Ghost Song – Recensione

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I protagonisti dei videogame che recuperano pian piano la memoria perduta non scoprono mai di essere felici multimilionari, bensì disagiati sopravvissuti a catastrofi. Ghost Song non fa eccezione.

Sviluppatore / Publisher: Old Moon / Humble Games Prezzo: 19,99 euro Localizzazione: Nessuna Multiplayer: Assente PEGI: 16 Disponibile Su: PC, PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox One, Xbox Series X/S, Nintendo Switch Data di Lancio: Disponibile

ghost song recensione

Una Deadsuit, qualunque cosa sia, si risveglia da un lungo sonno sulla desolata luna di Lorian. Non ha memoria alcuna, ma si rende subito conto che l’ambiente alieno in cui si trova non è particolarmente amichevole. Inizia così la sua lotta in primis per la sopravvivenza, ma anche per scoprire chi sia realmente, come sia finita laggiù e quali antichi e terribili misteri si celino nel sinistro satellite.

Ghost Song è un metroidvania con influenze soulslike le cui origini risalgono a una remota campagna Kickstarter

Ghost Song è un metroidvania con influenze soulslike le cui origini risalgono a una remota campagna Kickstarter iniziata nel 2013 da Old Moon e che finalmente a distanza di anni vede la luce grazie al publisher Humble Games.

GHOST SONG, UN VERO METROIDVANIA

Come per i roguelike, anche il filone metroidvania sta divenendo inflazionato di questi tempi, con svariate pubblicazioni non sempre pertinenti, che magari aggiungono giusto un paio di ambienti non da subito visitabili per autoproclamarsi rappresentanti del genere. In questo caso gli orfani di Blasphemous e Hollow Knight possono finalmente contare su una pura esperienza Metroidvania con la M maiuscola: l’enorme mappa da attraversare più volte in lungo e in largo, nasconde segreti e scenari da scoprire nel tempo, acquisendo le giuste abilità, sbloccando intriganti situazioni ed equipaggiando specifici powerup.

Ma Ghost Song non mette alla prova solo il senso dell’orientamento e l’acutezza visiva richiesta per individuare le decine di muri nascosti, in quanto le creature autoctone non sembrano gradire estranei, e sono decisamente coriacee.

MA QUELL’AFFARINO OVALE CON DUE TASTI?

Prima di addentrarmi nel sistema di combattimento, segnalo che Ghost Song è il primo gioco nella mia carriera videoludica che mi ha visto obbligato a utilizzare il gamepad pena l’impossibilità ad avanzare.




Molti titoli simili sono sicuramente più fruibili con i controller rispetto alla combinazione mouse e tastiera, il problema è che qui il mouse proprio non viene considerato, e il gameplay twin stick shooter nel quale solitamente è il puntatore a decidere la direzione di fuoco, questa volta richiede una scomoda e imprecisa combinazione di tasti che rema a nostro sfavore nelle situazioni concitate. Una meraviglia invece sulla Steam Deck.

PRIMA TI SPARO, POI TI PESTO

Non è facile sopravvivere a mostri da subito molto più forti di noi, che sparano a raffica o colpiscono molto duramente, ma possiamo sfruttare una peculiarità della nostra prima misera pistolina per aumentarne l’efficacia: i proiettili infliggono molti più danni a distanza ravvicinata e quando l’arma non è surriscaldata, evento che senza appositi perk avviene dopo quattro o cinque colpi consecutivi. Quando invece la vediamo bella rossa e fumante, è il momento di usarla come mazza, poiché una volta divenuta incandescente è in grado di infliggere danni considerevoli nel corpo a corpo.

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Sta dicendo “vieni qui, non ti faccio niente”.

Giocare sulla temperatura dell’arma è quindi fondamentale, utilizzandola al meglio prima che si scaldi o si raffreddi troppo. Divertente, ma purtroppo colpire i nemici non li sposta indietro nemmeno di un pixel, privandoci della sensazione di star facendo realmente del male ma soprattutto permettendo loro di raggiungerci in un batter d’occhio a prescindere da cosa stiamo loro scaricando addosso. Avrei preferito anche una migliore distribuzione degli incontri, in quanto vi sono lunghi corridoi desolati da percorrere circondati dal nulla o con qualche creaturina che pare piazzata lì per tappare un buco.

MECCANICHE SOULSLIKE

Le nostre vittime, proprio come in Dark Souls, rilasciano un’essenza da raccogliere che rappresenta la valuta in game da spendere nel laboratorio, una volta trovato, per la crescita del personaggio. Non esiste un albero delle skill ma solo la possibilità di migliorare alcune statistiche quali potenza di fuoco, punti vita, stamina da utilizzare per sprintare e così via.

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Questo boss si sdoppierà come in Pang!

La morte, piuttosto frequente nonostante ci sia un folle trofeo che ci vorrebbe vincitori senza mai schiattare, porta al drop di tutte le pseudomonete accumulate, da recuperare sul luogo del misfatto prima di finire nuovamente ammazzati. E fedele al gameplay soulslike è anche la gestione dei checkpoint, rarissimi, che ci costringe a riattraversare generose porzioni di mappa per tornare sui nostri passi in seguito a una sconfitta.

BELLA QUELL’ARMA, LA PRENDO IO

Alcuni particolari nemici che potremmo definire miniboss, una volta sconfitti lasciano cadere la loro potente arma, che nelle nostre mani diventa preziosa fonte di fuoco secondaria.

L’ipertricotico miniboss ha i minuti contati.

Raccogliendo inoltre moduli sapientemente piazzati in luoghi difficilmente accessibili guadagnamo perk per dotare la Deadsuit di abilità quali dash, sprint, moltiplicatori di danni, rigenerazione di punti vita e molti altri tra cui scegliere con attenzione, dato che gli slot disponibili sono pochi anche se aumentabili nel corso del gioco. Questo è l’unico momento in cui sperimentare con qualche build creativa, ma in generale non ci sono grandi differenze tra i personaggi configurabili.

CHE ATMOSFERA, ANCHE SU UN SATELLITE!

Se il gameplay non innova nulla anzi zoppica in un paio di dettagli, l’atmosfera e la narrazione sono il piatto forte di Ghost Song, che presenta un aspetto grafico con cupe caverne che mettono in risalto la saturazione di mostri e scenari. Organico e vegetale si intrecciano in uno stile molto particolare che descriverei come un Tim Burton con gli acquerelli che ridisegna Shadow of the Beast per Amiga, il cui protagonista ricorda la nostra Deadsuit nelle proporzioni e sfortunatamente anche nelle animazioni un po’ legnose che a più di trent’anni dal gioco DMA Design vorrei non aver visto più.

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Trovo alcune scenografie spettacolari.

Nonostante nella prima ora di gioco, che diventano due qualora non indoviniate i giusti bivi nell’esplorazione, non accada sostanzialmente nulla oltre al nostro girovagare per superficie e sottosuolo, una volta incontrate forme di vita non ostili comincia l’avventura vera e propria e si iniziano a capire portata e complessità del nostro obiettivo, stimolandoci a raccogliere più informazioni sullo strano satellite e sul significato della nostra presenza.

Freno a mano tirato all’inizio, ma quando ingrana lo fa alla grande

Una partenza con il freno a mano tirato dunque, ma consiglio agli appassionati del genere di premere sull’acceleratore perché troveranno pane per i loro denti metrodivanici.

In Breve: Ghost Song è una lettera d’amore al genere metroidvania con una mappa enorme, tanto grande che anche la sola sezione subito visitabile potrebbe quasi rappresentare un gioco a sé stante. Presenta un’ottima realizzazione grafica anche se con animazioni migliorabili, e una storia interessante da seguire nonostante parta con un po’ di ritardo. La componente soulslike è punitiva come ci si aspetta, e anche se potrebbe infastidire chi non ama dover ripetere allo sfinimento la stessa sezione, fa parte del gioco. Sicuramente consigliato a chi ama l’esplorazione, peccato per il supporto così limitato per la combo tastiera/mouse.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: I7, 8GB RAM, GeForce GTX 1050, SSD; Steam Deck 512GB
Com’è, Come Gira: PC: senza incertezze di sorta, ma è praticamente obbligatorio utilizzare un gamepad; Steam Deck: fluido senza alcun problema, anche aumentando la risoluzione proposta di default.

 

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Pro

  • Un metroidvania come si deve / Ottima grafica / Interessante storia da seguire.

Contro

  • Senza gamepad è ingiocabile / Gameplay un po’ lento all’inizio.
8

Più che buono

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