Sea of Stars – Recensione

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Sea of Stars è un Virgilio in Pixel Art che nel mezzo del cammin di questa generazione accompagna noi Dante dall’altra parte dello schermo attraverso la selva oscura di un genere che sembrava spacciato, e invece…

Sviluppatore / Publisher: Sabotage Studio / Sabotage Studio Prezzo: € 33,99 Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: 7 Disponibile su: PC (Steam,Microsoft Store), PS4, PS5, Xbox One, Xbox Series X|S, Switch Data d’uscita: Già disponibile

Il sole sorgeva alle stesse latitudini di Hironobu Sakaguchi. Non poteva che essere diversamente: si chiamavano – si chiamano tutt’ora, in realtà – JRPG, e quella “I” lunga davanti all’etichetta è una denominazione di origine controllata, e l’idea di poter replicare la stessa formula fuori dai confini del Giappone suona assurda come una mozzarella di bufala campana prodotta in Ohio. Quel sole però sembrava destinato a rimanere soltanto il simbolo di un passato perduto, una bandiera del Sole Nascente di cui addirittura vergognarsi un po’.




E invece lì dove la stella più luminosa del cielo tramonta il JRPG prova a risorgere: sole e luna che si alternano tanto nelle meccaniche di gioco quanto fuori dallo schermo, passato e presente che si danno battaglia cercando di capire, infine, a chi appartiene davvero il cielo. È giusto continuare a parlare di JRPG, quando gli artigiani non fanno più capo alle Squaresoft, alle Enix e finanche alle Nintendo? È sbagliato avere aspettative che arrivano all’Empireo quando invece allo sviluppo c’è lo stesso Sabotage Studio che ha messo a curriculum un neoclassico come The Messenger? E in fondo, tutto questo vuol dire davvero qualcosa davanti a dei gaijin che hanno studiato a menadito i classici quelli veri al punto da avere l’arroganza di voler mostrare al mondo come si fa, nel 2023, un gioco di ruolo a turni nello stesso anno in cui Naoki Yoshida dichiara che non ha più fondamentalmente senso?

SEA OF STARS, LAND OF NOBODY

In costante dipendenza dalle rockstar continuiamo a ripetere l’errore di ridurre un’opera ad un solo nome. L’ho fatto anche io poco fa, nonostante le ore passate dentro Sea of Stars non mi abbiano ancora abbandonato, onde che continuano a infrangersi contro gli scogli di vecchie abitudini dure da erodere. il JRPG di Sabotage Studio come da tradizione a 16 bit è un videogioco corale. Non c’è un protagonista specifico, al di là di una prima selezione proposta all’avvio di una nuova partita che è comunque ritrattabile ogni qualvolta ci si accampa attorno a un fuoco o più prosaicamente si preme triangolo per entrare nei menu di gestione del party.

C’è spazio per tantissima umanità, in Sea of Stars, tanta quanta se ne trova nei trentatré canti dell’Inferno dantesco

Sea of Stars è il senso del dovere di Valere e Zale, l’esuberanza entusiasta di tutto di Garl sulle prime fastidiosa e poi via via capace di far breccia, il dramma di NPC costretti a vivere in un mondo sotto continua minaccia. C’è spazio per tantissima umanità, in Sea of Stars, tanta quanta se ne trova nei trentatré canti dell’Inferno dantesco. C’è tradimento. Rabbia. Lutto. Anche un esaurimento nervoso. C’è tutto quello che ci si aspetterebbe in una produzione che si rifà ai capisaldi del genere su SNES e Game Boy Advance, che in fondo non ha mai nascosto di voler essere un Super Nintendo portatile che ha laggato undici anni.

Non si sono fatti mancare nemmeno il mini-gioco della pesca. Ma si alterna ad un wannabe-Gwent da giocare nelle taverne.

Si potrebbe pensare quasi ad un te voglio bene assaje, a quelle operazioni nostalgia che ci raccontiamo come lettere d’amore ad un passato sempre più lontano che in realtà spesso e volentieri ne sono solo una cover band. E invece no. Sea of Stars non nasconde l’eco delle notti là in America passate da Sabotage Studio su Golden Sun/Chrono Trigger/qui leggici il riferimento culturale che preferisci. Però non ha paura di intervenire lì dove la lezione dei maestri si faceva troppo ripetitiva. È un aspetto sicuramente meno evidente della bellissima pixel art – ma d’altronde da chi ha tirato fuori The Messenger cosa ti aspettavi? – o dei rimandi del battle system ad un’altra serie di classici del genere, i Mario & Luigi di Nintendo.

L’ESSENTIEL EST INVISIBLE POUR LES YEUX

Eppure la vera cifra stilistica di Sea of Stars è in qualcosa che manca: il grinding. Non capita mai di trovarsi sotto-livellati per un boss o per un’area, anche evitando quei combattimenti che da design e con un po’ di abilità si possono bypassare. L’esperienza è bilanciata alla perfezione sui punti esperienza che si raccolgono durante quello che è un percorso a tutti gli effetti lineare, da A a B sempre con chiara una destinazione senza nemmeno dover aprire la mappa per capire dove andare. Tutto questo funziona proprio perché a funzionare è il battle system, che al netto delle meccaniche importate da Kyoto mette al centro del discorso la strategia più che il numerino che viene fuori di fianco ad un attacco andato a segno per indicarne il danno.

Quindi, entro due turni devo fare due danni spada e uno fisico…

Tutti gli attacchi più pericolosi dei nemici possono essere bloccati se entro il numero di turno indicato li si colpisce con mosse che corrispondono alle icone a schermo. Non bastasse, se quando un attacco va a segno si ri-preme il tasto col giusto timing si esegue un colpo extra, e nel caso di alcune skill dei personaggi – l’equivalente di quello che in un Final Fantasy qualunque sarebbero le magie – la meccanica viene twistata e modificata aprendo ad un ventaglio di possibilità capace di reinventarsi a seconda delle situazioni.

È difficile stancarsi dei random encounter – non poi così random, in realtà – in Sea of Stars

È difficile stancarsi dei random encounter – non poi così random, in realtà – in Sea of Stars, proprio perché il battle system è così ben congegnato da trasformarli in puzzle d’azione, enigmi che quando vengono risolti riuscendo a non subire danno ricompensano rilasciando dopamina prima ancora che punti esperienza. L’unico problema è che – a spanne – per le prime dieci ore di gioco non c’è altro.

TIME TELL NO LIES

Si prende il suo tempo, Sea of Stars. Prima di affezionarti a Garl devi vederlo eccitarsi per una nuova avventura, essere continuamente e insensatamente felice per il semplice fatto di essere lì con i suoi due migliori amici anche se è un medioman, non ha nessun potere magico. O forse ha il più forte di tutti, perché nonostante sia solo una manciata di pixel alla fine riesce a bucare lo schermo, a legare anche con chi sta giocando ed è abituato ad attori protagonisti di spessore e di questa sottomarca di Naruto non sapeva che farsene, finché non diventa essenziale pur essendo sempre stato visibile agli occhi. Devono passare ore in-game affinché questo e un sacco di altro possa succedere e la storia decolli definitivamente, abbandonando quell’approccio alla dico-non dico e infilando pure qualche riferimento a The Messenger col retrogusto di sempre gradito fanservice. Ore in cui finché si prendono a mazzate i mostri sulla mappa va tutto bene, quando invece quella mappa va esplorata non ci siamo.

Però come fai a ritenere inutile l’esplorazione quando la pixel art è questa?

Si è parlato di un sacco di JRPG parlando di Sea of Stars. L’ho fatto anche io, cadendo per la seconda volta in un errore di cui poi mi lamento nello stesso testo. Eppure all’appello manca uno spettro che non avrei mai pensato di evocare in un tempio consacrato al genere, quello dei primi capitoli di Pokémon – che sì, nominalmente sono JRPG anche loro. Sea of Stars si macchia di alcune soluzioni veramente scolastiche, quasi da zero brain, che mi hanno riportato bruscamente sulla Via Gelata di Pokèmon Oro/Argento e sulla Via Vittoria di Rosso/Blu. Cose viste, riviste e straviste che cercano di nascondere agli occhi che guardano lo schermo la linearità del tutto, quasi fosse una deformità orribile quando invece è semplicemente parte di quell’idea di essere Virgilio e accompagnare chi non ha mai bazzicato il genere in un viaggio a (ri)vederne le stelle. È un difetto che Sea of Stars si porta avanti per tutte le sue 30 ore di gioco, ma ad un certo punto smette quantomeno di essere così fastidioso. Forse perché come specie siamo capaci di adattarci a tutto, anche a mondi dove mostri orripilanti reclamano le nostre anime da secoli. Forse perché appunto ad un certo punto alla direzione artistica e alle mazzate si affianca anche una storia che qualcosa da dire in fondo ce l’ha, era solo timida e anche questo fa parte del suo carattere.

Forse perché come specie siamo capaci di adattarci a tutto, anche a mondi dove mostri orripilanti reclamano le nostre anime da secoli

Ma alla fine, appunto, tutto questo vuol dire qualcosa? Cambiando la lente attraverso cui si riflette la luce di Sea of Stars cambia anche la sua immagine. Un purista potrebbe inorridire proprio lì dove io ho trovato una natural burella, in quella non-necessità di livellare in modo ossessivo figlia di un power play che ormai associamo al videogioco anche se non gli appartiene. I puzzle e il platform scolastici potrebbero non essere un dramma e la storia troppo da Libro Cuore. Quel sole potrebbe star sorgendo o tramontando, a seconda di quello che succederà ai JRPG nei prossimi istanti.

In Breve: A Sabotage Studio piace definirsi uno studio retro-ispirato, eppure Sea of Stars assomiglia tanto ad un futuro possibile per un genere ripudiato in apparenza dalle sue stesse madri – a parte per Dragon Quest che non conta. Non so dire se funzionerà o no. So dire che quello che ho visto mi è piaciuto molto. Per me è un’alba, proprio quando sembravamo essere arrivati al tramonto.

Piattaforma di prova: PlayStation 5
Com’è, Come gira: A voler essere pignoli ogni tanto durante il caricamento l’icona con la sagoma dei personaggi che corre si incarta e poi accelera per recuperare. Per il resto Sea of Stars gira alla grande e non poteva che essere così.

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Pro

  • Battle System incredibile / Pixel Art da incorniciare / La storia è molto umana…

Contro

  • …ma ci mette un po’ a partire / Fasi puzzle/platform scolastiche
8

Più che buono

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