Dopo la scissione all’interno di Playdead, Dino Patti torna da fondatore di Jumpship, software house che con la sua opera prima, Somerville, si è data l’ambizioso obiettivo di portare la cinematic adventure su un altro livello, tra reminiscenze di Inside e un senso di scala da Guerra dei Mondi.
Sviluppatore / Publisher: Jumpship / Jumpship Prezzo: 24,50 euro Localizzazione: Menu Multiplayer: Assente PEGI: 7 Disponibile Su: PC, Xbox Series X/S, Xbox One Data di Lancio: 15 novembre 2022
È ormai il crepuscolo, i fari dell’auto illuminano la strada nera in una sera come tante, tranquilla, quasi immobile, serpeggiando fin quando in lontananza non si intravede una villetta, il suo vialetto, il giardino. Una casa come tante nella periferia residenziale di Somerville, una famiglia come tante che torna, un po’ assonnata, dalla gita domenicale, pronta a godersi le ultime ore di relax prima che la settimana riprenda il suo corso.
Nell’intimità del divano un uomo, una donna, il figlio piccolo e il loro cane giacciono assopiti da un film non particolarmente appassionante, raccolti come in un nido, illuminati dal solo bagliore bluastro della televisione, fin quando un tonfo, sordo, non sveglia il più piccolo.
UNA DOMENICA COME TANTE
È attraverso i suoi passi incerti e curiosi che anche il giocatore comincia ad esplorare l’esordio di Jumpship; i primi enigmi ambientali da risolvere mentre la programmazione televisiva viene bruscamente interrotta da quella che si intuisce essere un’edizione straordinaria del TG, poi il silenzio, mentre fuori lampi rossi, blu e viola filtrano dalle finestre e man mano tutta la famiglia si risveglia, bruscamente, solo per precipitare in un incubo assolutamente imponderabile.
La notte è squarciata da una guerra proveniente da un altro mondo
Al risveglio, ancora frastornato, c’è solo il cane al suo fianco, il braccio toccato dall’entità è dolorante, geneticamente alterato, infuso di un potere che va oltre le umane nozioni scientifiche, trasformato in un perfetto strumento di gameplay: toccare qualsiasi fonte di luce elettrica gli permette ora di sprigionare un’energia che rivoluziona le leggi della fisica e permette di sciogliere cumuli di una sostanza spaziale, come lava solidificata, che ormai ricoprono l’ambiente circostante.
VISIVAMENTE VINCENTE, MA IL GAMEPLAY…
Questo apre la strada a puzzle interessanti, sempre fortemente basati sulla fisica ma che si spingono anche in direzioni più platform/esplorative, soprattutto quando alla possibilità di sciogliere le escrescenze si aggiungerà anche quella, viceversa, di solidificarne le viscose pozze. Il gameplay però, e fa strano realizzarlo dopo quel prologo così trascinante, angosciante e non meno spettacolare, asciuga totalmente l’aspetto emotivo della vicenda, che presto ci si rende conto procedere in maniera meccanica, quasi esclusivamente ludica e di conseguenza asettica, riducendo la portata di questa apocalisse a livello di diorama, visivamente meraviglioso ma di plastica.
Il gameplay asciuga totalmente l’aspetto emotivo della vicenda
C’è una cosa in particolare che si nota subito e che spiega bene quello che intendo: il cane che segue il protagonista abbaia, scodinzola, gira di qua e di là eppure il suo padrone non lo degna mai di uno sguardo, una carezza, anzi, spesso lo lascia proprio indietro, ignorato, per poi vederlo sbucare dal nulla qualche decina di minuti più tardi.
La dimensione più umana del racconto sembra essere messa sempre in secondo piano per favorire lo spettacolo visivo
La telecamera, che predilige campi lunghi ad esaltare la profondità delle ambientazioni e il senso di scala, tende a ridurre il nostro alter ego a una macchiolina su schermo (la cui superficie viene ulteriormente ridotta dalle bande nere, che replicano l’aspect ratio cinematografico in modo abbastanza sterile, puramente stilistico), confondendo spesso tra la ricchezza degli ambienti gli elementi interattivi, sacrificando così la leggibilità dell’azione e, di conseguenza, la sua fluidità, vera caratteristica vincente delle opere Playdead, Limbo e Inside, ad esempio.
La telecamera crea spesso confusione tra la ricchezza degli ambienti gli elementi interattivi
Questo soprattutto nella prima metà di gioco (che in totale si dà circa 4 ore di tempo per esaurirsi), quando arriva poi a un punto di svolta netto, recuperando lo slancio del prologo (anche a livello emotivo) e gettandosi in una fase finale sicuramente adrenalinica e ben riuscita, per quanto criptica e condizionata dai grandi classici della fantascienza cinematografica moderna, da Arrival (da cui riprende decisamente un certo gusto estetico) a Interstellar.
I problemi concettuali e tecnici vengono aggravati dal genere scelto per l’opera
Tirando le somme penso sinceramente che Jumpship vada lodata non tanto per il risultato finale in sé, che probabilmente con qualche mese di rifinitura in più sarebbe stato sicuramente più solido e coerente, ma per l’ambizione di voler creare l’Another World di questa generazione, dando a quel tipo di struttura ludica un respiro e un’allure da blockbuster decisamente inedito e sicuramente “cinematic” negli intenti e nella realizzazione, con molte idee interessanti non sempre sviluppate come avrebbero meritato.
In Breve: Somerville punta in alto, molto alto, riuscendo in certe cose (puzzle design, atmosfera e impatto scenico) e mancando il bersaglio in altre (coinvolgimento emotivo, pulizia tecnica, parte centrale debole). L’esperienza alla fine risulta sicuramente piacevole ma mai sconvolgente, un breve e suggestivo viaggio nel mezzo di un’apocalisse aliena con alcune scene capaci di rimanere impresse a lungo, nonostante spesso manchi quell’amalgama ludonarrativa a collegarle. Un esordio promettente per Jumpship, con un perfetto titolo da Game Pass che può tranquillamente essere finito in una serata ma che avrebbe meritato della rifinitura extra. I want to believe.
Piattaforma di Prova: Xbox Series S
Com’è, Come Gira: Su Xbox Series S il mero impatto visivo è ottimo, ma qualche rallentamento e i problemi sulle collisioni si mettono spesso di traverso.