George A. Romero: il padre dei morti viventi - Speciale Twilight Zone

geroge romero twilight zoneVi abbiamo dato stamattina la notizia della morte di George A. Romero. È inutile sottolineare come le sue opere abbiano influenzato non solo il modo di fare cinema, ma anche di produrre videogiochi. Qualche mese fa, sulle pagine di The Games Machine, avevamo dedicato proprio a lui la nostra rubrica di approfondimento Twilight Zone: condividerla anche con chi non è acquirente della rivista ci è sembrato il modo migliore per omaggiare il suo incredibile percorso artistico. Buona lettura.


Un vecchio modo di dire afferma “oggi si fa politica anche quando ci si lava i denti”, per sottolineare come sia impossibile realizzare un’opera senza influenzarla col proprio pensiero. Esistono essenzialmente due tipi di artisti: quelli che rifuggono questa considerazione, affermando che un film (o un libro, o una canzone, o questo stesso articolo) sia semplice intrattenimento, e coloro che, riconoscendo la verità della sentenza, esaltano il contenuto della propria opera. Molto spesso la consapevolezza di ciò che si sta raccontando fa la differenza tra un grande autore e un mestierante, tra un maestro destinato a passare alla storia e una meteora. George A. Romero, classe 1940, nato a New York, appartiene sicuramente alla prima categoria, un genio a cui dobbiamo la figura dello zombie moderno, sgravato da tutte le valenze tribali e le superstizioni del voodoo, ma carico di forza sociale. Lo zombie romeriano, lento e inarrestabile come la morte, ha un solo obiettivo: consumare.

LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI

La figura del morto vivente viene costruita in un percorso di sei pellicole lungo tutta la carriera del regista. Si inizia nel 1968 quando La Notte dei Morti Viventi cambia la storia della cinematografia dell’orrore. Romero costruisce il suo racconto attorno al romanzo Io Sono Leggenda di Richard Matheson e regala alla storia un classico, una pietra miliare. Il suo mostro è un ritornante non benvenuto, in un momento storico particolarmente buio: USA e URSS vivono la tensione inesplosa della Guerra Fredda, il Vietnam è una ferita aperta e suppurante, e l’omicidio di Martin Luther King è solo la punta dell’iceberg del rigurgito razzista di un paese che si autoproclama “la terra delle libertà”. Un paese che, invece, dà prova di essere controllato dagli istinti più bassi: la violenza e l’odio, con l’uomo che “mangia” il suo simile.

La consapevolezza di ciò che si sta raccontando fa la differenza tra un grande autore e un mestierante

La Notte dei Morti Viventi racconta le vicende di un nucleo di personaggi che, messo di fronte all’Apocalisse, trova riparo in una vecchia casa nel sud degli Stati Uniti, ma i suoi componenti finiscono per danneggiarsi da soli. Nel finale del film un gruppo di redneck uccide l’unico sopravvissuto: un uomo di colore. Romero, che non ha in simpatia la mentalità del Sud degli States, è convinto che per alcuni individui l’apocalisse zombie sia solo il pretesto per sfogare la loro più grande ambizione: l’omicidio senza conseguenze. La Notte dei Morti Viventi arriva sullo schermo e sconvolge non solo le regole di cosa possa essere mostrato al cinema, ma anche il pubblico, proponendo una visione nichilista e senza speranza. Indimenticabile la scena in cui la figlioletta zombie accoltella la madre. D’altronde, come cantava Bob Dylan proprio in quegli anni, The Times They Are a-Changin’: i figli non sono una vostra proprietà.

CONSUMO E VIOLENZA

Il film che, probabilmente, meglio degli altri rappresenta la poetica romeriana è Dawn of the Dead, che in Italia è arrivato col titolo di Zombi. Romero intuisce che il mostro che consuma per eccellenza è un ottimo espediente per raccontare il consumismo americano. Il “nuovo” gruppo di sopravvissuti, dunque, trova riparo all’interno di un enorme centro commerciale. È il 1978, e di lì a breve arriveranno la presidenza di Ronald Regan e il boom dei “mall”, delle file fuori dai negozi, del materialismo.

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In Zonbie lo shopping mall si trasforma in un paradiso per i protagonisti in estasi

Romero profetizza che a trasformarci in zombie non saranno un virus o le onde sconosciute di un pianeta infame, bensì il nuovo telefono, i jeans di marca, la moda del momento; in pratica la nostra necessità di consumare, di possedere, il nostro edonismo. Gli zombie di Dawn of the Dead non assediano il centro commerciale per arrivare ai sopravvissuti, ma perché il loro cervello “ricorda” quel posto; rammenta che ne sono attratti, nella morte come in vita. Nel film lo shopping mall si trasforma in un paradiso per i protagonisti in estasi, qui completamente appagati: lì dentro hanno tutto senza dover pagare, cosa dovrebbe importargli, dunque, della morte che calca all’esterno?

IL RESTO DEL PERCORSO

Il terzo capitolo della serie, Il Giorno degli Zombi, porta a compimento il discorso anti-militarista già affrontato ne La Città Verrà Distrutta all’Alba. Romero scava sempre più nella possibilità di una riabilitazione dei morti viventi, presentando uno scenario claustrofobico per il genere umano, rinchiuso in uno stato militare insensibile agli orrori dell’esterno. Lo zombie Bub è il primo non morto che supera gli istinti che lo animano, ma è condannato da un sistema che esclude la redenzione. A chiudere la prima tetralogia c’è La Terra dei Morti Viventi, lo zombie movie post 11 settembre, nel quale isolotti di ricchezza spropositata rappresentano le ultime resistenze dell’umanità. La società è classista come non mai: i più ricchi vivono sorseggiando champagne dall’alto delle loro torri intoccabili, mentre i poveracci fanno la fame in strada. Gli zombie, capitanati da Big Daddy (un non morto operaio, in onore alla visione socialista di Romero), insorgono alla ricerca di un posto nel mondo che è stato loro negato per troppo tempo. Gli ultimi due film di Romero, quasi dei divertissement, sono Diary of the Dead, uno dei mockumentary più interessanti usciti al cinema negli ultimi anni, e Survival of the Dead, forse l’anello più debole di una catena di materiale pregiatissimo.

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UMBRELLA

Illustrato il palmares, risulta dunque facile individuare in Romero l’artefice dello zombie moderno e indicarlo in via definitiva come padre di qualsiasi titolo legato alla figura del morto vivente. In particolar modo, Romero ha rivoluzionato lo zombie, costruendolo in base alle caratteristiche che lo definiscono: l’antropofagia, l’idea sociale dell’uomo che divora il suo simile, l’incedere lento e il contagio tramite il morso. Elencare tutti i videogiochi che contengono non morti significherebbe riempire le pagine della Twilight Zone con una sterile lista, senza che rimanga spazio per altro. Di certo, però, è facile rivedere tanto di Romero nel titolo che sdoganerà lo zombie presso il pubblico di videogiocatori, ovvero Resident Evil. Lo zombie romeriano, nel titolo di Capcom, è riportato all’interno di una situazione che vede un esperimento sfuggito di mano ad opera e responsabilità di una super corporazione chiamata Umbrella. La natura militaresca della società e la ricerca ossessiva di un’arma batteriologica definitiva sono i due motivi per cui Umbrella ha corrotto il naturale ciclo di vita e di morte di chi viene infettato dal virus. Nonostante i protagonisti siano privi della fosca moralità che caratterizza quelli presenti nelle pellicole di Romero, la lotta contro questa superpotenza bellica porterà l’umanità a pagare conseguenze enormi.

DISCOUNT

Il caso però più interessante, in ambito videoludico, resta forse quello di Dead Rising. Mi riferisco specialmente al primo capitolo, visto che il senso generale e la sferza politica si sono spuntati col tempo e con lo spostamento della produzione a Occidente. All’uscita del gioco, addirittura, fu necessario inserire un disclaimer che annunciava l’estraneità del titolo con Dawn of the Dead, e in effetti i punti in comune sono notevoli: Frank West è un fotografo che deve indagare sull’apocalisse zombie in un centro commerciale, e per far ciò ha la possibilità di restare all’interno del suddetto centro per sette ore a svolgere le sue indagini. Dead Rising riprende in buona parte le ossessioni denunciate da Romero sullo shopping, la compulsività e la voglia di ottenere tutto, distraendo continuamente il giocatore con migliaia di possibilità che consentono la personalizzazione dell’avatar e incoraggiandolo a utilizzare ogni oggetto come arma contro i non morti. Il tempo passa inesorabile e Frank può decidere di trascorrere tutte le ore a disposizione “gongolando” all’interno del centro commerciale. Se invece si è immuni alle tentazioni, e si decide di seguire la storia, si viene a conoscenza della natura del virus: un tentativo malriuscito degli USA di produrre bestiame in massa, in modo da soddisfare l’altissima richiesta di carne bovina. Ancora il consumo, dunque.

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Dead Rising riprende in buona parte le ossessioni denunciate da Romero sullo shopping

George Romero è sostanza prima ancora che forma, ed è per questo che i suoi lavori hanno sempre un certo valore. Attraverso il fantastico riesce a parlare del contemporaneo, leggendo sangue e budella come uno stregone, narrando di un mondo al capolinea. Quello che gli preme raccontare, in questi momenti di crisi, è legato alle dicotomie della società in cui viviamo, in cui il più forte, o il più ricco, si pone sempre in posizione di vantaggio, e lo zombie diventa allegoria perfetta della nostra condizione sociale. E questo vale, anche e soprattutto, all’interno del mercato videoludico, che ci vede in fila, come un numero, alla mercé di sviluppatori che credono di non fare politica attraverso i loro giochi. Forse è questo il male principale del nostro hobby preferito: il fatto che non venga preso sul serio nemmeno da chi gli dà vita.

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