The Last Faith – Recensione

PC PS4 PS5 Switch Xbox One Xbox Series X

Dolore e peccato, paura e vergogna. Oltre il pentimento e l’oscurità, c’è solo l’afflizione. The Last Faith, sviluppato da Kumi Souls Games, conduce il giocatore in un buio senza fine all’interno di Mythringal, una Yharnam bidimensionale tutta da scoprire.

Sviluppatore: / Publisher: Kumi Souls Games / Playstack Prezzo: 27,99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 18 Disponibile su: PlayStation 5, PlayStation 4, Xbox One, Xbox Series X|S, PC e Nintendo Switch Data d’uscita: Già disponibile

È un viaggio orribile, quello che conduce alla follia. Spesso, dal dolore e dal pentimento, non si ottiene granché: solo altro dolore. Così comincia quel viaggio in una selva oscura che nasconde perigli di ogni genere, nemici pronti nell’oscurità e streghe che danzano al chiaro di Luna, e magari fra loro c’è pure Anya Taylor-Joy, che con The VVITCH si è fatta conoscere e apprezzare nel panorama cinematografico internazionale. The Last Faith, tuttavia, va ben oltre la creatura di Robert Eggers, il buio di una Yharnam tridimensionale e tutte quelle ispirazioni che, nel bene e nel male, in un videogioco simile fanno sempre bene, specie par farsi conoscere ai giocatori.




È capitato recentemente con Lies of P, ed è accaduto in tante altre occasioni con un numero esagerato di altrettante produzioni pubblicate recentemente – fra di loro figura Blasphemous 2, l’evoluzione totale del suo predecessore. L’ispirazione, quando si trasforma in omaggio, raggiunge, in seguito, ottime vette qualitative e riconoscibilissimi punti a suo favore, tanto importanti quanto notevoli. Intensificano la qualità, per poi portare l’operazione – qualunque essa sia – ad arrivare a una sua anima. The Last Faith, sorpresa, ne ha una bella marcata sin dal suo avvio.

Ottime vette qualitative altissime e un omaggio concreto alla letteratura dell’orrore

Se da una parte ci sono omaggi a Bloodborne e Castlevania, dall’altra c’è una massiccia esplorazione della letteratura dell’incubo, resa ottimamente anche nel raccontare quanto avviene a schermo, conducendo il giocatore attraverso una follia infinita, faccia a faccia con degli orrori senza fine, capaci di andare ben oltre i classicismi del genere. Giocare The Last Faith, lo ammetto, è stato come entrare in un vortice senza fine che conduce alla perdizione: è una poetica del dolore da cui non ne sono uscito capobranco, bensì signore dell’oscurità.

UN MODERNO GABRIEL BELMONT

Come accennavo prima, The Last Faith prende in prestito molto dalla letteratura dell’orrore e dagli stilemi narrativi che hanno indotto, in passato, Bram Stoker a delineare il racconto della Bella Signora e di Dracula, con la prima marchiata con i canini del vampiro secolare più celebre della Transilvania. In un certo senso, Eryk, il protagonista triste di The Last Faith, si ritrova in una città dell’incubo sprovvisto di una cosa utilissima, quando si è in una città dell’incubo e ci sono nemici dappertutto: il suo passato. Non ha ricordi né memoria: è solo, abbandonato e si è risvegliato da un sonno che neppure lui è riuscito completamente a comprendere. E non ha idea, soprattutto, di quanto abbia effettivamente dormito.

Cosa nascondi dentro di te, Eryk?

La sua afflizione, in tal senso, lo conduce a un maniero oscuro, protetto da cancelli e da un nobile austero e severo. Il racconto di The Last Faith, insomma, è una dichiarazione d’amore concreta a Bloodborne in ogni sfaccettatura e sfumatura: il maledetto protagonista è afflitto da una barbara malattia del sangue che lo sta portando, piano piano, a una morte lenta e dolorosa, oltre che a una follia infinita.

Ogni parola è un macigno, all’interno di The Last Faith. Alcuni di questi comprimari, tristi e soli, saranno persi per sempre

I dialoghi, scritti in modo oculato e preciso, mettono in luce una trama classica ma intricata, mentre gli scritti che si trovano all’interno del lucidissimo level design dell’opera si rafforzano scoperta dopo scoperta. Essa diventa un piacere da esplorare tutta dall’inizio alla sua conclusione, interfacciandosi con più finali e missioni secondarie ben implementate, commoventi e ricche di significati, poiché raccontano del passato di queste persone sopravvissute al centro di un incubo ben più grande di quanto viene effettivamente palesato, all’interno della letale Mythringal.

IL BUIO DI THE LAST FAITH

The Last Faith è videogioco sospeso fra due generi: da una parte la profondità di un Metroidvania e dall’altra il livello di difficoltà di un soulslike (anche se preferisco indicarlo come Action RPG, per una questione di chiarezza), con queste due anime che si sfiorano per poi collidere l’una con l’altra, creando precisamente cos’è mostrato a schermo. L’esplorazione del titolo, sprovvista di punti d’interesse, spinge dunque a sviscerare ogni angolo del level design, con il piazzamento degli altari, dei falò bidimensionali, in cui è possibile rifocillarsi e spostarsi da un luogo all’altro, interfacciandosi con un mondo oscuro ricco di dettagli e di ambientazioni sempre diverse, da vivere e apprezzare. In un certo senso, l’esplorazione mi ha dato un ottimo senso di appagamento, in particolare quando mi è capitato di raccogliere le lettere e i documenti spesso contenuti in scrigni dorati, che talvolta conservano segreti dei già citati comprimari.

Avete mai provato sulla pelle un raggio congelante? Bene, incredibilmente ti congela e consente poi ai nemici di colpirti ripetutamente, come nei Simpson.

Pur non differenziandosi poi molto da tante altre produzioni simili, The Last Faith propone comunque un ottimo game design, rafforzato inoltre da un pregevolissimo sistema di combattimento. Fra attacchi rapidi, balzi e schivate, ci sono anche vari modi di approcciare gli scontri: tutto dipende dalla classe scelta prima di iniziare l’avventura, oltre che dallo stigma che si può incastonare nell’equipaggiamento. Ho optato, e lo ammetto senza tante cerimonie, a quella che considero la più semplice da adoperare e plasmare: il picchiatore.

Tante classi da sviscerare e scoprire

Al riguardo, il sistema di combattimento non ha nulla a che vedere con l’architettura tipica dei soulslike à la FromSoftware. È direttamente vicino a Blasphemous, che è, a sua volta, avvicinabile a Castlevania. Il combattimento è frenetico e ricco di nemici. Inoltre, è presente un’ottima varietà degli stessi, con tante combinazioni e scelte. Proseguendo nell’esperienza e affrontando i boss, si sbloccheranno in seguito vari modi per avanzare, come un rampino, utilissimo per raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili. Gli scontri con i boss, pirotecnici e brutali, proprio come Hidetaka Miyazaki ha plasmato nel corso degli anni, rappresentano fulcri importanti all’interno dell’espressività ludica dall’opera, adeguata e ben condensata.

STILE E ARTE DELL’ORRORE

Se c’è una cosa che mi ha colpito molto, in venticinque ore di gioco, è l’art design scelto per l’occasione. Lo avevo visto sin dai trailer, ne avevo avuto un breve assaggio in una demo dimostrativa su Steam e mi ero lasciato incantare dalle ambientazioni chiaramente oscure, incantevoli per chi ha un’anima nera e buia, e non può fare a meno del gotico, dello stesso gotico che ora sovrasta le rovine medievali di una cittadina silente, afflitta dal dolore e, al contempo, dal pentimento.

La spettacolarità delle bossfight è qualcosa che mi è rimasta attaccata addosso.

A impreziosire l’offerta ludica, inoltre, è anche il sound design, oltre alle composizioni musicali che accompagnano il viaggio di Eryk in un inferno sulla Terra che lascia spazio a tante, tantissime riflessioni.

Sì, adoro Van Helsing e amo perdutamente la famiglia Belmont

Oltre a Gabriel Belmont, uno dei miei personaggi preferiti della serie Castlevania, lo avvicino addirittura al Gabriel Van Helsing di Hugh Jackman. L’armamentario, d’altronde, non è molto diverso; salvo per la balestra, quella è stata purtroppo lasciata a riposare nello stanzino delle cose inutili. Poco male, perché il resto è comunque una figata.

In Breve: The Last Faith è un videogioco appassionante e lucido, figlio di due anime capaci di incatenare i giocatori alla sedia e a non fare null’altro. In tal senso, l’opera punta su questo: ad aumentare uno spessore ludico che riesce incredibilmente a scalfire gli appassionati e non solo. Non farete più a meno di questo incubo.

Piattaforma di Gioco: PlayStation 5
Com’è, come gira: Ottimamente. Niente intoppi, niente problemi. Chissà se gira su quel trattore, proprio quello lì, vicino alla stalla.

Condividi con gli amici










Inviare

Pro

  • Game design brillantissimo e vivace / Il sistema di combattimento è piacevole e appagante / Stile artistico di assoluta caratura

Contro

  • Qualche incertezza sulla progressione / Troppa ispirazione, forse, ha oscurato molto altro
8.5

Più che buono

Cosa succede se unite letteratura, tanta curiosità e un mix letale di videogiochi indipendenti e di produzioni complesse? Otterrete Nicholas, un giovane virgulto che scrive tanto e vuole scrivere di più. Chiamato "Puji" ben prima di nascere, dovete dargli una penna per tenerlo calmo. O al massimo un pad.

Password dimenticata