Correva il lontano 1992 quando la prima opera ispirata all’universo fantascientifico di Warhammer 40.000 vide la luce del sole: fu allora che Gremlin Interactive pubblicò Space Crusade, una trasposizione decisamente fedele dell’omonimo gioco da tavolo targato Games Workshop (da noi conosciuto con il nome di StarQuest). Fu il primo di una lunghissima serie di titoli ispirati all’universo narrativo del Quarantunesimo Millennio: citarli tutti sarebbe impossibile data l’enorme mole di opere che si sono avvicendate nel corso degli ultimi cinque lustri, per questo nel pezzo che state leggendo ho preferito dedicarmi principalmente al modo in cui la compagnia britannica che ha dato i natali al celebre gioco di miniature ha modificato la sua politica di concessione delle licenze, aprendo le porte a tutte le tipologie di sviluppatori: dalle software house e ai publisher più importanti e affermanti, fino ai più piccoli team indipendenti.
L’ERA DELLA TECNOLOGIA
Va detto che inizialmente Games Workshop aveva assunto una posizione che puntava sì a portare le sue proprietà intellettuali nel mondo digitale, principalmente su PC, ma con una certa dose di moderatezza, concedendo i diritti di sfruttamento dei suoi franchise a pochissime compagnie. Dopo i primi esperimenti avvenuti all’inizio degli anni Novanta a cui partecipò anche Electronic Arts, la casa di Nottingham decise di dare luce verde a Strategic Simulations affinché pubblicasse alcuni titoli che piantassero le radici nell’anima strategica di Warhammer 40K: fu così che sul finire dello scorso millennio abbiamo avuto modo di mettere le mani su Final Liberation, Chaos Gate e Rites of War, un tris di videogiochi di grande qualità che riuscì a valorizzare la licenza e ad attirare a sé un gruppo di appassionati, generando grande interesse nel board game originale.
La società d’Oltremanica aveva intuito le potenzialità del medium videoludico per espandere il pubblico dei suoi prodotti
LA GRANDE CROCIATA
È proprio con l’acquisizione della licenza da parte di THQ che Warhammer 40K si afferma come uno dei franchise videoludici di maggiore importanza nei primi anni Duemila, sebbene non si possa asserire che il sodalizio tra l’ormai defunto publisher californiano e la compagnia inglese sia partito con il piede giusto. Già perché la prima opera nata dall’accordo tra le due società si allontanò molto dall’anima strategica che fino a quel momento aveva accomunato gran parte delle produzioni incentrate sul celebre gioco da tavolo; per questo motivo è impossibile non citare Fire Warrior. Sviluppato da Kuju Entertainment, questo sparatutto in prima persona vede il giocatore vestire i panni di un guerriero del fuoco Tau che deve far fronte alle forze imperiali corrotte dalle divinità del Caos per liberare una figura di spicco nella gerarchia del giovane dominio stellare alieno. Al di là delle molte discrepanze narrative, Fire Warrior si è rivelato uno shooter blando, privo di mordente e – in linea di massima – poco riuscito, a dimostrazione del fatto che allontanarsi in maniera così radicale dal genere di appartenenza del franchise è un rischio enorme che vale la pena assumersi solo in caso di idee particolarmente vincenti.
THQ aveva trovato la sua gallina dalle uova d’oro, tanto che Relic Entertainment sfornò espansioni e sequel negli anni successivi
LA SECONDA FONDAZIONE
Purtroppo l’improvvisa bancarotta del publisher di Agoura Hills ha fatto sì che i lavori su uno dei progetti più interessanti basati sulla licenza di Warhammer 40K venissero interrotti, condannando l’ambizioso Dark Millennium all’oblio eterno. Nato come un MMO negli studi di Vigil Games, il videogioco degli autori di Darksiders avrebbe dovuto permettere agli utenti di viaggiare all’interno di alcuni settori della galassia, portando a termine missioni in solitaria o in compagnia di altri giocatori per conto delle fazioni più disparate tratte dal background narrativo ideato dalla Casa di Nottingham. Nel corso dello sviluppo, però, la componente online venne eventualmente accantonata, trasformando Dark Millennium in un’esperienza completamente single player. Tuttavia, la chiusura di THQ pose fine a tutto e – mentre molti studi e franchise vennero rilevati da altre compagnie – né Dark Millennium, né tantomeno Vigil Games trovarono una nuova casa.
Il fallimento della società californiana spinse Games Workshop a rivalutare ancora una volta la politica sulle licenze
L’ERA DELLA REDENZIONE
Da qualche anno a questa parte, il cambio di politica di concessione delle licenze si è concretizzato nella volontà di puntare principalmente alla fedeltà del background narrativo, con un’attenzione particolare alla sfera hobbistica di Warhammer 40K. A questo punto, la qualità del prodotto videoludico resta sì importante, ma passa in secondo piano a patto che le due condizioni appena citate vengano soddisfatte. L’ovvia conseguenza di questa metamorfosi così radicale è stata l’invasione del mercato da parte di una grandissima quantità di giochi, tutti più o meno coerenti con la licenza ceduta da Games Workshop, peccato che molti di essi – pur se nati dalle migliori intenzioni – siano finiti o finiranno presto nel dimenticatoio per via di una fattura complessiva tutt’altro che eccelsa. Basti pensare a Eternal Crusade, uno shooter online in terza persona che avrebbe dovuto riprodurre battaglie su vasta scala in un settore galattico in continua evoluzione, purtroppo tradito dalle stesse ambizioni degli sviluppatori di Behaviour Interactive. O ancora Space Hulk: Deathwing, FPS cooperativo piagato al lancio da problemi tecnici abbastanza importanti, tanto che Streum on Studio ha impiegato un anno intero per correggere i bug più insidiosi. Per non parlare di Warhammer 40.000: Inquisitor – Martyr, anch’esso un progetto fin troppo ambizioso per un team indipendente sì talentuoso, ma comunque dotato di risorse limitate per dare concretezza alle idee iniziali.
Il filo rosso che unisce tutti questi progetti è proprio un livello di valori produttivi tendente verso il basso