Neoclassici #8 – Fez

“Fez 2 è cancellato. Ne ho abbastanza. Prendo i soldi e scappo. Questo è il massimo che posso sopportare. È la fine di una sanguinosa campagna. Avete vinto.” – Phil Fish

Fez

Ci sono buoni giochi, perfetti passatempi di genere per il periodo in cui escono, ci sono grandissimi giochi destinati a diventare pietre miliari, modelli, template, destinati ad invecchiare ed essere superati con riverenza dall’avvento di nuove tecnologie e altri sviluppatori. E poi ci sono opere senza tempo, cristallizzate, straordinarie ora e straordinarie tra dieci, venti, trent’anni. Questa per me è la definizione di capolavoro, un “titolo” che ha bisogno di tempo per essere assegnato, lontani dall’entusiasmo e dallo scalpore. Fez è quel tipo di videogioco.

L’ormai iconico new game + svelava così ai più curiosi la possibilità di vivere gli ambienti in soggettiva, uno “shock” ludico

Una pixel art che ha condizionato un intero decennio (e oltre), un gameplay che portava il puzzle/platform su un altro, altissimo livello e che nessuno è mai più riuscito a superare o per lo meno emulare, con quella fluidità, quel senso di meraviglia e di mistero, quella capacità intrinseca di sciogliere il cervello, facendolo colare dalle orecchie ad ogni tap di dorsale, con l’ambiente che ruota su sé stesso mostrando la sua natura tridimensionale, che andava ben oltre l’asse Y. L’ormai iconico new game + svelava così ai più curiosi la possibilità di vivere gli ambienti in soggettiva, uno “shock” ludico, una stregoneria oltre la programmazione, design occulto il cui segreto era custodito da una sola persona, un sacerdote che nel codice scritto da Renaud Bédard ha trasferito una parte di sé stesso, privandosene per i posteri: Phil Fish.

Fez

Lo sfogo del 2013 è quello di chi, a patti con una certa ala tossica dell’ambiente, della community e del lavoro, non ci scende o, probabilmente, non ci può scendere, consumato dalla popolarità, dallo stress, dall’ansia, come tantissimi altri sviluppatori che però mollano tutto nell’anonimato, preferendo andare a lavorare fuori dall’industry per salvaguardare la propria salute, la propria famiglia, la propria vita. All’inizio nessuno si aspettava che Fez diventasse il fenomeno che fu nel 2012, una popolarità che esplose come una bomba negli studi di Polytron, elevata all’ennesima potenza dal documentario Indie Game: The Movie, che puntò un accecante occhio di bue sul Fish personaggio, istrionico e non particolarmente modesto, ossessivo, spigoloso e perfezionista.

All’inizio nessuno si aspettava che Fez diventasse il fenomeno che fu nel 2012, una popolarità che esplose come una bomba negli studi di Polytron

Difficile da inquadrare e scomodo come collega. 5 anni di sviluppo, fondi ricevuti dallo stato canadese bruciati nei primi anni, soldi chiesti ad amici e parenti per non far naufragare il progetto, con tutti i relativi problemi che spuntano come verruche quando si toccano dei prestiti, trovando infine l’assistenza di Trapdoor, altro studio canadese (autori di Warp, per chi se lo ricorda) che aiutò Polytron a finire i lavori e pubblicare il gioco, mentre ogni anno piovevano nello studio award che contribuivano a far montare l’hype oltre i livelli di guardia. Fez era diventato letteralmente una questione di vita o di morte per Fish. Il risultato del lavoro, dei tormenti, degli esaurimenti nervosi fu sbalorditivo e senza compromessi (ma a che prezzo?). Un successo di critica e pubblico che aveva pochi eguali nel panorama indie dell’epoca, con più di un milione di copie vendute in un anno che non tengono conto delle versioni PlayStation (3, 4 e Vita), uscite nel 2014.

Fez

Ciò che contribuì alla popolarità trasversale di Fez fu soprattutto la quantità di segreti che l’avventura nascondeva dietro alfabeti da decifrare, QR code da scansionare, zone segrete e in generale una grammatica tutta sua, da studiare e imparare, capace di stimolare una curiosità ancestrale, tipica del videogioco anni ’80 ma reinterpretata in chiave moderna, passando dalla chiacchiera tra amici ai forum online, da una manciata di persone a migliaia, intente a scambiarsi teorie e unite per risolvere l’“impossibile” puzzle del monolite nero. Il videogioco che diventa discussione, condivisione e caso di studio, nato per il solo scopo di essere un’esperienza grandiosa, cerebrale, totalizzante, indimenticabile – qualcosa che lega Fez ad un altro fenomeno di quegli anni, Dark Souls.

Il fascino unico dell’opera deriva sicuramente dall’amalgama di gameplay puro e gameplay emergente ma anche da una direzione artistica che ne esalta i contrasti

Il fascino unico dell’opera deriva sicuramente dall’amalgama di gameplay puro e gameplay emergente ma anche da una direzione artistica che ne esalta i contrasti, risultando tanto solare e allegra quanto inquietante ed esoterica, col fondamentale apporto di Rich “Disasterpiece” Vreeland alla colonna sonora, capolavoro nel capolavoro. La sua interpretazione di chiptune mescola suoni classici, che ricordano i primi Zelda e Final Fantasy, a bassi sintetici e profondi, con riverberi capaci di dare “tridimensionalità” e consistenza alle tracce, sposandosi perfettamente col fake-2D del motore grafico, creando un punto di contatto perfetto tra classico e innovazione. Un accompagnamento che contribuì a riaccendere la discussione e l’interesse attorno ai compositori di musica per videogiochi, con due correnti indipendenti, musicale e videoludica, che proprio in quegli anni confluiranno, trovando terreno fertile per collaborare, evolvere e creare opere ludo-artistiche di grande rilievo. Non è un caso che nello sviluppo indipendente sia diventato sempre più importante avere una soundtrack d’impatto, anche per la possibilità di venderla separatamente sugli store, contribuendo così ad alzare la qualità generale della “videogame music” e facendo conoscere al pubblico nuovi e talentuosi artisti.

Fez

Nel frattempo Phil Fish era ormai considerato una vera e propria star dell’industria e ogni sua dichiarazione faceva rumore, tra le polemiche con Microsoft (che al tempo faceva pagare agli sviluppatori eventuali patch) e l’appoggio alla collega Zoe Quinn nel famigerato caso Gamergate, rendendolo spesso bersaglio di community ben poco trasparenti e culminando con l’hackeraggio dei suoi profili social e seguente condivisione di dati sensibili su 4chan. Qualcosa tra Fish e quel mondo si era però già rotto, e il mese passato tra annuncio e cancellazione di Fez 2 era la testimonianza di quello che lui stesso avrebbe dichiarato anni dopo, ovvero che un sequel era semplicemente qualcosa che si sentiva in dovere di fare senza aver voglia di farlo, “battere il ferro finché è caldo” in nome del successo e della possibilità di creare una serie, senza però quella motivazione vitale e drammatica che fu la benzina del primo capitolo. L’ennesima discussione (de)generata sui social, quella col giornalista Marcus Beer, che lo etichettò come un “hipster del ca**o” dopo che lo sviluppatore ebbe dichiarato che Fez 2 non sarebbe uscito su console Xbox (per le polemiche di cui sopra), fu semplicemente l’occasione perfetta per tirarsi fuori da una situazione che ormai sembrava più una prigione psicologica che l’inizio di una carriera di successo.

Qualcosa tra Fish e quel mondo si era però già rotto, e il mese passato tra annuncio e cancellazione di Fez 2 era la testimonianza che un sequel era semplicemente qualcosa che si sentiva in dovere di fare senza aver voglia di farlo

E ovviamente non poteva farlo che a modo suo, in maniera plateale. Fish è solo uno degli esempi più famosi di come il mondo del lavoro videoludico sia capace di consumare e bruciare talenti a una velocità folle, che sia in ambito corporate o indipendente. Probabilmente quella decisione gli ha salvaguardato la salute, per quanto dall’esterno possa essere sembrata esagerata e controversa, ma non devo dirvelo io quant’è facile giudicare una persona a qualche click di distanza. Oggi Fish è felicemente (lo spero) nell’ombra, ogni tanto rilascia qualche intervista e ha collaborato nel 2016 con Kokoromi a SuperHyperCube per VR, nel ruolo di designer. Possiamo serenamente dire che la sua storia come persona non ha insegnato assolutamente niente all’industria e all’ambiente dei videogiochi in generale, ma per lo meno la sua opera continua ad affascinare giocatori e sviluppatori, eredità tangibile di un designer con una visione speciale, luminosa, capace di rompere regole e guardare oltre i confini di genere. One shot, e va benissimo così.Fez

Una nota finale la voglio però dedicare a uno di quei titoli che ultimamente mi hanno fatto provare quelle stesse sensazioni, legate al senso di scoperta e al legame indecifrabile che si crea tra opera e giocatore; Tunic di Andrew Shouldice, altro titolo dallo sviluppo dilatatissimo (2015-2022) ma dal risultato fenomenale. Molto più legato a certe forme classiche di design (l’ispirazione principale è chiaramente Zelda) ma ugualmente capace di costruire, su quelle regole, qualcosa di incredibilmente profondo, misterioso e magnetico.

Fez vive e non c’è stato bisogno neanche di un seguito per farlo ricordare o mantenerlo sulla cresta dell’onda. Senza tempo.

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