Vive la Révolution - Speciale

Vive la Révolution

Il 14 luglio del 1789 la prigione-fortezza della Bastiglia viene assaltata dagli insorti con a capo Pierre-Augustin Hulin, in un attacco potente e simbolico all’Ancien Régime, che segna prepotentemente l’inizio di quella che passerà alla storia come Rivoluzione Francese. Un capitolo di Storia importante per l’Europa, che determina di fatto la nascita dello Stato di diritto e il declino degli assolutismi. I dieci anni che sconvolgono il paese transalpino sono brutali, pieni di contraddizioni e assolutamente ricchi di spunti per diverse letture ma, come tutti gli episodi più delicati della Storia moderna, quasi nessuna esplorata dai videogiochi. Un vuoto, quello della Rivoluzione Francese, che per certi versi coinvolge anche il cinema, seppur in misura minore, dove, dopo gli anni ’80, in cui prodotti come La révolution française (realizzato come miniserie televisiva colossal per celebrarne i 200 anni) e Danton hanno esplorato gli aspetti storici più canonici dei dieci anni rivoluzionari, ha visto sempre meno registi confrontarsi con il periodo. Tra le letture più interessanti, probabilmente, c’è quella di Marie Antoinette di Sofia Coppola, che prova a reinterpretare la controversa e bistrattata regina in chiave pop e, soprattutto, femminile, staccandola dall’album delle figurine della Storia e costruendo intorno a lei uno scenario multisfaccettato.

FRATERNITÉ?

La Rivoluzione Francese di Unity è accessibile, immediata, e appassiona perché in linea con le aspettative figlie della cultura popolare

L’unica software house che ha affrontato la Rivoluzione Francese in maniera diretta è Ubisoft Montreal con il suo Assassin’s Creed Unity (2014), che, comunque, tocca i temi rivoluzionari in maniera tangente, fotografando il periodo da lontano e utilizzando il clima di quegli anni quasi come sfondo a una storia più piccola. D’altronde, Arno Dorian è imprigionato nella Bastiglia per essere stato accusato ingiustamente dell’omicidio di François de la Serre, ed è proprio che l’assassino Pierre Bellec gli rivela di essere da sempre legato all’Ordine. Durante l’assalto alla fortezza Arno Dorian sfrutta, di fatto, l’inizio della Rivoluzione per ricongiungersi con il suo passato e passare da un ruolo subalterno a quello di protagonista (per quanto, in fondo, questa trasformazione non avviene mai completamente). In Assassin’s Creed: Unity non c’è il racconto storico di spessore, e manca una riflessione profonda sui valori della Rivoluzione Francese. Per questo motivo, e lo vedremo in seguito, c’è chi ci ha visto un sentimento anti-popolare, quando in realtà, a mio avviso, c’è solo uno stratagemma che aggira la questione politica in maniera intelligente e, se vogliamo, furba. Ubisoft rappresenta la Rivoluzione Francese con con lo stesso piglio mostrativo tipico dei blockbuster cinematografici, senza risparmiarsi cliché e modi di fare abbastanza banali, ma con un grandissimo gusto per la messa in scena e per i tempi narrativi. D’altronde Assassin’s Creed non ha mai voluto raccontare la Storia in un modo critico, preferendo un approccio quasi voyeuristico, se vogliamo delegittimante nei confronti dei giocatori e perfettamente in linea con l’intrattenimento di massa. La Rivoluzione Francese di Unity è accessibile, immediata, e in questo senso riesce a essere appassionante perché in linea con il dipinto epico e contrastante che i nostri riferimenti culturali ci hanno sempre suggerito. Eppure, fondamentalmente Unity lascia la grande Rivoluzione sullo sfondo, e prova, in maniera a volte efficace, a volte un po’ maldestra, a raccontare una storia di amore e tradimento in un contesto sanguinoso e opprimente. Il senso di urgenza e di tragedia della lotta di classe è vero, un po’ si perde, nella patinatura glossy e nella ricostruzione epica della Parigi rivoluzionaria, ma il tratteggio sanguinario di quegli anni non è figlio di uno spirito anti-popolare, quanto il contraltare di un periodo che nell’immaginario collettivo è fatto di senso di libertà e spirito di unità, ma che nella realtà è molto più complesso da leggere.

Assassin's Creed Unity

Accettare che la nostra storia possa essere messa in gioco, con tutto il rispetto del caso, dovrebbe essere il primo passo per una riappropriazione illuminata delle origini

Difficile fare un ritratto di quegli anni che non sembri in qualche modo parziale, ma è anche vero che la strada del racconto pop è quello che, ha costituito l’ossatura del nostro immaginario di Rivoluzione: da Veirsalles no bara (Lady Oscar) a Unity, passando per Ra Sēnu no Hoshi (Il Tulipano nero – La stella della Senna) in fondo i non troppi prodotti di entertainment che raccontano la Rivoluzione sfruttano la guerra civile come contesto distruttivo in grado di cambiare il destino delle persone. E, al netto delle valutazioni politiche, sono da sempre le piccole storie a comporre il puzzle della Storia ineluttabile. Che forse non siamo esattamente pronti ad affrontare alcuni argomenti ce lo dice l’attualità. Assassin’s Creed Unity, infatti, è stato criticato aspramente dall’ex ministro francese Jean-Luc Mélenchon, fondatore del Partito di Sinistra, per aver rappresentato la Rivoluzione Francese in maniera travisata, estremamente anti-popolare e a favore della nobiltà. Difficile entrare in una polemica del genere senza correre il rischio di politicizzare troppo la propria opinione, ma una delle critiche più aspre di Mélenchon riguarda il ritratto della figura di Robespierre, che nel gioco è dalla parte dei Templari, e viene rappresentato come despota tiranno. Al netto dell’interpretazione di giorni convulsi e critici come quelli che sono passati alla Storia come Il Regime del Terrore (1793), è chiaro che un prodotto di intrattenimento (e di fiction, sebbene di stampo storico) ha bisogno di ancorarsi al reale, e prendersi delle licenze sul racconto dei fatti per dare seguito alla narrazione. A prescindere del medium utilizzato, accettare che la nostra Storia possa essere messa in gioco, conservando i crismi del rispetto dei valori e delle pagine più drammatiche del passato, dovrebbe essere il primo passo per una riappropriazione illuminata delle origini, e sfruttare i racconti di fiction come traino di approfondimenti storici di maggiore spessore.

IL GIOCO DELLA GUERRA

È tuttavia divertente come tutto cambi quando si passa dalla fiction, considerata evidentemente territorio scricchiolante e pericoloso, all’utilizzo dei fatti storici dal punto di vista bellico. La Rivoluzione Francese, infatti, sebbene non compaia in altri giochi di stampo avventuroso, è un evento ben radicato in molti titoli di strategia a sfondo storico. In Empire: Total War (2009), se si verificano alcune condizioni sfavorevoli controllando la Francia, la popolazione insorge e il giocatore si trova a fronteggiare gli eventi storici salienti degli anni della Rivoluzione. Allo stesso modo, una situazione del genere può verificarsi in Europa Universalis 4 (2013), dove la convocazione degli Stati Generali segna l’inizio di quello che nel computo dell’esperienza viene derubricato a disastro, che può essere gestito riportando stabilità nel Regno a livelli sostenibili, o, al contrario, trasformarlo in una Repubblica Rivoluzionaria e, in base ad altre condizioni, dare vita o meno al periodo napoleonico.




Fintanto che ci si limita al gioco su una plancia e alla strategia bellica o politica, la Rivoluzione diventa un perno dell’esperienza

Insomma, fintanto che ci si limita al gioco su una plancia e alla strategia bellica o politica, la Rivoluzione diventa un perno dell’esperienza, perché introduce un set di regole nuove in uno scenario ben definito. Quando invece è la narrazione a dover condurre le redini dell’esperienza, il timore reverenziale vince praticamente sempre. Questo discorso, in fondo, è applicabile anche ad altri conflitti interni come la Rivoluzione Americana, che compare di fatto, in maniera sempre più o meno tangente, soltanto nella trilogia yankee di Assassin’s Creed se guardiamo ai titoli narrativi, ma che non manca in una pletora di strategici e gestionali, che vanno da Sid Meier’s Colonization (1994) a Birth of America (2006). In quel caso, però, lo slancio patriottico degli americani e il loro amore di storytelling ha fatto sì che, nel bene e nel male, negli altri media il racconto quasi pastorale dell’indipendenza della nazione sia stato sviscerato in tantissimi modi diversi. La Storia della Francia, invece, pur estremamente affascinante, è rimasta sempre un po’ sopita, una sorta di vaso di Pandora ancora da scoperchiare. Tornano a guardare solo ai videogiochi, non è solo la Rivoluzione Francese, infatti, a mancare all’appello delle grandi narrazioni legate alla terra transalpina, ma mancano titoli di spessore ispirati alle pagine di Alexandre Dumas e i suoi Tre Moschettieri, che ben si prestano a diverse interpretazioni ludiche, nonché titoli ambientati durante la seconda Rivoluzione, quella del 1848 e raccontata da Victor Hugo con il suo I Miserabili, dagli aspetti sociali sicuramente più delicati. Insomma, il curioso caso della Francia, forse, racchiude sia lo storico complesso dei videogiochi nei confronti della Storia che nei riguardi della guerra, ma anche forse, un gap tutto europeo di qualche remora eccessiva nel voler mettere in gioco le sue radici. Qualunque sia il motivo della mancanza di titoli rivoluzionari, in senso lato, a 228 anni dalla presa della Bastiglia forse potremmo anche iniziare a pensare di guardare al passato con un occhio diverso.

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