessibile a tutti.

logitech astro a30 wireless

Vi è mai capitato di entrare in un negozio di abbigliamento, indossare un capo e decidere che quello fosse esattamente ciò che fa per voi, al di là di ogni ulteriore razionale considerazione? A me è capitato indossando le nuove cuffie Astro A30 di Logitech, un headset di lusso (almeno per i miei parametri) che costa la bellezza di 269 euro ma, una volta tanto, incarna la sintesi di quello che io personalmente mi aspetterei da un paio di cuffie di alto livello: comodità, semplicità, compatibilità e qualità del suono. Vediamo queste componenti una alla volta.

COMODITÀ

Le cuffie A30 Wireless si presentano in una stilosa scatola di cartone (materiale totalmente riciclabile, ma che difficilmente riciclerete), contenute in una comoda custodia fornita in dotazione. Assieme al dispositivo troviamo anche un ricetrasmettitore USB tipo A, un microfono su braccio che possiamo montare se proprio lo vogliamo, un cavo di collegamento jack-jack stereofonico con supporto per il microfono e un cavo di ricarica USB, da tipo A a tipo C.

logitech astro a30 wireless

L’headset, secondo la nostra fidatissima bilancia, pesa esattamente 330 grammi e tanto l’archetto superiore, quanto i padiglioni auricolari, sono muniti di cuscinetti ricoperti in finta pelle. La lunghezza dell’arco si può estendere di qualche centimetro alzando e abbassando gli auricolari: non ci sono barre o tacche di misurazione, né apparenti meccanismi di blocco. Semplicemente, una volta estesa la lunghezza da padiglione a padiglione, le cuffie restano in posizione e, una volta indossate, non si spostano facilmente. Nonostante non siano leggerissime, grazie alla loro morsa gentile non infastidiscono durante l’uso e, per tanto, possiamo anche arrivare a indossarle per diverse ore finendo per abituarcisi.

logitech astro a30 wireless

Non sono dotate di sistemi di riduzione del rumore attivo, ma riescono comunque a isolarci piuttosto bene dal mondo esterno, attenuando i tipici rumori di fondo come ventole, brusio e altre moderate fonti di disturbo. Il microfono su braccetto è piuttosto corto e non è particolarmente comodo da usare, ma è del tutto opzionale: si tratta infatti di un dispositivo secondario che possiamo collegare o meno in base alle necessità, mentre per un uso più naturale della cuffia possiamo fare affidamento sul microfono integrato, che non ha dato nessun genere di problema durante le chat o le conversazioni.

COMPATIBILITÀ

Possiamo usare queste cuffie su qualsiasi genere di dispositivo. Prevede infatti tre tipi di sorgente diversi: la connessione wireless “proprietaria” Lightspeed, che lavora su una frequenza di 2,4 GHz tramite il ricetrasmettitore USB fornito in dotazione, la connessione Bluetooth e il classico cavo jack-jack da 3,5 mm compatibile con qualsiasi apparecchio dotato di un’uscita analogica, chiaramente adatto anche a portare i segnali del microfono. Non c’è quindi computer, console o apparecchiatura portatile con cui non sia possibile usare questo headset proficuamente, visto che in un modo o nell’altro si adatta a tutto.

Volendo, è possibile acquistare a parte anche un nuovo modello di ricetrasmettitore USB di tipo C, con cui è possibile estendere il supporto di Lightspeed a tante apparecchiature dotate di una porta adatta. Il produttore dichiara che le cuffie, con il trasmettitore in dotazione, possono operare fino a una distanza di 15 metri dalla sorgente. Una misurazione piuttosto accurata, ma che non prevede solette o pareti lungo il tragitto, nel qual caso la distanza ovviamente si riduce. Le tre sorgenti (Lightspeed, Bluetooth e cavo jack) possono essere usate contemporaneamente, nel qual caso si miscelano e sarà nostro compito interromperne il flusso audio, in caso di disturbo. Può comunque tornarci molto utile per avvertire una chiamata sul cellulare (connesso tramite Bluetooth) mentre facciamo altro con le altre sorgenti.

SEMPLICITÀ

Un altro aspetto da tenere in considerazione è la semplicità di configurazione e di utilizzo del dispositivo. Basta collegare il trasmettitore al computer e Windows (o il Mac) le riconoscono automaticamente. Non ci sono software da installare, la modalità surround è gestita direttamente dal sistema operativo. Questa è in realtà un’arma a doppio taglio, perché se è vero che andrà a vantaggio di chi ha un computer nuovo di zecca, potrebbe creare problemi di compatibilità con chi ancora impiega, per qualunque ragione, una versione precedente a Windows 10. La compatibilità con Linux, inoltre, non è specificata dal produttore. La gestione delle cuffie, tuttavia, avviene per mezzo dell’app gratuita Logitech G, disponibile su iOS e Android, con cui è possibile modificare la sensibilità dei microfoni in base all’ambiente circostante e l’equalizzazione del suono, salvando tutti i preset che vogliamo. Ecco, forse sarebbe stato bello disporre di un set di impostazioni già pronte per diversi scenari di utilizzo (musica classica, rock, film d’azione, concerto, ecc), come capita spesso quando si acquistano prodotti della concorrenza, ma in tutta franchezza quanti di noi davvero li usano? Il controllo del volume delle cuffie avviene per mezzo di un piccolo joypad integrato nel padiglione destro, facilmente raggiungibile col pollice: spingendolo in avanti e indietro si alza e abbassa il volume, mentre spostandolo a destra e sinistra si dà maggiore enfasi alla musica o alla chat durante il gioco (game/voice balance). L’unica accortezza da tenere presente è premere il pulsantino al centro del trasmettitore e mettere le cuffie in modalità PC (il suo LED passa al colore bianco), altrimenti non si riesce a modificare il volume tramite i classici sistemi di controllo del sistema operativo. L’altra modalità prevista (LED blu) è la compatibilità con le console Xbox Series X|S.

 

QUALITÀ DEL SUONO

Chiaramente, nella valutazione di un paio di cuffie questo aspetto non può mancare, essendo probabilmente il più importante di tutti. Come premesso all’inizio della recensione, anche in questo caso parliamo di un livello altissimo, almeno a mio modesto giudizio. Non è facile trovare un headset dove tutte le frequenze spicchino in modo netto, profondo (bassi) e cristallino (alti), così da poter affrontare qualsiasi situazione a testa alta, sia essa una traccia techno, una canzone romantica, un brano heavy metal, un videogioco o un film. Qui è così. Possiamo ascoltare qualsiasi cosa in modo pulito e potente, ricevendo anche un buon feedback spaziale in modalità surround, anche se in questo caso l’effetto è solamente virtuale. Va sottolineato: queste cuffie sono amabilmente stereofoniche. Non si presentano a noi con roboanti comunicati stampa, sigle strane e tecnologie dal nome appariscente: pur nel loro design ricercato, intendono ammaliarci unicamente con la loro musica e la loro comodità, insomma, fanno poche cose ma le fanno dannatamente bene. Con l’ausilio del sistema operativo, permettono di ascoltare audio a 7.1 canali senza scriverlo da nessuna parte, e l’unico vezzo che lasciano al loro acquirente è la possibilità di personalizzarne lo stile con apposite ‘cover’ intercambiabili, da installare sui padiglioni.

CONCLUSIONI

Ci sarebbe altro da rimarcare (come l’ottima durata della batteria, addirittura superiore alle 27 ore pubblicizzate sulla scatola!), ma siamo dell’idea che basti così. Il nostro parere è che queste cuffie siano eccellenti e che valgano l’investimento, sebbene il prezzo sia purtroppo impegnativo. La qualità si paga, c’è poco da fare, ma su quella fascia si trovano anche diverse alternative qualitativamente valide e dotate di tecnologie particolari, che potrebbero renderle più allettanti.

 

Voto: 8.8

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AMD Ryzen 9 7900X – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-videogiochi-pc-ps4-xbox-wii-u-app/242809/amd-ryzen-9-7900x-recensione/ Tue, 15 Nov 2022 10:53:14 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=242809 Salutiamo per sempre il socket AM4 e diamo il benvenuto al suo successore, con il processore Ryzen 9 7900X di AMD.

Il fatto che AMD sia andata oltre le più rosee aspettative, con il suo socket AM4, è fuori discussione. Lo aveva presentato più di un lustro fa, assieme ai suoi primi processori Ryzen, iniziando un cammino che le avrebbe dato un notevole vantaggio sulla sua storica concorrente Intel. Ma il tempo passa e, dopo ben quattro generazioni di CPU basate su quel connettore (e relativi refresh semestrali), AMD ha comprensibilmente deciso di cambiarlo, approfittandone per un radicale rinnovamento dell’intero ecosistema.

amd ryzen 9 7900x

Il processore Ryzen 9 7900X, dal prezzo medio rilevato on-line di 650 euro, è il primo della nuova generazione a giungere nei nostri laboratori, accompagnato da una scheda madre Gigabyte X670E Aorus Master e da due moduli di memoria Trident DDR5-6000 di G-Skill, che abbiamo deciso di montare nel case NZXT H5 Elite recensito la scorsa settimana assieme a un alimentatore XPG da 750 Watt, a un drive SSD M.2 Sabrent e al dissipatore H100i Elite Capellix di Corsair, questi ultimi precedentemente usati sul vecchio testbed AM4 basato su Ryzen 5 5600X. La nuova CPU dispone di una scheda video integrata basata sull’architettura RDNA2 ma, essendo dotata unicamente di due cluster di elaborazione, non possiamo pensare realisticamente di usarla per il gioco (anche se i titoli più casual in 2D sicuramente funzionano a dovere). Così abbiamo aggiunto anche una scheda video Radeon RX 6600 XT di MSI.

IL NUOVO CONNETTORE

Il nuovo socket AM5 abbandona la tecnologia ping grid array (PGA) per adottare, esattamente come fece Intel già una decina di anni fa, un connettore LGA, land grid array, in soldoni spostando i pin per la connessione dal processore al socket montato sulla scheda madre. Una scelta che indubbiamente comporta numerosi vantaggi per chi produce CPU, in primo luogo una maggiore densità di contatti nella stessa area e successivamente una maggiore durabilità del prodotto, visto che è impossibile piegare i piedini della CPU se essi non ci sono.

Il nuovo socket AM5 abbandona la tecnologia ping grid array per adottare un connettore LGA, land grid array

In compenso, essendo gli ultimi socket di Intel e AMD sempre più densi di contatti (AM5 ne conta ben 1718), sta diventando meno improbabile piegare per sbaglio qualche pin sulla scheda madre, rendendo quest’ultima inservibile (e spesso anche irrecuperabile), quindi occorre sempre fare attenzione durante le fasi di installazione e di rimozione dei processori. AM5, come dicevamo, porta con sé una nuova piattaforma pensata per il presente e per il futuro, il cui uso è previsto almeno “fino al 2025 e forse anche oltre”, lasciando intendere che in questo periodo potremo usare tutte le CPU che usciranno in questo formato, una promessa che avevamo già sentito quando uscirono i primi Ryzen su AM4, ma che AMD è riuscita a mantenere solo parzialmente, essendo sempre necessario aggiornare i BIOS delle schede madri a ogni nuova generazione e non tutti i produttori hanno prolungato la vita delle loro schede aggiornando questa componente.

amd ryzen 9 7900x

UN TAGLIO AL PASSATO

Nell’ecosistema AM5 non c’è spazio per le memorie DDR4. Lo avevamo già scritto in passato, ma la speranza di un ravvedimento o di un colpo di scena da parte di AMD non si è spenta fino all’ultimo. Chi intende realizzare un PC basato su una CPU Ryzen 7000 dovrà necessariamente passare al nuovo standard. Oggi come oggi una scelta del genere può sembrare azzardata, in fondo anche Intel è stata più prudente e ha offerto la possibilità di usare le vecchie memorie anche con i nuovissimi processori Core di 13ma generazione, ma ha assolutamente senso se ragioniamo in un’ottica futura: con le DDR5 ormai in circolazione da più di un anno, sempre più veloci, collaudate e disponibili, raggiungeremo presto il giorno della “staffetta” tra le due tecnologie, esattamente come capitò in passato nel passaggio da DDR2 a DDR3 e poi da DDR3 a DDR4.

Chi intende realizzare un PC basato su una CPU Ryzen 7000 dovrà necessariamente passare al nuovo standard

Insomma, la coesistenza è destinata a finire prima o poi, con le vecchie memorie sicuramente più economiche e facili da trovare nell’usato, ma anche progressivamente più lente e faticose da rivendere di quelle nuove. AMD ha ritenuto inutile mantenere tutte le tecnologie necessarie a supportare le DDR4 sulla sua nuova piattaforma, visto che comunque la coesistenza tra queste ultime e le DDR5 è destinata a finire. Considerato il piano “una motherboard oggi per tutte le CPU fino al 2025”, se AMD avesse messo un controller DDR4 sui Ryzen 7000, avrebbe dovuto farlo anche sulle generazioni successive, sprecando spazio e transistor utilizzabili altrimenti. Intel questo problema sicuramente non ce l’ha, visto che ha sempre cambiato socket, tipi di RAM e tecnologie in base alle sue esigenze, senza porsi troppi problemi. Di contro, va detto che chi ha in casa molta RAM DDR4 e vuole un processore nuovo, può optare per un Core Intel di dodicesima o tredicesima generazione, portandosi a casa una validissima alternativa, ma di questo è meglio parlarne dopo. I processori Ryzen 7000 supportano ufficialmente fino a 4 DIMM di memoria DDR5-5200, con alcuni trade-off: installando due coppie di DIMM si amplia la quantità di memoria a discapito della banda a disposizione, che può diminuire fino a un terzo del totale.

chi ha in casa molta RAM DDR4 e vuole un processore nuovo, può optare per un Core Intel di dodicesima o tredicesima generazione

Chi è in cerca delle massime performance, quindi, preferirà alloggiare due soli moduli DIMM in dual channel di capienza maggiore, piuttosto che quattro di capienza inferiore. In secondo luogo, AMD ci viene incontro supportando come può i profili XMP di Intel (una tecnologia proprietaria concorrente di cui non sono pubbliche le specifiche) ma, per rendere la comunicazione con le memorie più efficace, ha da poco presentato un nuovo sistema di profilazione chiamato EXPO (Extended Profiles for Overclocking) e alcuni vendor di memorie lo stanno già attivamente includendo nei loro prodotti. EXPO può essere considerato la risposta di AMD a XMP, ma non è soltanto questo: è una tecnologia libera da segreti o diritti da pagare, e l’unico obbligo dato ai produttori è quello di pubblicare la documentazione dei test e delle analisi che comprovano l’aderenza del prodotto alle specifiche. Proprio come riportato qui sotto da CPU-Z, per le DIMM Trident Z5 Neo di G-Skill:

Si noti che queste DDR5 non sono propriamente “da 5200 Mhz”, bensì da 6000. È questo il nuovo “sweet spot” suggerito da AMD, dopo che per i processori Ryzen 3000 e 5000 fu rappresentato dalle DDR4-3600.

I NUOVI CHIPSET

La piattaforma AM5 è geograficamente simile a quella precedente: il northbridge, cioè tutta la logica di I/O che si occupa delle trasmissioni più rapide con la CPU, si trova direttamente all’interno del processore Ryzen. È lui a comunicare direttamente con le RAM DDR5 e a offrire la bellezza di 28 linee PCI Express 5.0, così suddivise: 16 per la scheda video, 8 per la connessione a due drive SSD in formato M.2 e le restanti 4 per il collegamento al southbridge, altrimenti noto (ormai) come il chipset della scheda madre. AMD non si è occupata direttamente della produzione di quest’ultimo, ma ha lasciato il compito all’ormai collaudata ASMedia che, al momento, offre due differenti opzioni, i chipset B650 e X670, disponibili anche nelle loro versioni Extreme. AMD ha lasciato molta libertà ai produttori di schede madri ma, a livello di northbridge, possiamo aspettarci quanto segue: le schede dotate di X670E (Extreme) manterranno la connessione PCI Express 5.0 sia per la scheda video, sia per 2 connettori storage M.2 (proprio come la “nostra” Gigabyte Aorus Master X670E), quelle dotate di un X670 “liscio” avranno invece la libertà di mettere un connettore PCI Express 4.0 invece di uno 5.0 per la scheda video principale, ma dovranno necessariamente garantire i due connettori M.2 con PCIe 5.0; le schede dotate di B650 Extreme potranno avere lo slot PCI Express per la scheda video in versione 4.0 o 5.0, mentre quelle basate su B650 “liscio” solo 4.0. In tutti i casi sono sempre garantite la disponibilità di un connettore M.2 PCIe 5.0, la possibilità di overcloccare la CPU e anche quella di spingere le memorie oltre le specifiche.

sono garantite la disponibilità di un connettore M.2 PCIe 5.0, la possibilità di overcloccare la CPU e anche quella di spingere le memorie oltre le specifiche

Per il resto, i chipset si differenziano soprattutto nelle opzioni di I/O garantite dal southbridge, con B650/E a fare da “base” con 8 linee PCIe 4.0, 4 linee PCIe 3.0, 6 porte aggiuntive USB 3.2 da 10 Gbps o, in alternativa, 4 da 10 Gbps più una da 20 Gbps; X670/E è invece una soluzione a doppio chip che in pratica duplica tutti questi valori, eccezion fatta per 4 linee PCIe 4.0 usate per collegare tra di loro i due B650 che lo compongono: 12 linee PCIe 4.0, 8 linee PCIe 3.0, 12 porte USB 3.2 a 10 Gbps aggiuntive oppure una o due porte da 20 Gbps, rinunciando a una o due coppie di porte da 10 Gbps. Sappiamo benissimo quanto sia difficile seguire questa sfilza di numeri e sigle, ma possiamo tranquillamente riassumerlo così: le schede B650 saranno più economiche ma garantiranno il supporto a tutte le tecnologie più interessanti che fanno parte della piattaforma, mentre quelle X670 garantiranno invece una maggiore possibilità di collegare storage, periferiche e drive esterni.

i chipset si differenziano soprattutto nelle opzioni di I/O garantite dal southbridge

Tutti i chipset offrono anche connessioni USB 2.0 e si collegano alla CPU Ryzen per mezzo di una connessione PCI Express x4 4.0. Qualcosa non torna? Avete ragione: prima avevamo scritto che i processori Ryzen 7000 offrono 4 linee PCIe 5.0 per il chipset, adesso che la connessione usa la versione precedente del protocollo. Il punto è che, banalmente, gli attuali chipset non hanno bisogno di tutta quella velocità e la versione 4 rende più semplice tracciare le piste necessarie al collegamento sulla scheda madre, riducendo complessità e costi per i produttori.

IL RYZEN 9 7900X

Il processore in esame oggi è un modello di fascia alta, ma non il top della gamma. Il die è suddiviso in più chiplet, strategia che permette ad AMD di diversificare il processo produttivo (e le fabbriche) delle varie componenti della CPU. In particolare, il nuovo IOD (cioè il chiplet che si occupa delle comunicazioni I/O con memorie e connessioni veloci) è prodotto sempre da TSMC ma a 6 nanometri. Il Ryzen 9 7900X dispone di 12 core x68-64 dotati di SMT e, per tanto, capace di eseguire fino a 24 thread contemporaneamente. È basato sulla nuova architettura Zen 4, una sostanziale rifinitura della precedente Zen 3 su un processo produttivo ancora più affinato, quello da 5 nm di TSMC (che produce attivamente parte del prodotto), in grado di aumentare sensibilmente le frequenze di lavoro rispetto alla generazione precedente: laddove il Ryzen 9 5900X lavorava a una “velocità di crociera” standard di 3,7 GHz e poteva aumentare il passo fino a 4,8 GHz, il nuovo 7900X parte da 4,7 GHz (ben 1 GHz in più!) e arriva a un boost di 5,6 GHz, superando agevolmente – come tutto il resto della linea 7000 presentato fino a oggi – la barriera dei 5 GHz.

il nuovo 7900X parte da 4,7 GHz e arriva a un boost di 5,6 GHz, superando agevolmente la barriera dei 5 GHz

Come il suo predecessore ha i core suddivisi in due complessi (Ccx) collegati fra loro da una smart fabric ad altissima velocità, mentre una serie di ottimizzazioni qui e là garantiscono alla nuova architettura un incremento del 13% nel valore dell’IPC, cioè il numero di istruzioni eseguite a ogni ciclo di clock. Tutte migliorie di notevole prestigio che, però, hanno un costo in termini di consumi e temperature: la nuova CPU ha un valore di TDP pari a 170 Watt (contro i 105 del suo predecessore) e temperature di esercizio che varcano la soglia dei 90°C, spesso lambendo il limite termico di sicurezza posto a 95 gradi (che comunque si può innalzare fino a 115°, in overclock). Questo significa, in soldoni, che il vostro vecchio dissipatore ad aria, pur essendo meccanicamente compatibile con gli attacchi del nuovo socket, potrebbe essere insufficiente a garantire il raffreddamento necessario; non a caso, AMD suggerisce di usare un dissipatore a liquido per tutti i processori Ryzen 9, soprattutto se la nostra intenzione è overcloccarli.

AMD suggerisce di usare un dissipatore a liquido per tutti i processori Ryzen 9, soprattutto se la nostra intenzione è overcloccarli

Come premesso, noi abbiamo montato sul sistema di prova il caro buon vecchio H100 Elite di Corsair, che tanto bene aveva fatto al nostro vecchio testbed basato su Ryzen 5 5600X: quando abbiamo messo sotto stress la CPU, imponendo a tutti i core di lavorare al 100% delle loro possibilità, la temperatura registrata dal software Ryzen Master è aumentata progressivamente fino a 93°C, per rimanere costante a quel livello nei minuti successivi. Contestualmente, la temperatura registrata nella pompa del liquido (a contatto col processore) si è fermata a 37,5°C senza aumentare oltre, anche se chiaramente le ventole hanno cominciato a girare molto velocemente e a fare parecchio rumore. Prova superata con successo per il dissipatore a liquido di Corsair, che del resto era immaginato per raffreddare anche le vecchie CPU Intel di nona e decima generazione oltre che i meno impegnativi Ryzen, ma se provenite da un sistema raffreddato con una semplice ventola, beh, assieme al Ryzen 9 dovreste seriamente considerare anche l’acquisto di un buon dissipatore.

LE PRESTAZIONI

Impossibile eccepire sulla velocità di questo processore: si è rivelata di poco superiore alle performance ottenute, soltanto pochi mesi fa, dal Core i9 12900K. In quasi tutti i benchmark che usiamo abitualmente le due CPU sostanzialmente si equivalgono, anche se la soluzione di AMD è sempre leggermente più avanti. Ci sono casi particolari in cui il Ryzen è più nettamente avvantaggiato, e sono quelli in cui l’architettura ibrida della CPU Alder Lake mostra i limiti degli E-core, laddove le unità di calcolo di Zen 4 sono invece tutte perfettamente coerenti tra loro e capaci di offrire sempre il massimo della potenza di elaborazione. Se poi spendessimo un po’ di più e acquistassimo un Ryzen 9 7950X, dotato di 16 core e 32 thread, per l’intera linea di CPU Intel di 12ma generazione non ci sarebbe scampo.

Sono indubbiamente soddisfacenti anche le prestazioni con i videogiochi, sebbene siano del tutto allineate (con pochi frame di scarto) a quelle dell’intera serie di CPU Ryzen 7000 uscita fino a oggi e a quelle dei processori Core i5 e i7 di dodicesima generazione. Va infatti ribadito come i videogiochi non traggano praticamente alcun vantaggio diretto da una copiosa disponibilità di core, ma al massimo possono godere di un trattamento migliore nel caso in cui, oltre a giocare, facciamo altre cose in background come riprendere le nostre gesta, codificando un flusso video e trasmettendolo via Internet. Qui, le maggiori performance offerte da Zen 4 diventano preziose e possono incidere notevolmente. In ogni caso, una certa qual differenza rispetto alle performance ottenute col nostro vecchio testbed si fa notare, considerando che stiamo usando per il confronto una scheda di fascia media, e quindi una situazione più realistica rispetto alla solita framefest a base di GPU da 2000 euro:

TUTTI CONTENTI, QUINDI?

A volte il tempismo conta. Se questa recensione fosse uscita un mese fa, probabilmente staremmo ancora cercando l’aggettivo più altisonante per tessere le lodi di questo processore, capace di offrire molto di più – giochi a parte – del suo predecessore 5900X a un prezzo tutto sommato analogo. Ci avrebbe fatto piacere raccontarvi unicamente di una piattaforma AMD rimessa a lustro, capace di porre le fondamenta per un futuro radioso fatto di storage PCI Express di quinta generazione (ricordiamolo: la maggior parte delle schede madri per CPU Intel supporta PCIe 5.0 dove serve a poco, restando alla versione 4.0 per i connettori M.2), ma oggi, che sono già in vendita le soluzioni Core Intel di tredicesima generazione, non possiamo più farlo. Sappiamo già che il Core i7 13700K, che costa al pubblico 450 euro, offre bene o male le stesse prestazioni del Ryzen 9 7900X.

il Core i7 13700K offre bene o male le stesse prestazioni del Ryzen 9 7900X

E ci tocca essere realisti: tra i due processori ci sono ben 200 euro di differenza – che sono già tanti – a cui vanno aggiunti anche il costo della scheda madre e quello delle memorie. Ricordiamoci che la soluzione Intel offre anch’essa una GPU integrata e ci permette ancora di usare le DDR4: chi vuole ottenere questo livello di performance, insomma, può spendere complessivamente molto meno rivolgendosi altrove. Questo non significa che l’altro prodotto sia necessariamente migliore, perché entrambe le scelte hanno i loro punti di forza e le loro debolezze (dal nostro punto di vista il nuovo ecosistema di AMD è molto più robusto e future-proof, soprattutto lato storage, e ci piace molto la maggiore disponibilità di linee PCI Express 5.0), ma che alla luce della novità il Ryzen 9 7900X meriterebbe una veloce attenuazione del suo prezzo, capace di restituirgli una maggiore appetibilità.

La piattaforma AM5 su chipset X670 ammalia soprattutto chi ha bisogno di accedere ai suoi dati in modo fulmineo

La piattaforma AM5 su chipset X670 ammalia soprattutto chi ha bisogno di accedere ai suoi dati in modo fulmineo, penso soprattutto al pubblico dei creator, e a chi può trarre molti benefici dall’uso di uno o due drive SSD M.2 PCIe 5.0, a breve in uscita sul mercato: in linea teorica ognuna di queste periferiche può trasmettere fino a 12 GB/s di dati e un processore con tanti core come il Ryzen 9 7900X ne trarrebbe certamente beneficio, grazie alla generosa quantità di linee PCI Express messe a disposizione (anche le ultime CPU di Intel, da questo punto di vista, sono più conservative). Di contro, va detto che la fabbricazione di schede madri dotate di bus PCI Express 5.0 richiede molte più attenzioni rispetto al passato e, per tanto, solo quelle più costose possono offrire tutti questi vantaggi. Insomma, scegliere di spendere di più o di meno dipende strettamente dalle vostre esigenze, ma se l’obiettivo è giocare e basta, allora è molto più indicato un modello di fascia media come il Ryzen 5 7600X, che troverete recensito prestissimo anche su queste pagine.

Voto 8

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NZXT H5 Elite – Recensione https://www.thegamesmachine.it/recensioni-videogiochi-pc-ps4-xbox-wii-u-app/242590/nzxt-h5-elite-recensione/ Thu, 10 Nov 2022 11:15:27 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?p=242590 Un case elegante e raffinato, ma di sana e robusta costituzione: sono le due anime dell’H5 Elite, un nuovo “telaio” per il vostro prossimo PC da gioco.

nzxt h5 elite

Da alcuni anni NZXT si sta imponendo come una delle realtà più interessanti per chi vuole costruirsi i propri PC da gioco, grazie a prodotti di pregio proposti a prezzi concorrenziali.

costa pur sempre 150 euro, ma in ottimi rapporti con feature e prestazioni

Non bassi, per carità, perché il nuovo case di cui parliamo costa pur sempre 150 euro, ma in ottimi rapporti con feature e prestazioni. La nuova linea di cabinet mid-tower H5 va a sostituire la precedente serie H510, riprendendone le linee e le dimensioni, ma apportando numerose piccole modifiche all’esterno e soprattutto all’interno. Si compone di due diversi prodotti, l’H5 Flow ed Elite: il primo predilige l’aerazione sull’estetica, avendo un pannello frontale traforato (e protetto da un filtro antipolvere) da cui le ventole possono aspirare l’aria fresca e spingerla verso l’interno del case;

nzxt h5 elite

il secondo, invece, privilegia l’estetica con un pannello anteriore in vetro temprato, capace di mettere totalmente in vista le due grosse ventole immediatamente successive. In entrambi i casi vedremo due cerchi RGB accendersi dietro al pannello frontale e una terza ventola posta diagonalmente sul fondo si occupa di introdurre ulteriore aria fresca nel case e spingerla verso l’alto, aiutando il dissipatore della scheda video a compiere il suo lavoro. Entrambi i modelli sono disponibili in due colori, bianco e nero.

NELLA SCATOLA

Una volta aperto lo scatolone e rimosso l’imballaggio in polistirolo, possiamo subito ammirare la struttura perfettamente squadrata del case, il suo aspetto elegante e i suoi vetri fumé (nell’edizione nera), capaci di dare un alone di mistero ai componenti interni quando il PC è spento, ma anche in grado di far trasparire tutta la bellezza dell’illuminazione interna quando è acceso.

Il pannello laterale destro è costituito da una singola lamiera che copre l’area per tutta la sua interezza, mentre quello sinistro è suddiviso in due aree: quella superiore, più grande, è coperta da un vetro temprato rimovibile mentre più in basso troviamo una lamiera che è parte integrante del cabinet e non può quindi essere rimossa.

possiamo subito ammirare la struttura perfettamente squadrata del case

È una specie di “scatola” che già nella serie H510 ospitava e proteggeva l’alimentatore e i dischi fissi, ma che negli H5 serve solo all’alimentatore e a riporre gli eventuali cavi aggiuntivi inutilizzati. Dove prima c’era il rack per i drive da 3,5 pollici, oggi c’è il supporto per la ventola inferiore, rinchiusa in una specie di imbuto che la isola completamente dal resto della struttura, impedendo quindi a polvere o cavi residui di entrarvi in contatto. L’aria arriva dalle feritoie sul fondo, protette da un filtro antipolvere, grazie ai piedini che sollevano il cabinet di almeno 2 cm dalla scrivania su cui è appoggiato.

ALL’INTERNO

Gli spazi interni sono ampi ma piuttosto razionati: sulla destra della scheda madre troviamo un supporto che aiuta a nascondere i cavetti collegati di lato (si pensi per esempio ai connettori SATA e al cavo principale di alimentazione), ma che rischia di “non starci” se la motherboard supera i dettami dello standard ATX.

A tale proposito, va detto che gli H5 sono compatibili solo con schede madri M-ATX o ATX, ma non supportano le schede E-ATX, quindi facciamo attenzione a questo dettaglio. Il coperchio va comunque rimosso durante la fase di setup del computer e per tanto siamo anche liberi di non rimetterlo più al suo posto per facilitarci la vita, in cambio di qualche cavo “a vista” in più.

compatibili con schede madri M-ATX o ATX, non supportano le E-ATX

Ancora più a destra c’è invece il supporto delle ventole frontali a cui possiamo avvitare, sul lato più interno, un radiatore da 280mm per sistemi di raffreddamento a liquido. Volendo, comunque, possiamo lasciare libere le due ventole e avvitarne uno al pannello superiore, adeguatamente traforato e coperto da filtro proprio allo scopo di ospitarne uno. L’area traforata comprende quasi tutta la profondità del “soffitto” ed è una delle maggiori differenze rispetto alla serie H510, che metteva a disposizione soltanto una finestrella di pochi centimetri. Il case arriva con i supporti per le schede madri ATX già avvitati all’anima laterale destra, per cui non dobbiamo fare altro che appoggiarla sopra e assicurarla a sua volta con le viti in dotazione. Va aggiunto, per completare il discorso, che anche la ventola obliqua sul fondo si può sempre rimuovere, ma sarebbe come togliere una delle idee più intelligenti del prodotto e, al di là dell’ordinaria manutenzione, non vediamo proprio perché farlo.

“SOTTO” LA SCHEDA MADRE

Il vano laterale destro ha uno spessore di circa 2 cm e contiene la centralina per l’illuminazione delle ventole frontali (con l’eventuale aggiunta di una terza ventola), il sistema di passacavi per gestire tutti i fili che permettono al computer di operare e la placca su cui montare due drive SATA, a scelta tra due modelli da 2,5 pollici o uno da 2,5” e uno da 3,5”. Già, avete capito bene: possiamo montare soltanto due di queste memorie di massa e la cosa ha un senso, visto che negli ultimi mesi si stanno moltiplicando le schede madri che possono ospitare fino a 4 SSD in formato M.2, non solo più veloci, ma anche molto più compatti e comodi da gestire.

Con le loro capienze in costante crescita e i prezzi sempre più accessibili, i drive tradizionali stanno cadendo velocemente in disuso

Con le loro capienze in costante crescita e i prezzi sempre più accessibili, i drive tradizionali stanno cadendo velocemente in disuso, riutilizzati il più delle volte in appositi cabinet esterni collegati tramite porte USB o usati come NAS a basso costo. Non possiamo giudicare positivamente o negativamente questo trend del mercato, semplicemente ne prendiamo atto e vi avvertiamo che, se nel vostro sistema amate conservare i vecchi hard disk, questo case purtroppo non fa per voi.

FACILITÀ D’INSTALLAZIONE

NZXT produce anche schede madri e avremmo potuto montare al suo interno l’ottima Z690 recensita solo poche settimane fa. Ma l’arrivo in questi giorni di un kit Ryzen 7000 da parte di AMD, costituito tra le altre cose da una scheda X670E Aorus Master, ci ha permesso di forzare un po’ le specifiche e di vedere come si sarebbe comportato questo case con una scheda madre un po’ più “larga” del necessario.

la moboX670E Aorus Master alloggia bene in questo case, benché ufficialmente non la supportasse

A parte la necessità di mantenere smontato il supportino copricavi di cui parlavamo un paio di paragrafi fa, la motherboard alloggia benissimo in questo case, benché ufficialmente non la supportasse. C’è un po’ di disordine con il cavo di alimentazione ma, a parte questo, nessun tipo di impedimento. I fili per i connettori in alto (USB 3.2, audio, pulsante di alimentazione) sono lunghi quel tanto che basta e non richiedono particolare attenzione per l’allacciamento alla scheda madre. Attenzione però alla centralina dei LED, che richiede i pin di un connettore USB 2.0 sulla scheda madre: alcuni modelli ne mettono veramente pochi a disposizione.

Io, che ammetto di non essere mai stato un grande assemblatore e mi qualifico come una persona di media competenza in questo genere di attività, per montare l’intero computer ho avuto bisogno di circa due ore.

anche un utente alle prime armi può affrontare il montaggio in serenità

Immagino che un professionista ci possa impiegare molto tempo in meno, ma questo per dire che, seguendo le istruzioni e senza fare errori grossolani, anche un utente alle prime armi può affrontare il montaggio del computer in totale serenità, magari prendendosi mezza giornata per svolgerlo. In questo tempo io ho dovuto calcolare anche il set up di un dissipatore a liquido di Corsair – che usavo con il precedente testbed su AM4 – ma di questo ne parleremo nella recensione del Ryzen 7000 o della scheda madre in questione, che seguiranno nei prossimi giorni. In ogni caso, è stato tutto molto semplice e non mi sono mai tagliato o sbucciato le dita, e questo per me è un punto a favore di questo cabinet.

CONSIDERAZIONI SU ESTETICA E DURATA

Il vetro è l’assoluto protagonista dell’ottimo aspetto di questo case, non c’è ombra di dubbio. Ma, pur essendo temprato, richiede molta attenzione da parte dell’utilizzatore: anche un apposito adesivo piazzato sulla velina di protezione (che siamo tenuti a rimuovere) ci ricorda quanto possa essere fragile. Non pensiamo di prendere questo case e aprirlo con noncuranza: ogni volta che rimuoveremo i pannelli in vetro, dovremo sempre fare la massima attenzione a come li afferriamo e riponiamo temporaneamente altrove, perché possono sempre frantumarsi (basta davvero un colpo di lieve entità, ma assestato nel punto sbagliato) e sarebbe un peccato. 

Difficile immaginare questo case appoggiato sul pavimento, sotto la scrivania e alla mercé dei nostri piedi: è un prodotto che va necessariamente posto su una scrivania in bella vista, ma anche in una posizione dove non riceverà colpi. I pannelli in vetro, proprio per essere più belli da vedere, non hanno un’anima metallica o una cornice su tutti i bordi: quello laterale ha solo il lato superiore protetto in qualche modo, ma per il resto è tutto vetro, solo vetro, e sbeccarlo è un attimo.

Il vetro è l’assoluto protagonista dell’ottimo aspetto ma anche di una relativa fragilità

Chi decide di acquistarne uno si renda preventivamente conto che dovrà averne una certa cura: in cambio, si troverà un oggetto di assoluto design in grado di integrarsi perfettamente a qualsiasi ambiente e di colpire l’occhio con la sua bellezza. Infine, ricordatevi che l’H5 Flow sarà anche meno vistoso, ma potrebbe essere preferibile con sistemi pesantemente overcloccati, o basati su tecnologie che notoriamente scaldano più del necessario. A buoni intenditori, poche parole.

Voto 8.6

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