Return to Monkey Island – Recensione

PC Switch

Trent’anni dopo, è arrivato il momento di svelare quale incredibile segreto si celi a Monkey Island. Ma bisogna farlo prima che ci riesca LeChuck!

Sviluppatore / Publisher: Terrible Toybox / Devolver Digital Prezzo: 22,99 euro Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 16 Disponibile Su: PC (Steam), Nintendo Switch Data di Lancio: 19 settembre 2022

Sono passati molti anni dal primo confronto tra l’allora solo sedicente “temibile pirata” Guybrush Threepwood e il vero terrore dei sette mari, il pirata zombie LeChuck. Sono cambiate molte cose: la bella e intraprendente ex governatrice di Melee Island, Elaine Marley, ha abbandonato la carriera politica – ma non le lotte sociali – per diventare moglie a tempo indeterminato, il trio che si era proclamato “capo dei pirati” ha dovuto cedere il passo a una nuova generazione e l’isola, in generale, non se la passa proprio benissimo, alle prese con un’inaspettata decadenza economica e una bizzarra “epidemia di scorbuto” che sembra avere luogo sulle navi.




Ma tutto questo, in fondo, a Guybrush non importava gran che: gli restava da scoprire quale fosse il mirabolante Segreto di Monkey Island, l’enigma che non era stato ancora capace di risolvere. Sentiva, però, che svelarlo lo avrebbe reso non solo il pirata più temibile di tutti gli altri, ma che per lui sarebbe stata una questione di vita o di morte, una sensazione che divenne una certezza quando scoprì, di lì a poco, che alla soluzione dello stesso mistero si stava arrovellando anche il suo putrescente arcinemico LeChuck, animato come sempre dall’odio e, soprattutto, dalla brama per Elaine.

UN RITORNO INATTESO

Nell’ormai lontano 1990, The Secret of Monkey Island contribuì in modo determinante a scrivere le “regole” delle avventure grafiche punta & clicca, un genere di gioco che poteva facilmente trarre vantaggio dalle capacità grafiche delle piattaforme a 16 e 32 bit, scavalcando senza alcuna difficoltà i limiti di velocità dei processori di allora, sfruttando in modo naturale mouse e tastiera. Il successo dell’opera di Ron Gilbert, Tim Schafer e Dave Grossman fu eclatante, al punto che l’anno dopo fu subito il momento di replicarlo con un seguito richiesto a gran voce, lo scoppiettante Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge, da molti tuttora considerato la miglior avventura grafica di sempre, nonché il capolavoro assoluto di Lucasfilm Games, che proprio in quel periodo cominciò a chiamarsi LucasArts.

return to monkey island

Nel lontano 1990, The Secret of Monkey Island contribuì in modo determinante a scrivere le “regole” delle avventure grafiche punta & clicca

Ma il fortunato sodalizio con Ron Gilbert non era destinato a durare: l’anno successivo l’autore lasciò la compagnia per dedicarsi allo sviluppo di videogiochi educativi per bambini, lasciando che fossero Larry Ahern e Jonathan Ackley a scrivere The Curse of Monkey Island (1997) e Sean Clark e Michael Stemmie a realizzare Escape from Monkey Island (2000), ultimo episodio della saga a essere sviluppato internamente in LucasArts: di lì a poco la compagnia avrebbe abbandonato le avventure grafiche per sviluppare tie-in dei capolavori cinematografici della casa madre, per poi essere venduta a Disney come parte del “pacchetto” Lucas ed essere chiusa ufficialmente nel 2012. Nel 2009 Dave Grossman, con Telltale Games, riuscì a pubblicare l’avventura a episodi Tales of Monkey Island e solo pochi mesi fa Ron Gilbert scioccò il mondo con l’annuncio di un capitolo “finale” della serie: Return to Monkey Island. Eravamo tutti convinti che sarebbe uscito nei primi mesi del 2023, ma Gilbert ama molto le sorprese e così eccoci qua a parlarne già al tramonto dell’estate.

BANDO ALLA CONTINUITY

Per chi ha seguito lo sviluppo del gioco (e le polemiche che lo hanno accompagnato), questa probabilmente non sarà una sorpresa: “Return to”, senza abbandonare del tutto le idee maturate in “Curse of” ed “Escape from” Monkey Island, vuole essere una sorta di “nuovo terzo capitolo della serie”, almeno secondo la narrazione che gli autori originali avrebbero voluto dare alle vicende di Guybrush Threepwood dopo l’epilogo di Le Chuck’s Revenge.

Ci troviamo a rivestire i panni del temibile pirata esattamente dove li avevamo lasciati nel 1991, solo che nel frattempo sono cambiate molte cose

Un vezzo che probabilmente sarà destinato a dividere un po’ i fan della serie, ma che a Gilbert e a Grossman possiamo allegramente perdonare, soprattutto se consideriamo che i capitoli di LucasArts successivi al loro abbandono non furono inizialmente ben accetti, l’uno per le modifiche all’aspetto e alla caratterizzazione dei personaggi, l’altro per lo scomodo sistema di comando che prevedeva un joypad (!) al posto di mouse e tastiera. Ci troviamo dunque a rivestire i panni del temibile pirata esattamente dove li avevamo lasciati nel 1991, solo che nel frattempo sono cambiate molte cose attorno a noi e il nuovo gioco, in qualche maniera, deve necessariamente tenerne conto.

NUOVO MILLENNIO, NUOVA IMPOSTAZIONE

Return to Monkey Island ha chiaramente abbandonato il vecchio motore SCUMM e la scelta tra più verbi con cui fare interagire gli oggetti, per un sistema di controllo moderno con due sole azioni legate ai tasti principali del mouse: osservare e fare qualcosa. È il gioco stesso a indicarci, ogni volta che ci passiamo sopra con il puntatore, cosa possiamo fare col tasto sinistro e/o col tasto destro del mouse, spesso con divertenti giri di parole. Nell’angolo inferiore sinistro dello schermo comparirà l’icona dell’inventario ogni volta che potrebbe tornarci utile e aprendolo possiamo osservare la classica lista degli oggetti raccolti in precedenza.

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Le mappe permettono di spostarsi rapidamente tra le location del gioco.

Qui possiamo combinarne un paio tra di loro, oppure prelevarne uno e provare a usarlo con qualche altro oggetto sullo scenario di gioco, o ancora consegnarlo a un altro personaggio.

Non mancano le finezze che hanno reso le ultime avventure punta e clicca più fruibili, come un sistema di mappe per muoversi rapidamente tra le location

Tra gli oggetti più interessanti ci sono le mappe, a cui è possibile accedere con il tasto M, l’elenco degli obiettivi, che ci ricorda puntualmente cosa stavamo facendo l’ultima volta che abbiamo salvato il gioco e l’indispensabile libro degli indizi, una meraviglia che ci viene consegnata quasi subito e che ci permette di risolvere qualsiasi enigma se non sappiamo proprio dove sbattere la testa. Non mancano le finezze che hanno reso le ultime avventure punta e clicca più fruibili, come un sistema di mappe che permette di muoversi rapidamente tra le location e il banale, ma assolutamente mai scontato doppio click per fare correre il protagonista. Qui Terrible Toybox ha saputo stupirci: quando Guybrush affronta una nuova location per la prima volta, di solito deve attraversare diverse schermate per arrivare in qualche punto importante, ma dalla seconda volta in poi, basterà un click sulla mappa o nella direzione opportuna per arrivare immediatamente dove serve, saltando i passaggi intermedi. Un pregevole accorgimento che evita inutili tempi morti senza intaccare in alcun modo il fascino dell’esplorazione. Pregevole anche la colonna sonora, composta da diversi motivi che accompagnano ogni luogo in modo spiritoso e adeguato.

DUE LIVELLI DI DIFFICOLTÀ

Ben sapendo che i videogiocatori non amano particolarmente la frustrazione, Gilbert e compagni hanno previsto due diverse modalità di gioco, casual e difficile: la prima permette di affrontare una versione semplificata dell’avventura, con meno enigmi da risolvere e tempi più stretti, senza tuttavia intaccare la complessità della trama e i suoi colpi di scena; la seconda, invece, permette di vivere “la scimmia completa”, in tutta la lunghezza e la difficoltà prevista originariamente dagli autori. Si arriverà comunque alla fine, ma nel secondo caso ci sarà un po’ di più da ragionare.

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Il sistema di aiuti diventa progressivamente più esplicito. Occhio a non abusarne.

Gilbert e compagni hanno previsto due diverse modalità di gioco, casual e difficile

Tenete presente che, in entrambi i casi, ci sarà sempre il libro degli indizi ad aiutarvi, per cui il nostro consiglio è sicuramente quello di giocare in modalità difficile, anche se la cosa richiederà qualche viaggio in più avanti e indietro per l’arcipelago che circorda Melee Island. Come ai bei vecchi tempi, infatti, l’oggetto o l’indizio che vi potrebbero servire non si trovano quasi mai a portata di mano, ma richiedono lunghe camminate (o diversi giri in barca) per essere acquisiti. Il sistema di aiuti, in ogni caso, funziona sempre alla stessa maniera: all’inizio è molto vago sul da farsi, poi diventa un po’ più esplicito e, solo in caso di insistenza, dice chiaramente come si fa a risolvere un problema. Attenti però a non abusarne, perché la cosa comprometterebbe irrimediabilmente il divertimento. Gli enigmi sono molto ben architettati, come da tradizione, ma stavolta gli autori sono stati molto attenti a non creare situazioni troppo ambigue, magari con giochi di parole intraducibili in lingue diverse dall’Inglese. E a proposito di traduzioni: la recitazione rimane in Inglese, ma tutti i testi sono stati tradotti – in modo eccellente – anche in Italiano.

RETURN TO MONKEY ISLAND: HUMOR E STILE CARTOON

Ci vuole un po’ per ritrovarsi a casa su Melee Island, ma l’umorismo è innegabilmente quello dei primi episodi della saga: ricercato, intelligente e velatamente satirico, in alcuni casi addirittura sorprendente. Così come una sorpresa è stata, per i vecchi avventurieri, la scoperta del nuovo stile grafico del gioco, molto più spiritoso e cartoon di quanto si sia visto negli altri episodi.

Ci vuole un po’ per ritrovarsi a casa su Melee Island, ma l’umorismo è innegabilmente quello dei primi episodi della saga

Il rischio di trovarsi di fronte a un Guybrush ridotto a una macchietta di se stesso, tuttavia, è scongiurato dalla ricchezza di dettagli con cui sono caratterizzati altri personaggi come i tre pirati-capi e l’onnipresente Elaine, vero e proprio deus-ex-machina in grado di risolvere le questioni più intricate mettendoci quella dose di intelletto e di buon senso di cui il nostro protagonista indubbiamente difetta.

Elaine è la nostra salvezza. Anche quando commettiamo sciocchezze.

Certo, siamo un po’ lontani dall’impostazione di un Tales of Monkey Island, tanto per citare un’apparizione recente su cui avevano lavorato gli stessi autori. Alla fine ci siamo abituati abbastanza in fretta alle nuove fattezze del temibile pirata e siamo piuttosto sicuri che così sarà anche per cui, diligentemente, desidererà seguirlo in questa sua nuova avventura. L’ultima? Parrebbe davvero inverosimile. E, a proposito: qualora il finale dovesse lasciarvi, per così dire, un po’ sorpresi, non dimenticate di leggere le note che verranno aggiunte successivamente al vostro libro degli appunti. Probabilmente è proprio lì che si cela il segreto più grande di tutti!

In Breve: Ci ho messo un paio di giorni a convincermi, perché all’inizio Return to Monkey Island sembrava essere vittima dell’hype: cosa ci saremmo dovuti aspettare, infatti, da chi ha scritto le regole del gioco e oggi scende nuovamente nell’arena dopo trent’anni? Ma poi mi sono immerso sempre di più nel folle arcipelago inventato da Ron Gilbert e non posso fare altro che promuovere l’opera a pieni voti. Solo, ricordatevi sempre di affrontarla in modalità difficile, perché con quella “casual” finireste per ottenere solo una piccola percentuale degli achievement e perdervi gran parte del divertimento più “cerebrale”.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: Core i5 11600K, 32 GB di RAM, RTX 3060 Ti, SSD, 3440×1440
Com’è, Come Gira: Esecuzione assolutamente perfetta con la configurazione di prova, con una buona scalabilità; non manca il supporto per il formato widescreen 21:9.

 

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Pro

  • Umorismo e noncuranza a profusione / Aspetto grafico divisivo ma molto ricercato / Tante cose da fare, tutte divertenti / Sistema di aiuti praticamente perfetto.

Contro

  • Alcuni andirivieni a volte sono eccessivi.
9.5

Ottimo

Diffidate delle imitazioni. Il vero prototipo di tecno-nerd ce l’abbiamo noi e si chiama Paolo Besser. La CBS vorrebbe darci un sacco di soldi per un suo cameo in un episodio di BIg Bang Theory, ma il nostro rifiuto è netto e deciso: dopotutto, sapete che figura barbina farebbe fare a Leonard e Sheldon?

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