Oggi voglio vestire i panni dell’uccellaccio del malaugurio perché la direzione che sta prendendo il settore dei videogiochi mi spaventa un sacco, tra chi prevede una stagnazione dei contenuti a causa degli abbonamenti, e chi invece teme un futuro privo di creatività dominato dagli strumenti di intelligenza artificiale generativa.
La scorsa settimana hanno fatto molto discutere le parole di Philippe Tremblay, il direttore dei servizi in abbonamento di Ubisoft, che si augura un futuro in cui gli utenti diventino sempre più a loro agio nel non possedere i loro videogiochi: “Una delle cose che abbiamo notato è che i giocatori sono abituati ad avere e possedere i propri giochi. Questo è il cambiamento che deve avvenire nei consumatori: si sono sentiti a loro agio nel non possedere collezioni di CD o DVD, ma questa trasformazione sta avvenendo più lentamente [nei giochi]. Man mano che i giocatori si sentono a proprio agio in questo aspetto… non vengono persi i progressi. Se riprendi il gioco in un altro momento, il file dei progressi sarà ancora lì. Non è stato cancellato. Non perdi ciò che hai creato nel gioco o il tuo coinvolgimento. Si tratta di sentirsi a proprio agio nel non possedere il proprio gioco.”
Ubisoft continuerà a vendere videogiochi su supporti fisici o digitali
Al buon Swen non piacciono i servizi in abbonamento, anzi, non piace un eventuale monopolio in cui tutta o quasi l’offerta videoludica passa attraverso un abbonamento. “Qualunque sia il futuro dei giochi, i contenuti saranno sempre al centro. Ma sarà molto più difficile ottenere buoni contenuti se gli abbonamenti diventano il modello dominante e un gruppo selezionato di persone decide cosa va sul mercato e cosa no. La soluzione è la linea diretta tra lo sviluppatore e i giocatori.” Secondo Vinke, dal lato di chi i videogiochi li fa e chi li approva, i servizi in abbonamento rischiano di diventare dei semplici esercizi di valutazione tra costi e benefici, dove l’idealismo e la creatività vengono sacrificati sull’altare del mero profitto.
chi gestisce gli abbonamenti cercherà di limitare al minimo il rischio degli investimenti
È una visione pessimistica ma a mio avviso non troppo distante dalla realtà. Basti pensare a ciò che avviene in altri settori, come quello del cinema e delle serie TV. Sfogliando il catalogo di Netflix troviamo prodotti fin troppo simili tra loro che non si assumono chissà quali rischi, cercando di intercettare il trend del momento senza offrire grandi alternative a chi invece è alla ricerca di qualcos’altro. Sempre a proposito di Netflix, il colosso dello streaming ha in piedi un sistema quasi infallibile per valutare su quali progetti investire, un sistema che però potrebbe essere gestito interamente e automaticamente da una macchina dal momento che si basa interamente su un algoritmo.
Se dunque il futuro dei videogiochi è questo, abbiamo davvero bisogno dei team creativi?I colletti bianchi pensano di no, tant’è che il settore videoludico sta lentamente ma inesorabilmente implementando l’intelligenza artificiale generativa all’interno dei processi di sviluppo. Secondo l’ultimo rapporto State of the Industry stilato dalla GDC, infatti, il 49% degli oltre tremila professionisti intervistati ha dichiarato che l’IA generativa è già impiegata nei rispettivi posti di lavoro. Il 31% degli intervistati utilizza personalmente questi strumenti.
l’intelligenza artificiale generativa viene già impiegata ovunque
Ma in quali divisioni vengono impiegati? Contrariamente a quanto si possa ipotizzare, l’intelligenza artificiale generativa viene già impiegata ovunque, non soltanto in campi artistici. Tra questi le divisioni finanziarie sono quelle in cui l’IA viene utilizzata di più (44%), seguita da community management (41%) e production management (33%). Inoltre, a utilizzare di più l’IA sono gli studi più piccoli (37%), mentre poco più di un quinto (21%) degli sviluppatori doppia e tripla A ne fanno impiego.
Quella dell’intelligenza artificiale è una materia controversa perché coinvolge varie tematiche sensibili, tra cui la sostituzione del lavoro creativo umano (chissà quali sono le figure professionali più licenziate nell’ultimo anno e mezzo…) e il modo in cui i vari tool vengono addestrati. È di pochi giorni fa la notizia che Foamstars includerà degli asset realizzati con Midjourney, lo stesso strumento sotto accusa per essere stato addestrato utilizzando i lavori di migliaia di artisti senza il loro esplicito consenso. Viene quindi da chiedersi se sia legittimo utilizzare a fini commerciali degli strumenti che potrebbero aver violato il diritto d’autore di numerosi artisti.
Ma al di là di questo, ciò che mi chiedo è questo: siamo proprio sicuri di volere un futuro fatto di videogiochi creati con lo stampino per soddisfare gli algoritmi dei servizi di abbonamento, magari sviluppati eliminando del tutto la creatività umana in favore di strumenti di intelligenza artificiale? Che fine fa la creatività se per sviluppare un videogioco basta digitare un prompt in un programma che fa tutto da solo, andando a scopiazzare di qua e di là? Chiamatemi pessimista, ma temo che questo futuro sia purtroppo molto vicino.