Fights in Tight Spaces – Recensione

PC Xbox One Xbox Series X

No, mi dispiace, mi rifiuto categoricamente di utilizzare l’adattamento italiano del titolo, Colpo dopo colpo: per me il gioco resta Fights in Tight Spaces.

Sviluppatore / Publisher: Shatter Ground / Mode 7 Prezzo: 20,99€ Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 16 Disponibile Su: PC (Steam, Microsoft Store), Xbox One, Xbox Series X|S Data di Lancio: Già disponibile

Carte e schiaffi sono un connubio fondativo della cultura italiana. Basta frequentare qualunque bar di provincia nel giusto orario per verificare come tendano a manifestarsi spesso assieme, di solito i secondi come conseguenza di un uso quantomeno maldestro delle prime.




Se questa brillante premessa vi ha fatto venire voglia di sviluppare un gioco su questi presupposti, purtroppo devo darvi una brutta notizia: ancora una volta abbiamo perso l’occasione per tramutare qualcosa che ci appartiene nel profondo in un videogioco di successo.

FIGHTS IN TIGHT SPACES: FRA CARTE E SGANASSONI

I ragazzi di Ground Shatter, ad ogni modo, l’hanno fatta un po’ più complessa di un simulatore di risse al circolo del dopolavoro (per quanto, oh, io questo lo giocherei, se lo sviluppate fatemi un fischio). Fights in Tight Spaces è in realtà un incrocio tra gioco di strategia a turni e un deck-building (diventato per qualche assurdo motivo Colpo dopo Colpo in italiano, non lo so, non chiedete a me perché) con una spruzzata di Superhot che non guasta davvero mai, e una componente roguelite, che personalmente ho trovato l’ingrediente meno digeribile del gioco.

STRATEGIA A TURNI, DECKBUILDING, ROGUELITE E UNA SPRUZZATA DI SUPERHOT: QUESTO STRANO MIX STA ALLA BASE DI FIGHT IN TIGHT SPACES

L’alter-ego del giocatore è l’Agente 11, una super-spia piuttosto generica, ma anche decisamente atletica, chiamata ad affrontare cinque casi complicati: tradotto, cinque diversi mondi di gioco piene zeppi di brutti ceffi da riempire di botte.

QUESTA STANZA NON HA PIÙ PARETI

Ciascuna delle cinque missioni è composta da una serie di ambientazioni, di ridotte dimensioni come intuibile dal titolo, prese a prestito dall’iconografia del cinema d’azione da Hollywood a Hong Kong: c’è il bar, l’officina, il bagno e così via. All’interno di ciascuna location siamo chiamati a mettere fuori gioco i diversi nemici, presenti fin dall’inizio o sopraggiunti a rissa inoltrata. Per riuscirci dobbiamo usare alcune tra le carte che ci vengono messe a disposizione a inizio turno: tra queste figurano carte d’attacco, di movimento, di difesa e speciali, di solito legate al sistema di colpo o parti dello scenario.

Io e i giochi di carte di base non andiamo troppo d’accordo, ma con Fights in Tight Spaces è stato amore a prima vista.

Quasi tutte le carte consumano dei punti energia, assegnati in quantità limitata a inizio turno, perciò il loro utilizzo va valutato oculatamente, anche nell’ottica delle mosse nemiche. Oltre ai più semplici scagnozzi iniziali, infatti, procedendo nel gioco inizieremo a incontrare sgherri più dotati, da quelli che vedono aumentare il loro scudo nel tempo a quelli che attaccano chiunque finisca in una casella limitrofa passando per quelli armati di pistola. Ovviamente queste abilità possono anche essere usate a nostro vantaggio, ad esempio spostando un nemico affinché finisca sulla linea di tiro del suo compare armato di pistola, il quale a inizio turno sparerà senza troppo curarsi di chi si trova davanti a lui. Gli stessi ambienti possono essere utilizzati come armi, fracassando nel caso la capoccia del malcapitato di turno contro un muro o scaraventando nel vuoto qualunque gaglioffo (ok, ho ufficialmente finito i sinonimi) abbastanza stupido da posizionarsi davanti a una finestra.

QUALCUNO HA DETTO ROGUELITE?

Dalla descrizione sommaria del paragrafo precedente dovrebbe essere chiara sia la componente strategica di Fights in Tight Spaces, sia il profumo di Superhot che si respira nelle mazzate tipo film di John Woo per chi ancora non ci fosse arrivato. E il roguelite? Arriva adesso. Ciascuna delle cinque missioni può essere affrontata solo per intero, senza la possibilità di ripetere una sezione conclusa, e portandosi dietro le statistiche di scontro in scontro. Di tanto in tanto, disseminate lungo il percorso che conduce al boss finale, si trovano delle tappe presso l’ospedale o il negozio dove è possibile farsi ricucire, aumentare l’energia massima o acquistare carte speciali. Queste però sono le uniche occasioni in cui si sistemare la propria situazione in vista delle battaglie a venire, ma per farlo servono soldi e per ottenerli è necessario soddisfare degli obiettivi fissati a inizio missione che si fanno via via più complicati, e spesso sono legati più a una dose di fortuna nella carte a disposizione che all’abilità.

Fights in tight spaces recensione

Si, quella è una suplex. E sì, mi sono commosso.

i cinque livelli di difficoltà permettono ogni tipo di approccio, dal più rilassato al più severo

Come forse sarà filtrato, si tratta dell’aspetto del gioco che meno ho amato: un errore o una pesca sfortunata in una fase avanzata può risultare spesso determinante, anche qualora non si riveli letale, benché debba ammetter di essermi divertito nel tentativo di sopravvivere rissa dopo rissa con sole due stille di vita. Ad ogni modo i ragazzi di Shatter Ground hanno bilanciato alla grande questa meccanica con cinque livelli di difficoltà che consentono quasi ogni tipo di approccio, dal più rilassato al più severo. Ai livelli più bassi, ad esempio, è possibile usufruire per un numero limitato di volte di un’opzione che consente di rigiocare la carta precedente, per rimediare a un esito diverso da quanto ipotizzato.

ANCHE L’OCCHIO VUOLE LA SUA PARTE (DI BOTTE)

L’ultima menzione va, meritatamente, al comparto tecnico e artistico. Il lavoro di aggiustamento svolto durante l’Accesso Anticipato ha portato a una versione finale di Fights in Tight Spaces limata a puntino, dove tutto fila liscio, bilanciamento incluso, e i contenuti abbondano (anche se i dev non escludono nuove aggiunte e rifiniture con le future patch). Lo stile minimale scelto poi, per quanto debitore verso Superhot, si presta perfettamente, sia perché appunto richiama fin da subito la giusta atmosfera, sia perché consente di leggere la scena subito al primo colpo attraverso i colori. Minimalismo, però, non è sinonimo di semplicità: le ambientazioni sono ricche di dettagli che faranno la felicità di chiunque sia cresciuto a pane e botte su uno schermo.

In Breve: A volte basta un’idea e i ragazzi di Shatter Ground l’hanno avuta. L’azzardo di combinare lo strategico a turni, con un gioco di carte, con le botte di Superhot ha funzionato e anche parecchio bene. Da parte mia ho trovato un po’ frustranti, o forse limitanti, le meccaniche roguelite, ma è questione di gusti e ad ogni modo il bilanciamento dei diversi livelli di difficoltà è tarato così a puntino da consentire un po’ a tutti di giocare e divertirsi. Nota di merito va poi al comparto tecnico artistico, minimalista eppure funzionale e piacevolmente ricco di dettagli.

Piattaforma di Prova: Xbox Series X
Com’è, Come Gira: Nulla di nulla da segnalare, il gioco fila liscio, si carica in un lampo e non mostra mai incertezze. Si vede che in questo caso l’early access è stato sfruttato a dovere.

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Pro

  • Idea inedita (oh, per quanto ne so!) / Stile visuale accattivante / Meccaniche e bilanciamento limati.

Contro

  • Le meccaniche roguelite complicano un po’ la vita / Per gli obiettivi di missione serve più fortuna che abilità.
8.3

Più che buono

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