The Crew Motorfest – Recensione

PC PS5 Xbox Series X

La serie racing firmata Ubisoft torna con The Crew Motorfest, un capitolo hawaiiano di grandissimo impatto scenico, in scia alla moda di Forza Horizon ma capace di distinguersi sotto molti punti di vista.

Sviluppatore / Publisher: Ubisoft / Ubisoft Prezzo: 69,99€  Localizzazione: Testi Multiplayer: Competitivo e cooperativo PEGI: 7 Piattaforma: PC, Xbox Series X/S, PlayStation 5 Data di lancio: Già disponibile

Scialarsela è un termine che uso spesso, che ho fatto mio. Mi piace come il suono della parola indichi esattamente una sensazione, quella di un relax senza pensieri, di un’attività che scivola via portandosi dietro ore di quel piacere privo di sforzo, come stare in spiaggia, bersi una birra o starsene buttati sul divano a giocare The Crew Motorfest. Le prime ore, quando si gioca un titolo per recensirlo, si è sempre un po’ tesi, attenti ai dettagli, “questo si”, “questa roba non mi convince”, “ah, figata!”, protesi verso la TV, in punta di divano, leggermente scomodi. Questa recensione non ha fatto eccezioni, poi però è come se il messaggio, il mood, avesse preso il sopravvento sul gameplay, e ho cominciato a scialarmela, appunto; godermi i tramonti hawaiiani, in soggettiva, cavalcando una comoda BMW R1200GS, derapando tra i tornanti dei monti che sovrastano Honolulu con la mia Supra, sorvolando O’ahu a bordo di un qualche residuato bellico restaurato ad aereo da show.




Oppure perdendomi nelle baie cristalline, con quelle tonalità d’azzurro irreali, su un off-shore da non so neanche quanti cavalli, facendo il pelo alle portaerei statunitensi ancorate a Pearl Harbor. E questo nonostante l’open world pensato da Ubisoft non dia chissà che stimoli esplorativi in-game, con attività secondarie assolutamente dimenticabili e in generale un focus molto centrato sulle gare. È che poi, dopo l’ennesimo, tiratissimo, giro finale a 250km/h, viene voglia di rilassarsi, e i colori di questa isola sono così lenitivi, capaci di portare in un’altra dimensione e diventare luogo di villeggiatura quotidiano, che fare un po’ di virtua-turismo viene da sé. Forse anche perché gli stimoli ludici sono ben circoscritti e meno pressanti che altrove, mentre le possibilità e i modi per esplorare sono molti di più.

È QUI LA FESTA?

E per “altrove”, inutile girarci intorno, intendo Forza Horizon. Soprattutto gli ultimi 3 capitoli e in particolare terzo e quinto, che, se avete avuto il piacere di giocare, daranno vita ad una sensazione di dejà vu plateale, prima di tutto ambientale, coi biomi australo-messicani della serie Microsoft che si sovrappongono per forza di cose ai panorami hawaiiani (spiagge paradisiache, foreste tropicali, vulcani ecc). È quasi una copia carbone, soprattutto nella prima ora di gioco, col Motorfest che dà il nome al titolo presentato dall’esuberante PR, con tanto di spizzichi di varie discipline in una gara-zero tutti-gusti che imita senza nascondersi le intro degli ultimi titoli Playground. Il template di game design è quello, c’è poco da stupirsi. La stessa isola di O’ahu era già stata la location del capostipite del racing open world moderno, Test Drive Unlimited. Quello che deve fare la differenza in questi casi è la personalità, proporre un’esperienza diversa, pure a parità (o giù di lì) di genere, struttura e ambientazione.

È che poi, dopo l’ennesimo, tiratissimo, giro finale a 250km/h, viene voglia di rilassarsi, e i colori di questa isola sono così lenitivi

Ubisoft questa personalità la presenta al giocatore sotto forma di Playlist, itineranti “album” tematici le cui tracce (o meglio, tracciati) sono sparse per tutta l’isola. Scritto non sembra chissà cosa, ma la struttura somiglia ad una classica progressione da arcade racing di 20 anni fa, con eventi circoscritti, che hanno più o meno tutti qualcosa da dire, da proporre, con una gran varietà e senza troppe ripetizioni. Solo che al posto del menù di selezione c’è qualche chilometro da fare per raggiungere i vari “stage”, estasiati dal paesaggio e piacevolmente accompagnati dalla loquace IA Cara. E le parole sono importanti tanto quanto i cavalli, in The Crew Motorsport, perché ogni playlist è uno spaccato di cultura motoristica (e hawaiiana), raccontato in sovrapposizione col rombo dei motori, da personaggi simpatici e coinvolgenti (con la partecipazione straordinaria di partner di tendenza come Supercar Blondie e Donut); un tour dell’isola che funziona anche da tutorial ludo-ambientale, un campionato tra cielo e acqua super coreografico, appena dopo averne concluso uno dedicato totalmente alle moto, oppure un esordio adrenalinico sulla scena motorsport, correndo sui tracciati appositamente costruiti sulla penisola che si affaccia su Maunalua Bay.

Sulla litoranea con un 370Z da drifting, cosa c’è di meglio?

Ognuna delle 15 playlist (da circa 8 gare ciascuna) propone qualcosa di diverso e funziona, perché arriva dritta al punto e le singole gare hanno quasi sempre una caratteristica distintiva, da affrontare con un mezzo specifico gentilmente “prestato” dal gioco come parte integrante di copione e level design; cambia l’estetica degli addobbi a bordo pista, cambiano i paesaggi, cambia il tipo di gara e, soprattutto, cambia il gameplay. Asfalto, sterrato, mare e cielo sono i quattro elementi dell’alchimia motoristica di The Crew Motorfest che, pur in un cocktail dove il sapore dell’asfalto e delle quattro ruote è preponderante, non dimentica le sue unicità e cerca di mettere a proprio agio ogni tipo di motore. Il modello di guida proposto (in generale) è totalmente arcade, immediato, pronto all’uso e subito gustoso. La sensazione di velocità è ottima, lo sterzo è preciso e derapare (consigliandovi di togliere gli aiuti per drift e controsterzo) è una goduria. Mi sono trovato molto bene “al volante”, ho particolare feeling con questo tipo di approccio, molto simile agli ultimi Need For Speed ma mai sfaccettato quanto il ben più simulativo Horizon, che rimane di un altro livello. Più altalenante il sistema di controllo degli altri mezzi.

Ogni playlist è uno spaccato di cultura motoristica (e hawaiiana), raccontato in sovrapposizione col rombo dei motori da personaggi simpatici e coinvolgenti

Le moto sono abbastanza emblematiche; quelle da corsa sono velocissime e agili, una guida elementare ma di sicuro impatto, esattamente, per motivi opposti, come le pesanti Harley, perfette per girare l’isola senza meta. Non bene invece quelle da strada (tipo le naked), né carne né pesce, così come le moto da cross, abbastanza inconsistenti a livello muscolare, complice anche una resa blanda dello sterrato, mai realmente instabile, scivoloso, pericoloso e quindi scarsamente coinvolgente. Un discorso simile lo si potrebbe fare per i natanti, laddove gli off-shore da competizione risultano sicuramente divertenti da controllare, mentre i motoscafi pesanti, come il Lamborghini Tecnomar, sono abbastanza noiosi. In questo caso più che il sistema di controllo è però l’ambiente di gara a determinare il godimento; queste competizioni urlano Wave Race a squarciagola, ricordando la serie Nintendo tanto nel gameplay quanto in alcune scelte stilistiche dei tracciati.

Sono questi colori qua quelli di cui parlo.

È quindi il mare il vero protagonista, con le sue onde, il vento, i pericolosi scogli che affiorano e, a mio gusto, con quelle tonalità di mare che sciolgono l’anima, sono gli eventi più belli da vedere in assoluto. A livello “elementale” è tutto molto curato, è però il track design che mi è risultato altalenante, condizionando parecchio il piacere di affrontare queste gare, comunque bei diversivi. E infine si vola, nella categoria che rende decisamente più giustizia alla meraviglia di O’ahu. Le competizioni aeree a check-point non sono particolarmente esaltanti di per sé, in fondo sono prove a tempo dove il senso di velocità è relativo, c’è un bonus per il passaggio a determinate inclinazioni, però mamma mia che spettacolo la vista. Viene glorificata l’illuminazione, il field of view lunghissimo con pochissimo pop-up, i dettagli della vegetazione, la barriera corallina che crea quelle caratteristiche ombreggiature attorno alle coste pacifiche. È un mini Flight Simulator, poco simulativo ma di grandissimo impatto, che completa la tridimensionalità dell’elemento free roaming, in modo molto efficace e unico.

CARTOLINE DA THE CREW MOTORFEST

Efficace soprattutto perché quello che c’è da vedere è reso a schermo in modo praticamente impeccabile. Ubisoft mostra i muscoli e The Crew Motorfest è una gioia per gli occhi, nonostante qualche calo di frame, dai 60 promessi in modalità performance su PS5, e qualche problema minore ma fastidioso come i retrovisori completamente appannati nella visuale soggettiva. I colori saturatissimi, la densità degli ambienti, certi scorci messi lì apposta per essere fotografati da ogni angolazione (con una buona photo mode a portata di clic sul d-pad), diventando anche attività secondaria sfiziosa. C’è bellezza, tanta, e questa bellezza tiene in piedi una struttura open che, come già accennato, lungo la strada non offre sfide extra particolarmente interessanti o ben costruite.

I colori saturatissimi, la densità degli ambienti, certi scorci messi lì apposta per essere fotografati da ogni angolazione

Ci sono dei collezionabili ben nascosti da cercare, ci sono i classici autovelox da sfidare, ma poi l’offerta secondaria si perde in slalom insipidi (con tanto di traffico in mezzo alle ruote che non diventa “fantasma” come da prassi), “fughe” dove bisogna scappare da un’area rossa in rapida espansione e altri così detti “Feat”, un po’ sconnessi sia dal tessuto ludico che emotivo del gioco, e che di conseguenza non mi è mai venuta particolare voglia di affrontare. Meglio invece le challenge, dove per esempio viene chiesto di guidare dal punto A al punto B su una determinata auto mettendoci meno di tot tempo, o altre richieste più tecniche e intriganti. L’offerta principale è invece impreziosita dagli eventi Summit Contest settimanali, vere e proprie playlist extra; per esempio durante la mia prova il palco era tutto per tre icone americane come Wrangler, Mustang e Delorean.

Girare in aereo è veramente una bellezza.

La componente stagionale è ovviamente fondamentale in The Crew Motorfest, che punta a restare interessante nel tempo con nuovi contenuti a cadenza regolare, così come importante rimane l’indole sociale del titolo. Le modalità multiplayer più importanti sono la Grand Race, corsa a 28 piloti (un delirio) divisa in 3 segmenti, dove dispensare in parti uguali velocità e sportellate; vale tutto e bisogna adattarsi alla ruvidezza dello scontro, alla Burnout quasi. Ancora più delirante e fantasiosa è la Demolition Royale, bizzarro mash up tra demolition derby e battle royale, ci potevate già arrivare senza spiegazione. 8 crew da 4 corridori, si arriva in aereo, ci si lancia e si cominciano a raccogliere power up per poi scontrarsi, fisicamente, con gli altri giocatori, mentre l’area di gioco si riduce e la possibilità di “trasformarsi” in monster truck aggiunge un folle layer tattico: l’ultimo che rimane tra le lamiere accartocciate porta a casa tutto, per sé e la crew. Infine è molto carina l’idea del Custom Show, dove presentare i propri mezzi personalizzati, dalle livree alla carrozzeria, in una competizione di puro gusto estetico, che si rinnova di settimana in settimana, cambiando tema.

In Breve: Tirando le somme, The Crew Motorfest fa della varietà il suo punto di forza e dei suoi panorami da cartolina una scenografia perfetta per provare tutto quello che ha da offrire. Un open world un po’ spoglio di attività secondarie significative, che eccelle però per atmosfera e funziona da raccordo tra le playlist, vero punto di forza della produzione. Certo, non tutti i sistemi di guida sono riusciti allo stesso modo, ma la possibilità di variare così repentinamente elementi e gameplay consente di tenere sempre alta la curiosità e la voglia di correre, semplicemente perché a parte GTA, tutt’altro genere e mood, non esistono altre serie che propongono una così grande varietà motoristica. La quantità, così, tappa anche certi buchi qualitativi. Quel che resta è la sensazione di vacanza, persistente e preziosa. Maika‘i ka huaka’i!

Piattaforma di gioco: PlayStation 5
Com’è, come gira: Giocato su PlayStation 5, 4K e 60fps non sempre solidissimi pur in modalità performance, nelle situazioni più concitate. Momenti comunque rari, compensati da tramonti spettacolari.

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Pro

  • O’ahu è una meraviglia, ad ogni ora del giorno e della notte / Grandissima varietà di guida che condiziona gli eventi principali, molto ben studiati / I personaggi coinvolti sono molto simpatici e danno vita a una narrazione “radiofonica” efficace

Contro

  • Non tutti i veicoli hanno una guidabilità altrettanto efficace / Attività secondarie altalenanti e spesso non divertenti / Colonna sonora non particolarmente memorabile
8

Più che buono

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