La guerra perpetua del Tetro Millennio – Speciale Warhammer 40.000

Questo articolo è apparso per la prima volta su The Games Machine n. 357 di settembre 2018

Correva il lontano 1992 quando la prima opera ispirata all’universo fantascientifico di Warhammer 40.000 vide la luce del sole: fu allora che Gremlin Interactive pubblicò Space Crusade, una trasposizione decisamente fedele dell’omonimo gioco da tavolo targato Games Workshop (da noi conosciuto con il nome di StarQuest). Fu il primo di una lunghissima serie di titoli ispirati all’universo narrativo del Quarantunesimo Millennio: citarli tutti sarebbe impossibile data l’enorme mole di opere che si sono avvicendate nel corso degli ultimi cinque lustri, per questo nel pezzo che state leggendo ho preferito dedicarmi principalmente al modo in cui la compagnia britannica che ha dato i natali al celebre gioco di miniature ha modificato la sua politica di concessione delle licenze, aprendo le porte a tutte le tipologie di sviluppatori: dalle software house e ai publisher più importanti e affermanti, fino ai più piccoli team indipendenti.

L’ERA DELLA TECNOLOGIA

Va detto che inizialmente Games Workshop aveva assunto una posizione che puntava sì a portare le sue proprietà intellettuali nel mondo digitale, principalmente su PC, ma con una certa dose di moderatezza, concedendo i diritti di sfruttamento dei suoi franchise a pochissime compagnie. Dopo i primi esperimenti avvenuti all’inizio degli anni Novanta a cui partecipò anche Electronic Arts, la casa di Nottingham decise di dare luce verde a Strategic Simulations affinché pubblicasse alcuni titoli che piantassero le radici nell’anima strategica di Warhammer 40K: fu così che sul finire dello scorso millennio abbiamo avuto modo di mettere le mani su Final Liberation, Chaos Gate e Rites of War, un tris di videogiochi di grande qualità che riuscì a valorizzare la licenza e ad attirare a sé un gruppo di appassionati, generando grande interesse nel board game originale.

La società d’Oltremanica aveva intuito le potenzialità del medium videoludico per espandere il pubblico dei suoi prodotti

L’obiettivo di Games Workshop era quindi stato raggiunto: la società d’Oltremanica aveva intuito le potenzialità del medium videoludico per espandere il pubblico dei suoi prodotti, ed è forse anche per questo motivo che in quel di Nottingham si optò di operare una vera e propria rivoluzione interna, offrendo più prodotti ai collezionisti e ai modellisti, mentre sul versante dei videogiochi la licenza del Tetro Millennio venne affidata a uno degli astri nascenti nel panorama del publishing internazionale.

LA GRANDE CROCIATA

È proprio con l’acquisizione della licenza da parte di THQ che Warhammer 40K si afferma come uno dei franchise videoludici di maggiore importanza nei primi anni Duemila, sebbene non si possa asserire che il sodalizio tra l’ormai defunto publisher californiano e la compagnia inglese sia partito con il piede giusto. Già perché la prima opera nata dall’accordo tra le due società si allontanò molto dall’anima strategica che fino a quel momento aveva accomunato gran parte delle produzioni incentrate sul celebre gioco da tavolo; per questo motivo è impossibile non citare Fire Warrior. Sviluppato da Kuju Entertainment, questo sparatutto in prima persona vede il giocatore vestire i panni di un guerriero del fuoco Tau che deve far fronte alle forze imperiali corrotte dalle divinità del Caos per liberare una figura di spicco nella gerarchia del giovane dominio stellare alieno. Al di là delle molte discrepanze narrative, Fire Warrior si è rivelato uno shooter blando, privo di mordente e – in linea di massima – poco riuscito, a dimostrazione del fatto che allontanarsi in maniera così radicale dal genere di appartenenza del franchise è un rischio enorme che vale la pena assumersi solo in caso di idee particolarmente vincenti.

THQ aveva trovato la sua gallina dalle uova d’oro, tanto che Relic Entertainment sfornò espansioni e sequel negli anni successivi

Per fortuna, mentre il titolo sviluppato da Kuju stava raggiungendo gli scaffali dei negozi, un noto studio canadese stava per ultimare un videogioco che avrebbe poi settato gli standard qualitativi per ogni opera a venire, non solo per quanto riguarda quelle tratte dall’universo narrativo del Quarantunesimo Millennio, ma anche per i successivi strategici in tempo reale targati Relic Entertainment. La software house di Vancouver, che fino ad allora si era fatta notare soprattutto per i primi due capitoli della saga di Homeworld, riuscì a infondere nuova linfa vitale a un genere – quello degli RTS – che stava attraversando un periodo di stagnazione. Con Dawn of War, lo studio nordamericano rivoluzionò lo stile di gioco classico implementando una formula ben più dinamica in cui era sì presente un sistema di gestione della base ben marcato, ma a questo si aggiunse un’economia basata sulla conquista e il controllo di punti strategici sulla mappa. La filosofia tattica alla base del gioco da tavolo trovò così un’innovativa trasposizione digitale, mentre le razze giocabili incarnavano al meglio le controparti del board game, e veniva addirittura offerta la possibilità di personalizzare le diverse unità colorandole secondo i gusti e le preferenze dei giocatori. THQ aveva appena trovato la sua gallina dalle uova d’oro, tanto che Relic Entertainment sfornò espansioni e sequel negli anni successivi, provando anche ad allontanarsi dagli strategici con il piacevolissimo Warhammer 40.000: Space Marine, un action in terza persona che vede il Capitano Titus e la sua squadra di Astartes schierarsi al fianco dei difensori del mondo forgia Graia per sventare un’invasione di Orki. Lontano dalla mediocrità di Fire Warrior ma senza mai riuscire a brillare davvero, Space Marine verrà ricordato come un titolo in grado di restituire una indiscutibile fisicità nei combattimenti all’arma bianca, rendendo ogni scontro con la marea verde una festa per i fan del Tetro Millennio e dei guerrieri spaziali dell’Imperatore.

LA SECONDA FONDAZIONE

Purtroppo l’improvvisa bancarotta del publisher di Agoura Hills ha fatto sì che i lavori su uno dei progetti più interessanti basati sulla licenza di Warhammer 40K venissero interrotti, condannando l’ambizioso Dark Millennium all’oblio eterno. Nato come un MMO negli studi di Vigil Games, il videogioco degli autori di Darksiders avrebbe dovuto permettere agli utenti di viaggiare all’interno di alcuni settori della galassia, portando a termine missioni in solitaria o in compagnia di altri giocatori per conto delle fazioni più disparate tratte dal background narrativo ideato dalla Casa di Nottingham. Nel corso dello sviluppo, però, la componente online venne eventualmente accantonata, trasformando Dark Millennium in un’esperienza completamente single player. Tuttavia, la chiusura di THQ pose fine a tutto e – mentre molti studi e franchise vennero rilevati da altre compagnie – né Dark Millennium, né tantomeno Vigil Games trovarono una nuova casa.

Il fallimento della società californiana spinse Games Workshop a rivalutare ancora una volta la politica sulle licenze

Il fallimento della società californiana spinse Games Workshop a rivalutare ancora una volta la politica sulle licenze che fino a quel momento aveva permesso a un singolo attore di strappare accordi di esclusiva. Complice anche la rivoluzione delle piattaforme di digital delivery, che in quegli anni stavano iniziando ad affermarsi permettendo ai publisher più piccoli e ai team indipendenti di trovare sbocchi sul mercato, Oltremanica si pensò di elargire le licenze di sfruttamento delle proprietà intellettuali a più soggetti contemporaneamente. Come facilmente prevedibile, gli anni successivi furono – e sono ancora oggi – caratterizzati da un vero e proprio diluvio di videogiochi ispirati a Warhammer 40K e ai prodotti a esso correlati.

L’ERA DELLA REDENZIONE

Da qualche anno a questa parte, il cambio di politica di concessione delle licenze si è concretizzato nella volontà di puntare principalmente alla fedeltà del background narrativo, con un’attenzione particolare alla sfera hobbistica di Warhammer 40K. A questo punto, la qualità del prodotto videoludico resta sì importante, ma passa in secondo piano a patto che le due condizioni appena citate vengano soddisfatte. L’ovvia conseguenza di questa metamorfosi così radicale è stata l’invasione del mercato da parte di una grandissima quantità di giochi, tutti più o meno coerenti con la licenza ceduta da Games Workshop, peccato che molti di essi – pur se nati dalle migliori intenzioni – siano finiti o finiranno presto nel dimenticatoio per via di una fattura complessiva tutt’altro che eccelsa. Basti pensare a Eternal Crusade, uno shooter online in terza persona che avrebbe dovuto riprodurre battaglie su vasta scala in un settore galattico in continua evoluzione, purtroppo tradito dalle stesse ambizioni degli sviluppatori di Behaviour Interactive. O ancora Space Hulk: Deathwing, FPS cooperativo piagato al lancio da problemi tecnici abbastanza importanti, tanto che Streum on Studio ha impiegato un anno intero per correggere i bug più insidiosi. Per non parlare di Warhammer 40.000: Inquisitor – Martyr, anch’esso un progetto fin troppo ambizioso per un team indipendente sì talentuoso, ma comunque dotato di risorse limitate per dare concretezza alle idee iniziali.

Il filo rosso che unisce tutti questi progetti è proprio un livello di valori produttivi tendente verso il basso

Ecco, il filo rosso che unisce tutti questi progetti è proprio un livello di valori produttivi tendente verso il basso che impedisce agli sviluppatori di alzare l’asticella e dar vita a un videogioco sul Tetro Millennio come l’Imperatore comanda. Va comunque detto che c’è chi riesce sia a soddisfare le richieste di fedeltà al brand di Games Workshop, sia a realizzare un’opera di qualità, come i recenti Warhammer 40.000: Mechanicus, Space Hulk: Tactics e Warhammer 40.000: Gladius – Relics of War; peccato che si tratti nel complesso di poche gocce in un oceano di “vorrei ma non posso”. Per il momento la politica della compagnia di Nottingham non sembra sia destinata a mutare, tuttavia all’orizzonte si stagliano dei titoli sulla carta molto intriganti, quali Battlefleet Gothic: Armada 2 di Tindalos Interactive e Necromunda: Underhive Wars di Rogue Factor. Il futuro dei videogiochi basati sul franchise di Warhammer 40.000 appare estremamente roseo, quindi, perlomeno sul piano quantitativo.

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