Dying Light 2 – Recensione

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Tanto va il runner al lardo che ci lascia il rampino, a Villedor si suol dire così. Curiosità folkloristica o baggianata? Non importa, tanto c’è ben altro di cui parlare: dopo uno sviluppo tormentato e una lunga attesa, finalmente Dying Light 2 Stay Human è disponibile.

Sviluppatore / Publisher: Techland / Techland Prezzo: 59.99€ Localizzazione: Testi Multiplayer: Co-op online PEGI: 18+ Disponibile Su: PC (Steam, Epic Games Store), PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox One, Xbox Series X|S Data di Lancio: Già disponibile

Una premessa: Techland ha compiuto un miracolo con Dying Light, un action game tanto intrigante quanto ruvido al lancio che, dal 2015 a oggi, è migliorato smisuratamente grazie a un supporto encomiabile. L’augurio è che la magia polacca possa ripetersi con Dying Light 2 Stay Human, ma è meglio riavvolgere il nastro.

DYING LIGHT 2: STAY HUMAN AT ANY COST

Vent’anni dopo i fattacci di Harran, la cornice urbana del primo capitolo, si scopre che il GRE non ha interrotto le sue ricerche sul virus a scopi militari, anzi le ha continuate in segreto finché un imprevisto non ha trascinato l’umanità nel peggiore degli incubi post-apocalittici. La repentina diffusione di una variante del THV sfuggita dai suoi laboratori ha devastato il mondo, i contagiati si sono tramutati in orrendi infetti e i pochi superstiti si sono dovuti giocoforza radunare in piccole enclavi. Nonostante una situazione mondiale ben oltre il punto di non ritorno, un ultimo baluardo di speranza resiste stoicamente alla tragedia: Villedor, l’enorme città dai due volti in cui è ambientato Dying Light 2 Stay Human.

Dying Light 2 Stay Human Recensione

Quell’edificio isolato dal GRE fa sia paura sia gola.

Dying Light 2 offre il meglio di sé quando Villedor acconsente a mostrarsi in tutta la sua conturbante maestosità post-apocalittica

Nei panni di Aiden Caldwell, un pellegrino abituato a cavarsela nelle desolate lande esterne, superato un prologo-tutorial utile a capire le basi del gioco e della main quest ben presto si finisce proprio a Villedor, un immenso luna park per il parkour isolato dal mondo esterno e diviso in due macro aree (Città Vecchia e Linea Centrale, a loro volta suddivise in quattro e otto distretti ciascuno dotato di un livello di difficoltà indicativo che può andare da 1 a 6). È questo il punto esatto in cui Dying Light 2 Stay Human comincia a carburare anche se, a onor del vero, il meglio di sé lo offre quando si sblocca l’open world e Villedor acconsente a mostrarsi in tutta la sua conturbante maestosità post-apocalittica. Sfruttando la sua prorompente verticalità, ammaliando con uno skyline degno di una cartolina spedita dall’Eden riservato agli architetti, sono sufficienti un paio di volteggi à la vecchia maniera per innamorarsi del nuovo teatro degli orrori ove Aiden è destinato a scoprire la verità sulla sorella Mia e sul tormentato passato di entrambi.

SOLITARIO NELLA NOTTE VA

Naturalmente anche stavolta tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare di infetti. A differenza del predecessore però il ciclo giorno/notte è cambiato radicalmente con tutte le implicazioni del caso sull’esplorazione e sullo stile di vita dei perigli claudicanti. Detta in parole povere suonerebbe così: a Villedor il giorno è degli uomini e la notte degli infetti. Durante il giorno la maggior parte degli infetti attende la notte all’interno dei tanti edifici per evitare i raggi del sole, di conseguenza le persone si fanno più audaci nel gironzolare per la città, tuttavia appena calano le tenebre per le strade sciamano orde di abomini. Ciò significa che aggirarsi per la città col favore delle tenebre è assai diverso rispetto a farlo quando il sole è alto in cielo, gli Urlatori sono pronti a dare il via a un Inseguimento appena ci avvistano, eppure non tutto il male viene per nuocere. In alcuni luoghi specifici come i Negozi Abbandonati e gli Spazi Bui, infatti, il momento giusto per intrufolarsi alla ricerca di risorse preziose è proprio quando l’oscurità attira gli infetti fuori dai loro palazzi-alveare. A tarda ora solitamente negli edifici rimangono pochi zombi semi-dormienti e ancor meno sentinelle, ergo con un po’ di furtività e accortezza (la torcia va usata con attenzione, lo Spirito di Sopravvivenza a volontà ché segnala casse, nemici e – quando possibile – le tracce da seguire) ci si può riempire le tasche di ricchezze con cui potenziare l’equipaggiamento (subito se le statistiche sono migliori o in un secondo momento grazie al crafting e/o ai Mercanti) oppure Aiden stesso.

La maggior parte degli edifici di giorno sono pieni di infetti semi-dormienti, occhio.

Paragonando i due momenti della giornata a ciò cui eravamo abituati, l’impressione è che la notte sia meno terrificante e allo stesso tempo più semplice da gestire. Fondamentalmente basta non precipitare maldestramente in mezzo alla movida scarnificata per evitare problemi, un esercizio d’abilità non impossibile giacché i tetti di Villedor spesso e volentieri ospitano rifugi arrangiati, ripari e l’incubo di ogni mordicarne, le luci UV.

L’impressione è che adesso la notte sia meno terrificante e allo stesso tempo più semplice da gestire

A proposito di luci, quando Aiden è al buio appare un timer che aiuta a monitorare lo stato della sua infezione e, se si passa troppo tempo nell’oscurità, la malattia avanza a meno che non se ne ritardi lo scorrere ingerendo consumabili o trovando un riparo illuminato (a Villedor sono tutti infetti, ecco perché indossano tutti un biomarker). Per quanto l’idea del timer sia azzeccata giacché screzia di galoppante ansia i momenti privi d’illuminazione, ammetto di aver sentito la nostalgia delle ansiogene notti d’un tempo. D’altro canto però la rivoluzione di una peculiarità così importante per il franchise ha senso se la si incastona nel pericoloso contesto in cui s’arrabattano i residenti di Villedor.

LA VITA È UNA QUESTIONE DI SCELTE

Mi riferisco al fatto che, a differenza di Harran, le persone si sono salvate costruendo strutture d’ogni tipo a due passi dal cielo, lasciando così che infetti, degrado e morte si appropriassero del piano terra di una civiltà che, volente o nolente, ha dovuto imparare a sopravvivere abbarbicata sui suoi stessi resti. La vita in un luogo simile è oltremodo dura, lo dimostrano le difficoltà incontrate dal pellegrino ogni qualvolta si ritrova ad avere a che fare con una delle tre fazioni che si contendono il controllo di Villedor: i Sopravvissuti, i Pacificatori e i Rinnegati. Le prime due comunità sono quelle con cui sono previste le interazioni più articolate, tant’è vero che soltanto a una di loro è possibile assegnare gli Impianti legati all’Allineamento della Città. Villedor è colma di attività, missioni, sfide, punti d’interesse, incontri casuali e luoghi da esplorare, eppure sta a noi plasmarla a seconda del nostro stile di gioco. Per farlo bisogna sbloccare i Mulini a Vento sparsi per la città e tramutarli in rifugi, ma soprattutto attivare i summenzionati Impianti completando dei puzzle per poi stabilire a quale fazione assegnarli. Offrirli ai Sopravvissuti o ai Pacificatori permette loro di comandare il relativo distretto con tanto di quest giver e mercanti unici, ma è utile anche a noi giacché ci permette di ottenere dei vantaggi pratici in ogni singola zona: i primi costruiscono agevolazioni per il parkour mentre i secondi sono specializzati in trappole ottime per aiutarci nei combattimenti. A seconda di chi sceglieremo di volta in volta, inoltre, una fazione aumenterà la propria influenza sulla città e migliorerà la qualità delle strutture che potremo sfruttare.

Dying Light 2 Stay Human Recensione

La schermata dove scegliere a quale fazione assegnare un Impianto.

Per quanto concerne il racconto in sé invece bisogna fare dei distinguo. Dying Light 2 Stay Human offre una profondità narrativa maggiore rispetto al predecessore, non c’è dubbio. Districandosi fra cliché e tradimenti la storia è piena di biforcazioni in cui è necessario prendere decisioni capaci di alterare il prosieguo degli eventi, le missioni successive, il finale e talvolta perfino il volto stesso della città. Detto ciò è probabile che l’addio di Avellone abbia influito su un copione e dei personaggi meno originali di quanto fosse lecito attendersi dopo i roboanti proclami iniziali. Ciò significa che né il canovaccio né la personalizzazione della città possono definirsi due aspetti innovativi, diciamo che chi mastica open world a colazione non rimarrà stupito da delle dinamiche che nelle intenzioni avrebbero dovuto essere rivoluzionarie o quasi. Assai più modestamente si tratta – a differenza del primo capitolo, quindi è comunque grasso che cola – di avere a disposizione l’opportunità di cambiare superficialmente il profilo della mappa e, soprattutto, poter contare su un significativo numero di bivi narrativi perfetti per aumentare sia la rigiocabilità sia la longevità (a proposito: per completare il gioco in solitaria ho impiegato circa 28 ore, ma ovviamente ho tralasciato moltissime attività extra).

SE FAMO QUATTRO SALTI ALL’INFERNO?

In merito al parkour devo dire che l’ho trovato migliorato, più che mai fluido e sinuoso grazie all’aumento delle animazioni specifiche. Quando poi si ottengono il Rampino e il Parapendio allora lanciarsi da altezze vertiginose e imitare le spettacolari gesta del co-fondatore della disciplina, David Belle (NdR: Hakon deve a lui aspetto e movenze) è un vero piacere. Il godimento tra l’altro è doppio perché compiendo acrobazie si migliora e si diventa sempre più prestanti, proprio come in passato. Il sistema di progressione infatti è nuovo a metà, nel senso che più si compie un’azione tra parkour e combattimento, prima di ottengono i punti abilità da investire in uno dei due rami. Per aumentare i valori di Salute e Vigore invece bisogna possedere tre Inibitori, item recuperabili attraverso l’esplorazione o il completamento delle tantissime attività fra missioni secondarie, Quarantene del GRE o Anomalie del GRE (altri posti in cui è caldamente consigliato recarsi di notte). Dulcis in fundo va detto che potenziare un attributo consente non solo di sbloccare nuove skill, ma anche di prolungare la durata totale dell’immunità di Aiden all’infezione (il timer cui accennavo prima).

POST-APOCALISSE TECNICA

Come avrete notato all’appello manca il combat system. A tal proposito c’è da aprire una parentesi, perché, sebbene gli scontri medievali (niente armi da fuoco, al massimo archi e frecce) risultano ancor più dinamici, fisici, brutalmente appaganti tra amputazioni e combinazioni di armi e parkour, Dying Light 2 Stay Human annovera fra i suoi difetti un’IA poco scaltra che finisce per gravare sulle zuffe (un consiglio? Difficoltà massima e HUD impostato su Coinvolgente). I nemici umani difficilmente riescono a sfruttare a loro vantaggio la superiorità numerica o l’ambiente, inoltre capita che rimangano in attesa del proprio turno mentre siamo impegnati con un loro compagno, ma non è tutto.

Dying Light 2 Stay Human Recensione

Ecco cosa intendo con “una sfilza di sbavature di varia natura/taglia”.

Techland ha pubblicato un gioco a cui avrebbe giovato parecchio un ulteriore periodo di levigatura tecnica

Tra dei PNG poco espressivi, delle animazioni che stonano e una serie di sbavature tecniche di varia natura, al gioco avrebbe giovato parecchio un ulteriore periodo di levigatura. La prova inconfutabile di ciò sono le patch rilasciate al day one e subito dopo che hanno implementato fix d’ogni sorta oltre al supporto al DLSS/FSR per migliorare le prestazioni (l’ottimizzazione non è perfetta), ma almeno in mezzo a tante magagne un lato positivo c’è: la ferrea volontà dei devs di sistemare prima possibile i bug più fastidiosi. Nonostante ciò non posso fare a meno di pensare che il progetto sia partito col freno a mano tirato dal punto di vista tecnico, sicché, come anticipato inizialmente, la speranza è che la magia polacca possa ripetersi ancora una volta e che Techland riesca a fare emergere tutto il potenziale di Dying Light 2 Stay Human.

In Breve: Dying Light 2 Stay Human è un buon action game dotato di tanti contenuti e un bel potenziale, ma le numerose imprecisioni tecniche dicono che un altro periodo di polishing sarebbe stato utile. La questione non può essere ignorata ma la situazione non è compromessa, sia chiaro: esplorare la splendida Villedor è divertente, la notte fa meno paura ma funziona, fra parkour e combat system migliorati c’è un gameplay rinnovato capace di ridestare sensazioni ataviche e, pur senza stupire né riscrivere la storia delle dinamiche open world, la narrativa a più vie riesce nel suo intento. Ora speriamo solo che Techland non abbia dimenticato come si fanno le magie.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: i7 [email protected], Nvidia 3070 Laptop 8 GB, 16 GB di Ram e SSD
Com’è, Come gira: Il gioco non è leggerissimo, inoltre l’atmosfera perde un sacco senza Ray Tracing. Per avere 60fps fissi in 1440p/Qualità Max ho dovuto rinunciare al RT e attivare il DLSS su Qualità. Il colpo d’occhio della città e alcuni scorci sono roba da edonisti, peccato per alcune ruvidezze estetiche che rivelano un’anima più cross-gen del previsto e per l’assenza del doppiaggio in italiano. Bisogna smanettare un po’ con le opzioni grafiche a seconda di cosa si predilige, ma ricordate che la fluidità a Villedor non è un optional: è la salvezza.

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Pro

  • Un buon action game dal potenziale intrigante / Villedor è davvero affascinante / Tanti contenuti da spolpare.

Contro

  • Urge una poderosa riassettata tecnica su più livelli / Sceneggiatura meno ispirata del previsto / L’IA s’adda sveglià.
8.2

Più che buono

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